La tradizione della "pasta spezzata"

Nella cucina siciliana c’è un’usanza, retaggio dell’epoca borbonica, che continua ad essere seguita da molti isolani: noi siciliani spezziamo nelle minestre ma anche in molte pastasciutte, vi siete mai chiesti perché lo facciamo? Perché non usiamo direttamente un formato di pasta “corto”, pensato proprio per le minestre?
Semplicemente per un fatto di povertà nascoste, ricchezze desiderate e buona creanza.


Tutto nasce con la forchetta o meglio con l’assenza della forchetta, perché un coltello lo hanno sempre avuto tutti, un cucchiaio te lo puoi anche fabbricare, o al limite ne fai a meno e mangi con le mani e bevi il brodo a garganella, ma i maccheroni, senza la forchetta a quattro rebbi, attrezzo indispensabile ad arrotolarli e che fino al 1770 nessuno aveva ancora inventato, come li mangiavi? Se eri ricco, cioè nobile o borghese non li mangiavi affatto.


Fino al 1770, quando Gennaro Spadaccini, ciambellano di Ferdinando IV di Borbone, ebbe l’intuizione di saldare altre due punte al forchettone fino ad allora usato alla reggia per mangiare, la pasta lunga era bandita dalla mensa reale, proprio perché bisognava mangiarla con le mani, come facevano tutti i napoletani per i vicoli della capitale partenopea, e non era nemmeno pensabile che simili nobiltà si abbassassero a mangiare con le mani come i popolani…


Con l’invenzione della forchetta la pasta entrò immediatamente nei menù reali, ma anche nelle case borghesi e poi in tutte le altre, ma non in contemporanea con la forchetta. La forchetta rimase un oggetto di lusso per quasi un secolo, ed ancora dopo l’unità d’Italia era un lusso per molte famiglie povere averne una.


Si è talmente radicata in Sicilia l’assioma pasta lunga = ricchezza ed in contrapposizione pasta corta = povertà, e poiché tutti si sono sempre vergognati della povertà, specialmente della propria, quando all’inizio del XXI secolo nacquero i primi pastifici artigianali e la pasta si vendeva a peso avvolta in quella splendida carta blu che chiamavamo “carta da zucchero”, nessuno comprava la pasta “corta”, che poi era soltanto una, i tubetti, che in Sicilia chiamavamo attuppateddri, una specie di piccole lumache.


Tutti compravamo la pasta lunga, spaghetti, maccarroncino o jolanda, la lasagnetta arricciata da un lato, che quando era fatta a mano chiamavamo sciabbò e che poi battezzammo Jolanda in onore di una principessa, bella, mora, con i capelli dolcemente ondulati, perché la pasta “corta” era per i poveri, che non hanno le forchette, che mangiano gli spaghetti con le mani. Da poveri e da mensa dell’esercito. Tanto da essere ancora chiamata a Palermo pasta di surdati.
Tutti compravamo la pasta lunga, ma poi a casa la spezzavamo per mangiarla al cucchiaio e spesso, continuiamo a farlo anche oggi: si, siamo strani noi siciliani.