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Zabut, la splendida Empty Zabut, la splendida

Mer 5 Lug 2023 - 15:09
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Si può iniziare a conoscere Sambuca partendo dal sito archeologico di Monte Adranone poco distante da Sambuca. Qui si trova Adranon un’antica città con abitazioni, acropoli, templi e una necropoli, dove si trova la "Tomba della regina".


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La città fu colonizzata da Selinunte, conquistata da Cartagine e poi distrutta dai Romani. Fu un sito strategico durante la prima guerra punica, ricordato da Diodoro Siculo, emozionante visitare questo centro archeologico non da tutti conosciuto.
Entrando in paese si percorre Corso Umberto.
Camminando si notano i bellissimi palazzi del 600, merita una visita il teatro “L’Idea” edificato a metà dell’'800, una piccola "Scala in miniatura" con il "salotto sambucese".


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Continuando la passeggiata mi dirigo alla Chiesa di San Calogero sede dell’Istituzione dedicata a Gianbecchina, il pittore sambucese che negli anni trenta partecipò al gruppo d’avanguardia insieme a Guttuso.
La Sicilia è dipinta attraverso le sue "cromie" e ritrae la vita dei campi. È intensa la sensazione che si prova di fronte a questi quadri si è inondati da colore e luce.


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Il suo antico nome "Zabut". Si pensa che fosse uno strumento musicale arrivato con gli arabi che s’insediarono nell’830', una piccola Arpa, che è nello stemma della città.
Un’altra ipotesi riporta la storia del leggendario guerriero, l’Emiro Al-Zabut, che partecipò a numerose battaglie guadagnandosi l’appellativo di "Al-Chabut, Splendido”, termine che diede anche alla città dove costruì una cittadella fortificata che fu chiamata Zabut la Splendida, l’odierna Sambuca.
Con l’arrivo dei Normanni, gli arabi furono cacciati tra battaglie ed eccidi; alcune leggende raccontano delle grida di terrore degli arabi rinchiusi nelle cave "le Purrere" da cui si ricavava la pietra per la costruzione delle case, che disperatamente cercarono una via di fuga tra i cunicoli.
Da allora Sambuca, città di baroni e marchesi, ricca di palazzi, chiese e monasteri, arriva tra alterne vicende e con un rango principesco fino ai nostri giorni.


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Sambuca ha due patroni, continua Antonella, gli attuali Signori della città: la Madonna dell’Udienza e San Giorgio. Arrivo a Piazza della Vittoria dove su un piedistallo c’è una grande lumaca, e dal lato opposto il Santuario con Maria Santissima dell’Udienza. All’interno la chiesa è divisa in 3 navate e 5 campate con archi a tutto sesto, nella nicchia al centro la statua marmorea della Vergine opera di Antonello Gangini.


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Lei è "la Mamma di tutti i sambucesi" dal volto dolcissimo con il capo reclinato in una posizione di ascolto, mentre con le mani solleva il Bambino. È struggente questa Vergine che ascolta le preghiere dei fedeli e che forse ricorda un’antica tradizione che racconta che Maria, sul Monte Carmelo in Palestina, ogni anno dopo Pasque, ascoltava suppliche e raccomandazioni.
La chiesa fu edificata su una precedente nel 1530, e la sua festa è la terza domenica del mese. Lascio la Signora dell’Udienza e mi dirigo sulla strada a fianco, a pochi passi mi aspetta il dolce tipico di Sambuca, le “Minne di Virgini”, sono diretta alla pasticceria Pendola.
Qui Alessandro, Calogero e Giuseppe continuano a realizzare questo dolce seguendo la ricetta originale modellando con le mani, questi piccoli "seni", con molta attenzione, forma e misure devono essere precise, sembrano carezze, e dove la parte più difficile è il capezzolo bruno, "deve essere marcatamente ben evidenziato” diceva Enrico Pendola, capostipite di questa attività, che nel suo marchio ha una lira con tre "minne".
È un dolce che non può essere conservato a lungo, la delicatezza dell’interno con il biancomangiare, la zuccata con scaglie di cioccolato, l’aroma di garofano e cannella, consigliano di gustarlo senza indugi. Nel libro di Maria Oliveri, “Le Impudiche paste delle Vergini”, viene racconta la leggenda legata a questa pasta.
Scrive che fu un’invenzione di Suor Virginia di Rocca Menna, realizzata per il matrimonio di un nobile. Suor Virginia così descrisse la sua creazione: "Guardavo dalla mia stanzetta le colline e ho pensato a un dolce con queste forme, con la dolcezza di questa terra".
La madre dello sposo fu entusiasta di questa creazione che prese il nome della suora, ma aggiunse facendo arrossire le suore: "Più che una “Virginia della Menna”, direi che si tratta di una minna di Virginia”.
Notando un certo imbarazzo si corresse: “ vuol dire che chiameremo questa pasta "seni di vergine" e non di Virginia, nel nostro idioma “Minni di Virgini”.


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Tornati al corso andando verso la Matrice, passato un arco, ci si inoltra in una serie di vicoli, con il nome in italiano e in arabo, sono al quartiere Saraceno.
Seguendo le indicazioni attraverso la Casa del limone, le Case ai Sette Vicoli, e un’abitazione su due piani con una scala interamente maiolicata dove ogni gradino diverso dall’altro. Passo tra muri decorati, attraverso strade in ciottoli con altre porte dipinte, altre grandi lumache, sino a una piazzetta dove sul muro due angeli si baciano.


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Si arriva al Belvedere, quella che una volta era la fortezza dell’Emiro Al Zabut, dove ora si trova la Cattedrale: la Matrice.


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La storia parte dalla famiglia Baldi Centellis Marchesi di Sambuca. Le sorelle Giulia e Maria finanziarono la costruzione della Chiesa nata sopra una precedente del 1400, utilizzando il basamento dell’antico Castello.
Si racconta che dalla fortezza parta un camminamento sotterraneo che porta direttamente al quartiere Saraceno sotto la "via del Fantasma", dove si dice vi siano strane presenze. Questo percorso permetteva all’Emiro di raggiungere speditamente il quartiere arabo.
La Matrice è divisa in tre navate, straordinario il campanile, probabilmente l’antica torre saracena, con ceramiche policrome e una guglia che poggia su foglie d’acanto.


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La Chiesa fu danneggiata dal terremoto del Belice nel 1968 e restituita al culto dopo più di cinquant’anni, anche se ancora non è stata completata.  


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Un'altra eccellenza: il vino. Sambuca è nel triangolo d’oro della viticultura siciliana, qui il vino ha un sentore unico.
Conosciamo un produttore, Gunther di Giovanna dell’omonima cantina. I suoi vini raccontano di una produzione nata nel solco di una tradizione di famiglia legata alla coltivazione dell’uva sin dal 1860.
Prima tutte le uve erano conferite alla Cantina "Sette Soli" di Menfi per poi dal 2003/04 iniziare la loro produzione,dai vini autoctoni come il Catarratto, e quelli internazionali come lo Chardonnay. Tutta la famiglia è impegnata nell’azienda , anche i genitori classe '36 e '40 che continuano a lavorare: «i loro consigli sono sempre forieri di buone cose». Le loro circa 250.000 bottiglie raggiungono numerosi mercati internazionali.
I vigneti Di Giovanna si estendono tra due territori: Sambuca e Contessa Entellina, una distanza esigua ma che conferisce profonde differenze ai vini.
«A Sambuca con la presenza dei monti, terreni calcarei e le sostanze organiche provenienti dai boschi, il vino è diverso rispetto ai terreni calcarei e tufacei di Contessa, del resto il vino è una Cartolina Liquida, descrive un territorio più di qualsiasi altro prodotto».


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Ma torniamo alla lumaca di cui abbiamo fatto cenno all'inizio. Perché?


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Ecco la risposta: «Qui si va lenti senza fretta, prendersi del tempo non è mai tempo perso, poi a Sambuca le lumache sono un piatto prelibato». Per tanti i sambucesi sono detti i babbaluciari.

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Fonte: balarm.it (stralci da articoli di Susanna La Valle)

Fotografie: web

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Vivere senza leggere è pericoloso, ci si deve accontentare della vita, e questo comporta notevoli rischi.
(Michel Houellebecq)
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