U Camiddu, ovvero il Ferragosto a Messina
Sab 5 Ago 2023 - 18:14
Per le festività del ferragosto messinese è tradizione, la quale si perde realmente nei secoli dei secoli indietro nel tempo, quella di passeggiare 2 mitici giganti i quali, si racconta, siano a capo non della fondazione della città, ma bensì di una stirpe regale e giusta di messinesi discendenti da quello che anticamente viene definito come il rione storico della città dello Stretto ovvero: Camaro. Essi prendono dal medioevo, esattamente dagli anni delle crociate in Terra Santa, il nome di Mata (’a Gilantissa) e Grifone ( ‘u Gilanti).
Insieme ai giganti sfila per le vie del centro cittadino anche un Cammello, chiamato in dialetto messinese ‘u camiddu, italianizzato ne "il Cammellaccio". Due uomini dal di dentro muovono e fanno ballare a suon di canti popolari il quadrupede africano. La storia du camiddu deriva dalla liberazione della Sicilia da parte di Re Ruggero I il normanno, il quale entrò trionfalmente a Messina bagordando, dopo aver visto la Fata Morgana nello Stretto, in sella ad un cammello barbaresco carico di spoglie e i messinesi grati al Re Normanno mettevano nella bocca del Cammello ogni sorta di mercanzia. Per molti secoli sull’intelaiatura era stesa la vera pelle del cammello di Ruggero, ossequiosamente conservata dopo la sua morte come una reliquia (similmente alle antichissime usanze egizie) ma andata perduta nelle ultime devastazioni.
Ma c'è anche una versione meno "eroica" della storia del cammello e cioè che forse alludeva alle imposte riscosse al tempo della dominazione araba (che si portavano via a dorso di cammello); tesi avvalorata dal fatto che durante il corteo, tutto attorno a lui camminavano persone, vestite in modo strano, che imitava i saraceni nelle fogge d’abbigliamento e nei balli.
Questa machina ferina è costituita da testa, collo, tronco e coda di cammello dal pelo simulato di color maggese e ricoperto di bardatura in tessuto rosso bordato d’oro, montato su ossatura lignea sostenuta da due uomini che fanno delle proprie gambe le sue zampe, indossando (prima) i pantaloni bianchi dei Portatori dei Giganti.
Di quest’animale festivo se ne parla dalla fine del Cinquecento, ma fu lasciato più volte per decenni in deposito nel corso dei secoli e in quest’epoca addirittura ha ripreso piede solamente da un ventennio, dopo anni e anni d’oblio.
Ma com'era nel passato com’era l’apparizione di questa bizzarra figura; Placido Samperi, nel 1644, ne fornisce questa descrizione: “Va per tutto quel dì (14 agosto) e ne seguenti ancora per le pubbliche strade ballando e scherzando con la plebe minuta, un finto cammello, accompagnato da alcuni mascherati, come Saraceni, usanza, c’ha men periti sembra una inettia plebea e una stolta melansagine, al parere però dei Savij e degli eruditi una pia e rimembranza della vittoria del Conte Ruggieri quando scacciati con l’aiuto dei messinese li saraceni entrò nella città di Messina trionfante nell’anno 1061, come alcuni vogliono, non su l’ampia schiena di smisurato elefante o d’orgoglioso Leone, come i Cesari e i Pompei tirati da questi animali, ma sopra il dorso di un barbaro Camello guernito all’arabesca. Quindi é che gli antichi Messinesi nell’anniversaria solennità della Vergine, per la memoria immortale di quella Trionfale giornata, fabbricarono un finto Cammelo, che andasse attorno alla città e destasse gli animi alla ricordanza della ricevutà libertà opera della Beata Vergine…”
Houel nel 1776 vide il cammello e scrisse: “Fin dal mattino alcuni uomini del popolo portano in giro per le strade una pelle di cammello che essi assicurano essere la spoglia di quello che montava Ruggiero…” . Invece, Richard The Saint-Non nel 1785 affermò: “ Il 12 si prende dal deposito delle religiose di S. Chiara un’antica pelle di cammello che si assicura essere proprio quella del cammello del conte Ruggiero…”. Inoltre, W. H. Smith nell’ 823 descrive un: “ .. enorme cammello di stoffa….vien messo in mossa per le strade seguito da cavalieri in costumi saraceni”.
Nel Poliorama pittoresco del 1883 si legge: “due uomini sottentrano al cammello e, facendone con apposito meccanismo muovere il collo e la bocca, prendono per le vie e carne e pane e frutta fra le risa e gli applausi della moltitudine”. Infine, vi é la testimonianza di una monaca benedettina Enrichetta Caracciolo che nel 1839 scrive: “una pelle di cammello, da’ messinesi chiamato Beato copre due altri uomini della plebe. Il cammello si accosta ai venditori di ogni genere e questi per devozione intromettono nella bocca spalancata del questuante quadrupede una porzione della loro merce, la quale viene raccolta in sacchi per le spese della festa.”.
Nel 1888, L'Illustrazione popolare di Milano fornisce questa descrizione con dovizia di particolari: "Il secondo giorno usciva il cosidetto camiddu: cammello. Era una costruttura in legno che imitava la forma dell'infatícabile quadrupede del deserto. Camminando apriva e chiudeva la bocca, e da essa l'uomo che era nell'ordegno, allungava la mano per ghermire tutto ciò.che gli veniva fatto trovare; cosicché allo spettatore ingenuo riusciva completa l'illusione che il camiddu mangiasse davvero. E mangiava voracemente. Nessuna bottega era risparmiata. La bestia rapace gironzolava qua e là rompendo con moti repentini il cerchio fitto, ondeggiante della folla che, ai tiri astutissimi, si smascellava dalla risa. Pane, bottiglie di vino, chincaglie, formaggi; tutto ciò che i bottegai mette vano in bella mostra presso l'ingresso del negozio, era trangugiato dalla bocca vorace. Il primo a ridere dei tiro era il bottegaio derubato".
Nella tradizione odierna, il Cammellaccio giunge, anzi irrompe, per le vie di Messina, a più riprese: precede d’un giorno i Giganti aprendo il Ferragosto e alla loro uscita li accompagna. Ma è la vigilia dell’Assunzione il giorno suo in cui si muove in totale autonomia, anche se nel Cinquecento forse bazzica attorno alla Vara. Ha un’andatura incerta ma fin troppo sicura, come se fosse ubriaco: percorrendo la strada non tira dritto, ma oscilla e danza, andando quasi a sbattere da un lato e poi volgendosi all’altro tracciando un percorso arzigogolato che causa la continua rottura degli accerchiamenti. Qualche volta accelera e trotta, altre volte prende la rincorsa e salta meravigliando la folla.
L’animale colto dall’ebbrezza non è solo: quelli che lo accompagnano sono i Saraceni, vestiti perlopiù di bianco all’arabesca, alcuni ballano, uno di loro suona la zampogna con ritmo incalzante istigando l’animale imbizzarrito nel suo bagordo, altri sono flautisti e tamburini. Ma non è lasciato a sé stesso il Cammellaccio, e questo fa pensare che sia malignamente condotto: appiedato, ne tiene le redini un uomo dall’aspetto minaccioso e rubicondo al tempo stesso, vestito similmente agli altri Saraceni ma con una lunga barba appuntita e un copricapo a punta cadente, che con la mano libera brandisce un bastoncello alla cui estremità sono fissate vesciche di maiale che usa per scudisciare i malcapitati ch’egli trova rei di qualcosa, mentre altri portano una scatola per raccogliere denari.
Nei secoli passati, il cammello ha gola cava e in essa può scivolare tutto il cibo che gli viene ammannito o che decide d’ingurgitare di propria sponte, finendo in una sacca stomacale situata fra i due portatori; infatti s’aggira fra le botteghe e fa razzia dei viveri esposti, con il benestare dei mercanti che in quest’unica occasione accettano d’essere derubati, anche se anticamente, a fine sfilata si raccoglievano tutti i beni e questi venivano distribuiti alla popolazione più povera della città.
L'insaziabile fame e la irrefrenabile rapacità del cammellaccio, divennero proverbiali tanto che un tempo, a Messina, di persona arraffatrice si era soliti dire: "Fa comu `u camiddhu!".
Insieme ai giganti sfila per le vie del centro cittadino anche un Cammello, chiamato in dialetto messinese ‘u camiddu, italianizzato ne "il Cammellaccio". Due uomini dal di dentro muovono e fanno ballare a suon di canti popolari il quadrupede africano. La storia du camiddu deriva dalla liberazione della Sicilia da parte di Re Ruggero I il normanno, il quale entrò trionfalmente a Messina bagordando, dopo aver visto la Fata Morgana nello Stretto, in sella ad un cammello barbaresco carico di spoglie e i messinesi grati al Re Normanno mettevano nella bocca del Cammello ogni sorta di mercanzia. Per molti secoli sull’intelaiatura era stesa la vera pelle del cammello di Ruggero, ossequiosamente conservata dopo la sua morte come una reliquia (similmente alle antichissime usanze egizie) ma andata perduta nelle ultime devastazioni.
Ma c'è anche una versione meno "eroica" della storia del cammello e cioè che forse alludeva alle imposte riscosse al tempo della dominazione araba (che si portavano via a dorso di cammello); tesi avvalorata dal fatto che durante il corteo, tutto attorno a lui camminavano persone, vestite in modo strano, che imitava i saraceni nelle fogge d’abbigliamento e nei balli.
Questa machina ferina è costituita da testa, collo, tronco e coda di cammello dal pelo simulato di color maggese e ricoperto di bardatura in tessuto rosso bordato d’oro, montato su ossatura lignea sostenuta da due uomini che fanno delle proprie gambe le sue zampe, indossando (prima) i pantaloni bianchi dei Portatori dei Giganti.
Di quest’animale festivo se ne parla dalla fine del Cinquecento, ma fu lasciato più volte per decenni in deposito nel corso dei secoli e in quest’epoca addirittura ha ripreso piede solamente da un ventennio, dopo anni e anni d’oblio.
Ma com'era nel passato com’era l’apparizione di questa bizzarra figura; Placido Samperi, nel 1644, ne fornisce questa descrizione: “Va per tutto quel dì (14 agosto) e ne seguenti ancora per le pubbliche strade ballando e scherzando con la plebe minuta, un finto cammello, accompagnato da alcuni mascherati, come Saraceni, usanza, c’ha men periti sembra una inettia plebea e una stolta melansagine, al parere però dei Savij e degli eruditi una pia e rimembranza della vittoria del Conte Ruggieri quando scacciati con l’aiuto dei messinese li saraceni entrò nella città di Messina trionfante nell’anno 1061, come alcuni vogliono, non su l’ampia schiena di smisurato elefante o d’orgoglioso Leone, come i Cesari e i Pompei tirati da questi animali, ma sopra il dorso di un barbaro Camello guernito all’arabesca. Quindi é che gli antichi Messinesi nell’anniversaria solennità della Vergine, per la memoria immortale di quella Trionfale giornata, fabbricarono un finto Cammelo, che andasse attorno alla città e destasse gli animi alla ricordanza della ricevutà libertà opera della Beata Vergine…”
Houel nel 1776 vide il cammello e scrisse: “Fin dal mattino alcuni uomini del popolo portano in giro per le strade una pelle di cammello che essi assicurano essere la spoglia di quello che montava Ruggiero…” . Invece, Richard The Saint-Non nel 1785 affermò: “ Il 12 si prende dal deposito delle religiose di S. Chiara un’antica pelle di cammello che si assicura essere proprio quella del cammello del conte Ruggiero…”. Inoltre, W. H. Smith nell’ 823 descrive un: “ .. enorme cammello di stoffa….vien messo in mossa per le strade seguito da cavalieri in costumi saraceni”.
Nel Poliorama pittoresco del 1883 si legge: “due uomini sottentrano al cammello e, facendone con apposito meccanismo muovere il collo e la bocca, prendono per le vie e carne e pane e frutta fra le risa e gli applausi della moltitudine”. Infine, vi é la testimonianza di una monaca benedettina Enrichetta Caracciolo che nel 1839 scrive: “una pelle di cammello, da’ messinesi chiamato Beato copre due altri uomini della plebe. Il cammello si accosta ai venditori di ogni genere e questi per devozione intromettono nella bocca spalancata del questuante quadrupede una porzione della loro merce, la quale viene raccolta in sacchi per le spese della festa.”.
Nel 1888, L'Illustrazione popolare di Milano fornisce questa descrizione con dovizia di particolari: "Il secondo giorno usciva il cosidetto camiddu: cammello. Era una costruttura in legno che imitava la forma dell'infatícabile quadrupede del deserto. Camminando apriva e chiudeva la bocca, e da essa l'uomo che era nell'ordegno, allungava la mano per ghermire tutto ciò.che gli veniva fatto trovare; cosicché allo spettatore ingenuo riusciva completa l'illusione che il camiddu mangiasse davvero. E mangiava voracemente. Nessuna bottega era risparmiata. La bestia rapace gironzolava qua e là rompendo con moti repentini il cerchio fitto, ondeggiante della folla che, ai tiri astutissimi, si smascellava dalla risa. Pane, bottiglie di vino, chincaglie, formaggi; tutto ciò che i bottegai mette vano in bella mostra presso l'ingresso del negozio, era trangugiato dalla bocca vorace. Il primo a ridere dei tiro era il bottegaio derubato".
Nella tradizione odierna, il Cammellaccio giunge, anzi irrompe, per le vie di Messina, a più riprese: precede d’un giorno i Giganti aprendo il Ferragosto e alla loro uscita li accompagna. Ma è la vigilia dell’Assunzione il giorno suo in cui si muove in totale autonomia, anche se nel Cinquecento forse bazzica attorno alla Vara. Ha un’andatura incerta ma fin troppo sicura, come se fosse ubriaco: percorrendo la strada non tira dritto, ma oscilla e danza, andando quasi a sbattere da un lato e poi volgendosi all’altro tracciando un percorso arzigogolato che causa la continua rottura degli accerchiamenti. Qualche volta accelera e trotta, altre volte prende la rincorsa e salta meravigliando la folla.
L’animale colto dall’ebbrezza non è solo: quelli che lo accompagnano sono i Saraceni, vestiti perlopiù di bianco all’arabesca, alcuni ballano, uno di loro suona la zampogna con ritmo incalzante istigando l’animale imbizzarrito nel suo bagordo, altri sono flautisti e tamburini. Ma non è lasciato a sé stesso il Cammellaccio, e questo fa pensare che sia malignamente condotto: appiedato, ne tiene le redini un uomo dall’aspetto minaccioso e rubicondo al tempo stesso, vestito similmente agli altri Saraceni ma con una lunga barba appuntita e un copricapo a punta cadente, che con la mano libera brandisce un bastoncello alla cui estremità sono fissate vesciche di maiale che usa per scudisciare i malcapitati ch’egli trova rei di qualcosa, mentre altri portano una scatola per raccogliere denari.
Nei secoli passati, il cammello ha gola cava e in essa può scivolare tutto il cibo che gli viene ammannito o che decide d’ingurgitare di propria sponte, finendo in una sacca stomacale situata fra i due portatori; infatti s’aggira fra le botteghe e fa razzia dei viveri esposti, con il benestare dei mercanti che in quest’unica occasione accettano d’essere derubati, anche se anticamente, a fine sfilata si raccoglievano tutti i beni e questi venivano distribuiti alla popolazione più povera della città.
L'insaziabile fame e la irrefrenabile rapacità del cammellaccio, divennero proverbiali tanto che un tempo, a Messina, di persona arraffatrice si era soliti dire: "Fa comu `u camiddhu!".
(dal web)
_________________
I testi e le immagini sono stati pubblicati credendo di non violare alcun diritto acquisito, se così non fosse vi preghiamo di informarci immediatamente per la cancellazione del materiale protetto da copyright.
Et si omnes, ego non
A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio
La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli
Stupidi si nasce, ma ridicoli ci si diventa
Wenn meine Großmutter Räder hätte, wäre sie ein Fahrrad
Permessi in questa sezione del forum:
Non puoi rispondere agli argomenti in questo forum.
|
|