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Chi era Goliarda Sapienza Empty Chi era Goliarda Sapienza

Mar 7 Nov 2023 - 18:53
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Goliarda Sapienza nasce a Catania il 10 maggio del 1924. I suoi genitori sono l’avvocato Giuseppe Sapienza (1880-1049) e la sindacalista lombarda Maria Giudice (1880-1953), prima donna a capo della Camera del Lavoro di Torino. Giuseppe e Maria si conoscono quando sono entrambi vedovi e quarantenni: hanno tre figli l’uno e sette l'altra.
I  genitori di Goliarda hanno un’intesa non solo sentimentale, ma anche di natura politica: partecipano attivamente ad alcune delle lotte sociali in Sicilia e dirigono il giornale “Unione”. Nel biennio 1920-1922 il figlio maggiore di Giuseppe, Goliardo Sapienza, viene trovato morto in mare. A Goliarda tocca dunque l’eredità del nome.
Cresce in un clima di libertà dai vincoli sociali sebbene, in alcuni casi, avverta la “pesantezza” di alcune interne alla casa: tre dei suoi fratellastri muoiono più che adolescenti; il padre ha molte donne e si dedica con fervore all’attività di “avvocato del popolo”; il ruolo forte e deciso della madre. In alcuni dei suoi lavori più autobiografici, Goliarda Sapienza racconterà poi aneddoti e vicende legati all’ambiente famigliare.
Emerge, sin da quando è bambina la sua capacità di affabulare con la parola. Ha doti artistiche da attrice, ballerina e cantante. La sua salute, tuttavia, è abbastanza cagionevole, si ammala anche in modo grave, come nel caso della difterite e della tubercolosi.


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Amante del teatro, il padre Peppino la sostiene con grande fiducia, iscrivendola, a sua insaputa, all’esame di ammissione per entrare all’Accademia di Arte Drammatica di Roma diretta da Silvio D’Amico. Nell’autunno del 1941 Goliarda e la madre intraprendono il viaggio verso Roma. Con la gioia nel cuore e la paura di non esserne all’altezza, la scrittrice viene ammessa all’Accademia grazie all’enfasi della sua recitazione.
L’euforia di poter accedere alla scuola d’arte drammatica più illustre d’Italia si sostituisce presto alla sofferenza di essere stata ammessa con riserva: il talento c’è, ma prima della fine dell’anno, allo scadere di tre mesi, deve dimostrare di aver saputo correggere la sua disastrosa pronuncia siciliana. Quel che sembrava in apparenza impraticabile diviene possibile grazie alla sua incrollabile volontà.
Il debutto a teatro avviene nel 1942 con l’interpretazione di Dina nella pièce Così è (se vi pare) di Pirandello. Un applauso «lungo» e «compatto» segna il suo trionfo. Finita la guerra, però, Goliarda decide di abbandonare l’Accademia per tentare la sua strada personale con il progetto T45, fondato insieme a Silverio Blasi, Mario Landi e Valeria Ravot. La compagnia mette in scena Gioventù malata di Ferndinand Bruckner ottenendo grande successo ma, dopo alcune repliche, la rappresentazione viene bloccata dalla polizia perché giudicata scandalosa e violenta.
La prospettiva di non poter realizzare un teatro nel modo in cui lei lo intende porta Goliarda a prendere la decisione di lasciare le tavole del palcoscenico e interessarsi sempre più al cinema, spinta probabilmente anche dal suo compagno Citto Maselli, esordiente regista del cinema italiano, che conosce in quegli stessi anni e con il quale istaura un rapporto di intenzioni, idee e insegnamenti che non si esaurisce neppure dopo la fine della loro relazione, durata ben diciotto anni.


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Goliarda fa il suo esordio di fronte alla macchina da presa nel 1946 con Alessandro Blasetti; il suo contributo attoriale però si esaurisce in pochi titoli, sette in tutto, attraverso l’interpretazione di piccoli ma folgoranti ruoli con i più grandi nomi del cinema neorealista: Un giorno della vita (A. Blasetti, 1946), Fabiola (A. Blasetti, 1948), Persiane chiuse (L. Comencini, 1950), Altri tempi, episodio La morsa (A. Blasetti, 1951), Senso (L. Visconti, 1954), Gli sbandati (C. Maselli, 1955), Lettera aperta a un giornale della sera (C. Maselli, 1970).


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Prima di diventare scrittrice la vita di Goliarda è intensa. Frequenta ambienti esclusivi e lavora, oltre che con Maselli, con registi come Luigi Comencini, Alessandro Blasetti, Cesare Zavattini e Luchino Visconti: prendendo parte attivamente alla corrente del neorealismo italiano, luogo per eccellenza di partecipazione civile, politica e morale di quel tempo. Vivendo direttamente, ma in maniera critica, il mondo artistico, impara a riconoscerne le contraddizioni e a costruirsi una personalità propria, che la scrittura letteraria fa emergere in tutta la sua potenza.

Il bisogno di esprimere se stessa attraverso la scrittura emerge per Goliarda in seguito all’evento tragico della morte della madre, avvenuta il 5 febbraio 1953. Il distacco da Maria segna profondamente Sapienza conducendola a una ricerca quasi ossessiva dell’immagine materna, in un processo di recupero memoriale che marca in modo costante il suo stile narrativo. L’esordio letterario di Goliarda, o come ben definisce Angelo Pellegrino l’«atto di nascita» della sua vocazione letteraria, risale alla stesura durante gli anni Cinquanta delle poesie poi confluite in Ancestrale (La Vita Felice, 2013), che comprende una sezione in dialetto dal titolo Siciliane (già pubblicata da Il Girasole, 2012).
Nelle poesie c’è la volontà da parte di Sapienza di rievocare le figure della madre e del padre e di ritornare con il ricordo al vissuto familiare dell’infanzia. Nello stesso periodo Goliarda si mette alla prova anche con la prosa, con i racconti di Destino coatto (Empiria, 2002). Con queste opere l’autrice inizia ad addentrarsi nel campo della scrittura autobiografica, a cui fa seguito il progetto del ciclo memoriale dell’«autobiografia delle contraddizioni». Lettera aperta (1967), Il filo di mezzogiorno (1969), entrambi pubblicati da Garzanti, nascono nel tentativo del recupero dei ricordi a scopo terapeutico, a margine cioè dell’analisi intrapresa dopo le devastanti sedute di elettroshock a cui era stata sottoposta a causa del suicidio mancato.


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Il periodo che va dal 1969 al 1976 è dedicato alla stesura del suo grande romanzo, L’arte della gioia. Goliarda si rinchiude nella casa di Gaeta per molti anni e trascorre le sue giornate nella creazione del suo unico personaggio di finzione, Modesta, una donna libera sessualmente, ideologicamente e politicamente. Dopo un’intricata vicenda editoriale e un’infinita serie di rifiuti, la prima parte de L’arte della gioia viene pubblicata nel 1994 presso Stampa Alternativa, che nel 1998 propone la versione integrale; ma il caso Goliarda Sapienza esplode in Italia dieci anni dopo a seguito della scoperta del capolavoro all’estero: la casa editrice francese Viviane Hamy pubblica infatti per prima l’edizione integrale tradotta de L’Art de la joie (2005), segue la pubblicazione tedesca In den Himmel stürzen (2006), quelle spagnole L’art de viure (2007) e El arte del placer (2007) fino ad arrivare all’edizione italiana di Einaudi nel 2008.


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Dopo L’arte della gioia, Sapienza si dà alla composizione di altri capitoli dell’«autobiografia delle contradizioni»: Io, Jean Gabin, la cui stesura si colloca probabilmente alla fine degli anni Settanta, pubblicato postumo da Einaudi nel 2010 e i racconti dell’esperienza di Rebibbia. Dopo il breve periodo di reclusione in carcere, dovuto a un furto di gioielli, Goliarda decide di narrare la sua ‘avventura’ in prigione in L’università di Rebibbia (Rizzoli, 1983) e Le certezze del dubbio (Pellicanolibri, 1987). In entrambi i testi la parentesi carceraria viene rievocata come un momento di formazione, un’ulteriore occasione di apprendistato alla vita.
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Goliarda Sapienza muore il 30 agosto del 1996, scrittrice senza fama, ex attrice del neorealismo italiano. Ma è oggi riconosciuta tra le maggiori autrici letterarie italiane del Novecento.

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Fonti: arabeschi.it, siciliafan.it, enciclopediadelledonne.it

Fotografie: web

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Vivere senza leggere è pericoloso, ci si deve accontentare della vita, e questo comporta notevoli rischi.
(Michel Houellebecq)
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