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I Pupi Siciliani Empty I Pupi Siciliani

Mer 16 Nov 2022 - 10:23

I Pupi Siciliani



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L’ Opera dei Pupi è un particolare tipo di teatro delle marionette che si affermò stabilmente nell’Italia meridionale e soprattutto in Sicilia tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento.
I pupi, dal latino “pupus” che significa bambino, sono appunto le marionette (simbolo di riscatto di una classe sociale).
I pupi siciliani si distinguono dalle altre marionette essenzialmente per la loro meccanica di manovra e per il repertorio, costituito quasi per intero da narrazioni cavalleresche.

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Le marionette del Settecento venivano animate dall’alto per mezzo di una sottile asta metallica collegata alla testa attraverso uno snodo e per mezzo di più fili, che consentivano i movimenti delle braccia e delle gambe.
In Sicilia, nella prima metà dell’Ottocento, un geniale artefice di cui si ignora il nome escogitò gli efficaci accorgimenti tecnici che trasformarono le marionette in pupi.
Egli fece in modo che l’asta di metallo per il movimento della testa non fosse più collegata ad essa tramite uno snodo, ma la attraversasse dall’interno e, cosa ben più importante, sostituì il sottile filo per l’animazione del braccio destro con la robusta asta di metallo, caratteristica del pupo siciliano.
Questi nuovi espedienti tecnici consentirono di imprimere alle figure animate movimenti più rapidi, diretti e decisi, e perciò e efficaci per imitare sulla scena duelli e combattimenti, che tanta parte avevano nelle storie cavalleresche.
Esistono in Sicilia due differenti tradizioni dell’Opera dei Pupi: quella palermitana, affermatasi nella capitale e diffusa nella parte occidentale dell’isola con la Famiglia Cuticchio, e quella catanese con don Gaetano Crimi (1807 - 1877), il quale aprì il suo primo teatro nel 1835.
Le due tradizioni differiscono per dimensioni e peso dei pupi, per alcuni aspetti della meccanica e del sistema di manovra, ma soprattutto per una diversa concezione teatrale e dello spettacolo, che ha fatto sì che nel catanese si affermasse un repertorio cavalleresco ben più ampio di quello palermitano e per molti aspetti diverso.
I Pupi riccamente decorati e cesellati, con una struttura in legno, avevano delle vere e proprie corazze e variavano nei movimenti a seconda della scuola di appartenenza in palermitani o catanese. La differenza più evidente stava nelle articolazioni: leggeri e snodabili i palermitani (comunque difficili da manovrare), più pesanti e con gli arti fissi i catanesi (ma più semplici da manovrare).
Il puparo, curava lo spettacolo, le sceneggiature, i pupi, e con un timbro di voce particolare riusciva a dare suggestioni e ardore alle scene epiche rappresentate. I pupari, pur essendo molto spesso analfabeti, conoscevano a memoria opere come la Chanson de Roland, la Gerusalemme liberata e l'Orlando furioso.
Ogni pupo rappresentava tipicamente un preciso paladino, caratterizzato per la corazza ed il mantello e gli spettatori usavano parteggiare per uno. Generalmente si contrapponevano, fra tutti, i sostenitori delle due figure più amate:
Orlando e Rinaldo, il primo con il mantello rosso e l'Aquila sull'elmo e il secondo con il mantello verde e il Leone sull'elmo.

Orlando



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Rinaldo

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Altre figure di rilievo: Carlo Magno, Angelica, Gano di Magonza (il traditore), i saraceni: Rodomonte, Mambrino, Ferraù, Agramante, Marsilio, Agricane.

Carlo Magno


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Angelica



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Gano di Maganza (o Magonza)



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Rodomonte



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Ferraù



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Ruggero



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Zanclea



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Gli esperti e gli appassionati conoscono anche Peppenninu, la maschera popolare catanese scudiero di Orlando e Rinaldo, mentre a Palermo lo scudiero era rappresentato da 'Nofrio.

il catanese Peppenninu



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il palermitano 'Nofrio



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Spesso la rappresentazione, si chiudeva con la farsa, uno spettacolo di marionette di tono licenzioso e buffo, con temi tratti dai personaggi delle tradizioni favolistiche siciliane. A volte i pupari, per trasmettere contenuti non graditi alle autorità si servivano di un gergo (comune ai malavitosi) detto baccagghiu (baccaglio).

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Oggi operano ancora la Famiglia Napoli a Catania e la Famiglia Cuticchio a Palermo.

i catanesi fratelli Napoli



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il palermitano Mimmo Cuticchio



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A Messina di notevole rilievo storico è la Famiglia Gargano, ultima famiglia operante rimasta a Messina. Con le sue cinque generazioni consecutive la Famiglia Gargano è tra le più antiche esistenti. Oltre ad una ricca collezione di pupi possiede rari manoscritti di fine '800.

il messinese Gargano ed i suoi Pupi



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A questa si aggiungeva anche la famiglia Cimarosa. Sempre al Villaggio Gesso la Famiglia Curcio ha una notevole collezione di Pupi siciliani.

I Pupi della Famiglia Curcio al Villaggio Gesso



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Oggi a Messina, oltre alla Famiglia Gargano, opera anche la Compagnia Marionettistica dell'Ippogrifo che si avvale della guida del Maestro Francesco Cortese, detto Gigi, appartenente all'antica famiglia messinese di manianti (manianti erano le persone che muovevano i Pupi), arte appresa dal padre Ettore massima espressione nell'arte del maneggio dei Pupi.

I Pupi della Compagnia dell'Ippogrifo di Messina



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Se a Catania hanno Peppenninu a Messina c'è Lillu Scagghiozza che fa da scudiero a Orlando. Tutti i pupi sono stati realizzati da Enzo Caruso. La compagnia del'Ippogrifo mette in scena anche quattro Marionette che raccontano i fatti quotidiani cittadini.
A Messina non esiste un Teatro Stabile dei Pupi, grande desiderio della Famiglia Gargano. Don Venerando diceva sempre: "I Sindaci passano i Pupi restano".
Una ricca collezione di Pupi la si può ammirare al Museo Internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino ed al Museo Etnografico Siciliano Giuseppe Pitrè di Palermo.

il Museo Internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino



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il Museo Etnografico Siciliano Giuseppe Pitrè



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A Giarre è presente un museo-teatro dell'Opera dei Pupi nella sede della Pro loco.

il museo-teatro dell'Opera dei Pupi



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A Caltagirone al Teatro-Museo dei Pupi siciliani di via Verdumai.

il Teatro-Museo dei Pupi siciliani



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A Randazzo presso il Museo Civico Vagliasindi.

il Museo Civico Vagliasindi



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Ad Acireale presso il Museo dell'Opera dei Pupi Turi Grasso sito in via nazionale nella frazione Capomulini di Acireale.

il Museo dell'Opera dei Pupi Turi Grasso



I Pupi Siciliani Acireale



A Messina al Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani al Villaggio Gesso aperto tutte le domeniche.

il Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani



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Mi piace concludere questa escursione nel mondo dei Pupi siciliani con due poesie di Trilussa, che pur richiamando la magia di questo mondo incantato, lo incatenano alla triste realtà della vita quotidiana:

Guarda li burattini su la scena
co che importanza pijeno la cosa:
guarda er gueriero ch’aria contegnosa,
come se sbatte bene, come mena.
Vince tutti, è teribbile, ma appena,
la mano che lo move s’ariposa,
l’eroe se ‘ncanta e resta in una posa
che spesso te fa ride o te fa pena.
(Trilussa)

Li burattini, doppo lavorato,
finischeno ammucchiati in un cantone,
tutti in un mazzo, senza fà questione
sopra la parte ch’hanno recitato.
Così ritrovi er boja abbraccicato
ar prete che je dà l’assoluzzione,
mentre l’eroe rimane a pennolone
vicino a li nemichi ch’ha ammazzato.
E’ solo lì ch’esiste un’uguajanza,
che t’avvicina er povero pupazzo
ar burattino che se dà importanza.
(Trilussa)




(dal web)
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I Pupi Siciliani Empty Le avventure (fantasy) le vivi in Sicilia

Mer 14 Giu 2023 - 18:03
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In Sicilia il fantasy non è mai stato un genere "per ragazzi", come oggi in maniera estremamente erronea la critica letteraria italiana e anche l’opinione pubblica purtroppo intendono, era tutt’altro.

Per di più, il fantasy usciva dai libri, diventava legno, metallo e stoffa, diventava voce e movimento: diventava pupo, l’Opera dei Pupi! Animali favolosi, cavalieri imbattibili, mostri orrendi, amazzoni coraggiose, maghi e streghe, armi magiche, interventi soprannaturali, oggetti prodigiosi, insieme a congiure e complotti, battaglie epocali, difficili scelte che cambiano il destino, la lotta per la libertà e per la giustizia: queste e molte altre cose troviamo in queste nostre storie che cominciarono forse nel tardo Settecento, non manca nulla.
È un’arte e un genere che ha rischiato di sparire, ingiustamente, e che in quest’epoca può e deve rifiorire. Furono la novità del cinema prima e della televisione poi a soppiantare l’Opera dei Pupi nel secolo scorso, ma in una società annoiata come quella odierna, la cosa più entusiasmante potrebbe essere tornare all’origine con occhi nuovi e mente più aperta.
Il vasto corpus dell’Opera dei Pupi – di tradizione catanese, palermitana o napoletana – spazia dai copioni e i canovacci degli opranti ai romanzi che potremmo definire "neo-cavallereschi" realizzati spesso a posta per fare da repertorio, ed è costituito in maniera preponderante da materiale di genere fantastico, e questa è la sua peculiarità come teatro di figura.
Anziché nascere in romanzi di precisi autori, il fantasy "puparesco" nasceva per il teatro, con copioni e canovacci, e delle storie scritte nella fase più antica spesso non conosciamo nemmeno gli autori; sfortunatamente quelli noti non vengono ancor presi in considerazione nemmeno nella letteratura locale, per il loro stile semplice, a dispetto della loro immensa creatività


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Il nucleo dell’Opera dei Pupi è "I Paladini di Francia", la raccolta di poemi e romanzi del ciclo carolingio che nel 1860 furono cuciti assieme dal palermitano Giusto Lodico, con l’aggiunta di storie e personaggi nuovi d’invenzione siciliana. Tale è l’importanza delle imprese di Orlando e Rinaldo che addirittura erroneamente si crede che l’Opera dei Pupi non sia fatta d’altro!
Questa nostra letteratura ha quattro grandi prolifici autori: Gaetano Crimi, padre della tradizione catanese, che nel primo XIX secolo scrisse i primi copioni della “Storia Greca” (gli eroi greci) e quasi tutte le storie neo-cavalleresche (alcune rappresentate anche a Palermo).
Rosario Gargano che nel 1880 cominciò con il "Bellisario da Messana" la lunga "Storia di Messina" e altri drammi, Costantino Catanzaro catanese che completò la "Storia Greca" e tra 1904 e 1906 pubblicò i romanzi che divennero la storia più lunga (cronologicamente) dell’Opera ovvero "Guido di Santa Croce", e Giuseppe Leggio palermitano che fu editore di pressoché tutti i romanzi cavallereschi utili all’Opera e autore egli stesso d’alcuni d’essi tra cui i sequel ai “Paladini di Francia”.


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Perché il fantasy piace? Perché stimola la naturale fantasia (appunto) umana, permette di proiettare in altre dimensioni storie e figure ideali o archetipiche, esplorare tutte le possibilità di ciò ch’è stato, è e sarà. Perché un pubblico moderno, un pubblico giovane, abituato a “Il Signore degli Anelli” e a “Il Trono di Spade” dovrebbe seguire ancor oggi l’Opera dei Pupi?
La risposta è semplice: proprio perché è abituato a quelle opere! Seguitando la letteratura cavalleresca rinascimentale e barocca, che già aveva abbandonata la storicità in favore della fantasia pur mantenendo il mondo reale come ambientazione, in Sicilia il filone è continuato in una forma che si colloca nel mezzo tra quello che potremmo definire il “fantasy arcaico” (cavalleresco appunto) e il "fantasy moderno" che comincia con gli autori d’inizio Novecento.
Nel nostro, il mondo reale apparentemente è ancόra l’ambientazione delle storie, ma invero esso è trasformato ed è anzi la "proiezione fantastica" del nostro mondo, il suo riflesso su qualche specchio magico: la geografia se disegnata dalle descrizioni apparirebbe diversa, cominciano già ad apparire reami fantastici che prefigurano la creazione di sana pianta di mondi immaginarî che sarà propria di John R.R. Tolkien e gli altri che ci hanno donati i loro mondi mirabili e memorabili.
Nel corpus abbiamo persino molteplici “razze” ricorrenti, quasi un must del fantasy, con peculiari pregi e difetti: oltre gli Umani, troviamo le Maghe d’inverosimile bellezza e grande potere magico, i Giganti rozzi e violenti e spesso stolidi, i Diavoli che talvolta sono nemici e talaltra schiavi, gli antichi Centauri d’aspetto ferino e irrequieti, persino gli Dèi che altro non sono che esseri d’inusitata potenza ma nient’affatto onnipotenti.
Ci sono poi altre razze meno frequenti, quali Selvaggi, Angeli e Nani. Per capire i tempi, il ciclo di Kull di Valusia di Robert E. Howard cominciò nel 1929, “Lo Hobbit” di Tolkien uscì nel 1937 e “Il Signore degli Anelli” nel 1954, “Le cronache di Narnia” di C.S. Lewis nel 1950: per certi aspetti il nostro fantasy ha precorso e al tempo stesso è stato pienamente parte della scia che, in maniera ininterrotta, ha portato al genere che oggi sempre più conquista gli allori, in barba alla critica letteraria italiana.
Nelle storie dei pupi noi troviamo i tre maggiori sottogeneri fantasy: l’epico (“high fantasy”), l’eroico (“sword and sorcery”) e quello che definirei “verista” (per esempio, le “Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di George R.R. Martin, più spesso definite “grimdark”), costantemente mescolati tra loro, gli uni talvolta più spiccati degli altri.


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Il fattore strettamente epico sta più sullo sfondo, con l’idea cristiana che c’è stata una creazione e ci sarà una fine, inframezzato da una costante lotta tra il bene e il male nella quale i personaggi sono chiamati a prendere parte.
Non ci sono – come ne "Il Signore degli Anelli" oscuri signori che minacciano i popoli, ma grandi potenze smaniose di conquista che quindi, per forza di cose, incarnano il male, e le più epiche delle battaglie sono quelle che vedono epocali scontri tra imperi, da scongiurare per evitare immani tragedie, come avviene nell’“Erminio della Stella d’Oro”, incredibile profezia delle guerre mondiali (e in tempi non sospetti).
Che cosa sono le vicende dei Paladini di Francia se non la contesa tra le casate di Chiaramonte e Magonza, l’una per difendere l’Imperatore e l’altra per ripristinare l’antico diritto al trono? Politica, guerra, intrigo, in quasi tutti i romanzi e i drammi il bene trionfa sì, ma dopo essere passato da tragedie truculente, spesso con amarezza come nel sottogenere realista e crudo de "Il Trono di Spade", "Cronache del Ghiaccio e del Fuoco" di George Martin, dove sembra quasi che “il bene” non arrivi mai.
Si alternano agli eventi geopolitici le vicende d’eroi ed eroine costantemente in viaggio (come in molti romanzi cavallereschi) in un mondo pericoloso e infame alla ricerca d’avventure, che puntualmente trovano, guadagnando oggetti magici e talvolta immischiandosi volenti o nolenti in affari più grandi.
Questo è il cosiddetto fantasy eroico, che ritroviamo con i personaggi Kull di Valusia e Conan il Barbaro di Howard e, più di recente, con Geralt di Rivia (“The Witcher”) di Andrzej Sapkowski, e nel nostro patrimonio ricorre soprattutto nella “Storia Greca” e molto nei “Paladini di Francia” (ma non solo!).
Alla luce di tutto quanto vi ho detto, sono sicuro che il mondo che gli opranti con i pupi portavano e portano in scena è tutt’altro che lontano dai gusti e dai nostri valori odierni: parte importante d’un genere ormai divenuto universale e amatissimo, esso è più che mai oggi capace di suscitare in maniera unica e peculiare quelle emozioni di cui abbiamo bisogno. Che dire, dame e cavalieri? Torniamo a guardare l’Opera dei Pupi!
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Fonte: balarm.it (Daniele Ferrara)

Fotografie: web

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(Michel Houellebecq)
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