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C'era una volta in Sicilia: fiabe siciliane. La reginotta con le corna Empty C'era una volta in Sicilia: fiabe siciliane. La reginotta con le corna

Mar 10 Gen 2023 - 12:44
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La reginotta con le corna


Si dice che una volta c’era un padre con tre figli che non possedeva altro che una casa. Si vendette la casa, col patto che tre mattoni in mezzo a un muro restassero suoi. Quando fu lì per morire, voleva far testamento; e i vicini gli dicevano: – Ma che eredità volete lasciare, se non possedete più niente? – E i figli non volevano neppure chiamare il notaio. Ma il notaio venne lo stesso e il moribondo gli dettò questo testamento. – A mio figlio grande il primo mattone, al mezzano il secondo, al piccolo il terzo.

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I tre figli, scapestrati, morto il padre conobbero l’appetito e la fame, e il più grande disse: – In questo paese non posso più campare; ora smuro il mattone che m’ha lasciato mio padre e vado per il mondo.
La padrona della casa, quando andò a cavar via il mattone, gli disse che se glielo lasciava e non le rovinava il muro, glielo pagava, ma lui replicò: – Nossignora, mio padre il mattone m’ha lasciato, e io il mattone me lo cavo e me lo prendo –. Smurò il mattone e trovò una piccolissima borsa, si prese mattone e borsa e partì.

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Per via, gli venne fame e tirò fuori la borsa. – O borsa, dammi due grani, che mi compro del pane! – Aperse la borsa e ci trovò due grani.
– O borsa, allora dammi cent’onze! – e nella borsa c’erano cent’onze.
Così seguitò fino a che n’ebbe voglia. Presto fu tanto ricco, da farsi fabbricare un palazzo in faccia a quello del Re. Lui si affacciava dal suo palazzo, e dal palazzo del Re s’affacciava la figlia del Re. Cominciarono a fare all’amore e tanto fece che strinse amicizia col Re e ci andava in casa. La Reginotta, vedendolo più ricco di suo padre, gli disse: – Io ti prendo per marito solo quando mi dici donde ti viene tutto questo danaro.
E lui, bello scemo, si fidò e le mostrò la borsa. Lei fa finta di niente, gli dà a bere dell’oppio e gli mette un’altra borsa uguale al posto della sua. Quando il poveretto se ne accorse, dovette cominciare a vendersi la roba per vivere, fino a che non diventò povero in canna, che non aveva più nemmeno dove cadere morto.
Intanto, gli venne la notizia che suo fratello mezzano era ricco. Andò a trovarlo, l’abbracciò e baciò, si lamentò della sua nera sfortuna e gli domandò in che modo s’era arricchito. Il fratello gli raccontò che non avendo più un soldo era andato a smurare il mattone che aveva ereditato, e sotto ci aveva trovato un ferraiolo. S’era messo il ferraiolo, e per la strada la gente non lo vedeva. Entrò in una bottega, mezzo morto di fame com’era, prese un pane, se n’andò senza che nessuno lo vedesse; andò a rubare dall’argentiere e fece lo stesso, dal merciaio, dal procaccia del Re, finché diventò ricco sfondato.
– Visto che è così, caro fratello, – disse il più grande, – fammi il piacere: imprestami questo mantello perché mi serve e poi te lo rendo –. E il fratello che gli voleva bene glielo prestò.

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Uscì col ferraiolo, e nessuno lo vedeva. Cominciò subito a fare il suo dovere rubando peggio ancora di suo fratello tutto quel che gli capitava sottomano. Quando fu ben rifornito tornò a casa dal Re. La Reginotta vedendolo più ricco di prima ricominciò: – Ma donde ti vengono tanti danari? Se me lo dici, ci sposiamo subito.
E lui, credulone, le disse tutto un’altra volta e le mostrò il mantello. Lei gli fece di nuovo bere vino oppiato e gli sostituì il ferraiolo con un altro. Quando si svegliò, lui s’avvolse nel ferraiolo credendo di non esser visto, e cominciò a girare per il palazzo per ritrovare la sua borsa. Ma lo videro le guardie, lo presero per un ladro e lo cacciarono a legnate.
Il poveretto non sapeva più come fare, e pensò di tornarsene al paese per buscarsi qualche tozzo di pane lavorando. Ma al paese seppe che suo fratello piccolo era un gran riccone: abitava in un bel palazzo, con tanta servitù. Si disse: «Ora vado da mio fratello piccolo, che certo non mi manda via», e così fece.
Il fratello piccolo lo credeva morto, gli fece grandi feste, e gli raccontò com’era arricchito. – Sta’ a sentire, sai che nostro padre mi aveva lasciato l’ultimo mattone, e un giorno che ero disperato lo tirai via per vendermelo. Sotto il mattone ho trovato un corno; appena l’ho visto, m’è venuta voglia di suonarlo, e appena ci ho soffiato dentro sono usciti tanti soldati e hanno detto: «Generale, ai vostri ordini!» Allora io ho ritirato il fiato e i soldati si sono ritirati anche loro. Adesso che avevo capito, girai paesi e città con i miei soldati, facendo battaglie e guerre e raccogliendo più danari che potevo. Quando ne ebbi abbastanza per tutta la vita, tornai qui e mi fabbricai questo palazzo.

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Il fratello, inteso questo racconto, gli domandò la grazia d’avere in prestito il corno, che quando non gli serviva più gliel’avrebbe restituito. Avuto il corno, andò a una città nominata per la sua ricchezza, suonò e cominciarono a uscir soldati. Quando n’ebbe riempito la pianura, ordinò di saccheggiare la città. I soldati non se lo fecero dire due volte e tornarono carichi d’oro, argento e ogni sorta di ricchezze. Così egli si ripresentò alla Reginotta più ricco di prima.
Ma c’era cascato due volte e ci cascò anche la terza: le spiegò il segreto, e lei gli oppiò il vino e gli cambiò il corno. Quando si svegliò il Re e la Regina lo cacciarono via in malo modo perché s’era ubriacato, e lui se ne andò tutto mortificato, e partì per un altro paese con le sue ricchezze.
In un bosco, uscirono dodici ladri e lo volevano derubare. Lui suonò il corno pensando che uscissero i soldati a difenderlo, invece aveva un bello schiantarsi i polmoni a suonare, i ladri lo spogliarono, lo caricarono di bastonate per insegnargli a fare il presuntuoso, e lo lasciarono in terra più morto che vivo ancora col corno in bocca che continuava a suonare. Allora capì che quello non era più il corno fatato e pensando che aveva rovinato sé e i suoi fratelli decise di buttarsi giù da un precipizio.
Cercò un precipizio adatto, andò fin sul muschio del ciglio, e si gettò. Ma a metà altezza sporgeva un albero di fico e lui rimase appeso ai rami.

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Era una pianta carica di fichi neri; pensò: «Almeno che io muoia con la pancia piena», e si mise a farne una panciata.
Ne mangia dieci, ne mangia venti, ne mangia trenta e si trovò ad aver messo più rami lui dell’albero. Perché gli eran spuntate tante corna quanti erano i fichi che aveva mangiato, sulla testa, sulla faccia, sul naso. Come non fosse abbastanza disperato, ora gli succedeva di trovarsi così mostruoso; e si voleva ammazzare più di prima.
Si buttò giù dal fico, nel precipizio, ma con tutte quelle corna si impigliò a un altro fico cento palmi più sotto. Era carico di fichi più dell’altro, ma di fichi bianchi.

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«Corna più di quelle che ho non me ne possono spuntare; e morire per morire tanto vale che mi riempia», e cominciò a mangiare fichi bianchi. Ne aveva mangiato appena tre, e s’accorse che aveva tre corna di meno: continuò, e vide che ogni fico bianco che mangiava era un corno che si ritirava. Ne mangiò tanti da farli scomparire tutti e restò liscio e tondo più di prima.
Quando si vide senza corna, scese dal fico bianco e s’arrampicò pel precipizio fino all’altro fico: colse una bella fazzolettata di fichi neri e se ne andò in città. Travestito da massaro, con i fichi in un canestro se ne andò a Palazzo reale. Era frutta fuori stagione; subito la sentinella lo chiamò e lo fece salire. Il Re gli comprò tutto il canestro e lui prese licenza baciandogli il ginocchio.

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A mezzogiorno il Re e la famiglia si misero a mangiare fichi; più di tutti piacevano alla Reginotta che ne fece una scorpacciata. Erano così infervorati che non alzavano gli occhi dal piatto, e quando li alzarono si videro pieni di corna. La Reginotta poi era una foresta.

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Allora furono presi dalla paura, chiamarono tutti i cerusici della città, ma quelli non ne capivano niente. Allora il Re fece un bando, che chi li liberava da queste corna, gli dava tutto quel che avesse chiesto.
Quando il venditore dei fichi intese il bando, andò all’albero dei fichi bianchi, e ne colse un bel paniere. Si travestì da cerusico e andò dal Re.

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– Reale Maestà, io vi salvo tutti e vi levo le corna.
La Reginotta appena ebbe sentito, s’affrettò a dire: – Maestà, dovete farle levare prima a me, – ed il Re acconsentì.
Il cerusico si fece chiudere in una stanza con la Reginotta e si levò il travestimento. – Mi riconosci o no? Senti cosa ti dico: se mi ridai la borsa che getta quattrini, il ferraiolo che rende invisibili e il corno che getta soldati, ti levo tutte le corna, se no te ne faccio crescere ancora altrettante.
La Reginotta che di aver quelle corna non ne poteva più e che sapeva che quel giovane era sempre in possesso di cose fatate, gli credette. – Se ti restituisco tutto, – disse, – mi devi togliere le corna e poi sposarmi, – e in così dire gli consegnò borsa, ferraiolo e corno.
Lui le fece mangiare tanti fichi bianchi quante corna aveva e la fece tornare come prima; poi fece la stessa cura al Re e alla Regina e a tutti quelli che avevano corna nel Palazzo reale. Il Re gli concesse la Reginotta in moglie, e si sposarono. Il ferraiolo e il corno furono restituiti ai fratelli, e lui si tenne la borsa sputadanari e restò genero del Re per tutta la vita. Il Re morì dopo un anno e lui e sua moglie diventarono Re e Regina.
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(Acireale)

Fonte: Fiabe italiane a cura di Italo Calvino

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