- mamarAdmin
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La moda delle nonne in Sicilia
Sab 21 Set 2024 - 17:08
Un tempo era sconosciuto il concetto di moda, shopping, abbigliamento, estetista, parrucchiere. Non si avevano tanti vestiti: quelli vecchi per stare in casa, quelli molto vecchi per andare in campagna, il nuovo solo per la domenica a messa e per le altre rare uscite.
Eccezionalmente un vestito per un evento particolare. Quando necessitava un vestito nuovo non si andava per negozi, i tessuti si compravano da “u fanninaru”, ambulante che vendeva tagli di stoffa.
Da noi passava ogni primo giovedì del mese don Cristaudo, con una seicento multipla piena zeppa di pezze multicolori, si fermava davanti al cancello e banniava:
- Curriti fimmini, - arrivau u fanninaru, - accattativi nu beddu tagghiu di vistitu..
- Iu aiu a bedda roba, vui sapiti cuciri, e vi faciti nu beddu vistitu..
- curriti ca i megghiu pezzi si stanu pigghiannu…
Quel furgone era un ordinato ammasso di colori, da una parte le tinte unite e dall’altra le fantasie, ulteriormente divise per tipo. Scampoli già tagliati, nella misura necessaria:
- Chistu è un tagghiu pi gonna…
- E cca c’è un tagghiu ppi camicetta…
Aveva anche le spagnolette con il filo, i bottoni e le fodere da abbinare alle stoffe. Chi non era in grado di cucirsi un vestito, andava dalla sarta , nel paese vicino, da "Gispuzza a chiazzisa" che cuciva i vestiti aiutata dalle sue due giovani figlie. Per molti era impegnativo, perché oltre il costo, necessitavano almeno due prove prima di avere il vestito pronto.
C’erano altre sarte, nei paesi vicini, ritenute brave e costose (cucivano per famiglie facoltose) e chi avendone i mezzi e volendo "emergere" esibiva capi realizzati da loro.
Non c’erano molte occasioni per sfoggiare vestiti, l’unica era la messa della domenica e ancora di più nelle feste (chiese affollate) e quelle erano date in cui si puntava tanto per "cumpariri" davanti a più gente possibile.
La sarta aveva i cataloghi con abiti alla moda, chiamati "figurini" sul quale scegliere il modello. Su "Gispuzza" si diceva che tenesse nascosti "i figurini" con le novità, (li tirava fuori l’anno successivo) per realizzare i vestiti all’ultima moda solo per le figlie e per questo i loro abiti li cucivano la notte di nascosto. Spesso diventava di moda quello che era novità, bastava che qualcuno indossasse un modello insolito e tutti pronti a copiare. Poi arrivarono i vestiti “fatti e boni”: il confezionato.
All’inizio solo nei grossi centri, e solo per chi aveva la possibilità di spostarsi. Poi nel paese vicino un commerciante lungimirante fece fortuna con un negozio di abbigliamento che in breve tempo divenne l’oggetto del desiderio dei più. Avere un vestito comprato in quel negozio era diventato uno status symbol.
Molti genitori per accontentare le figlie si indebitarono. Naturalmente le frustrazioni abbondavano, e chi riusciva poi evidenziava sempre la provenienza del vestito. Cominciarono le distinzioni: abito per cerimonia, cerimonia di mattina e cerimonia di sera, per viaggio, per casa.
Poi la necessità di abbinare gli accessori al vestito, scarpe, borse e borsellino adeguati, mantenere lo stesso stile, ed essere alla moda sempre.
- Tutti sti muttetti!..
- a buzza precisa comu i scappi…
- U cappottu comu u vistitu….
Dal parrucchiere si andava poco e solo per tagliare i capelli. Le bimbe li crescevano e i maschietti li tagliavano dal barbiere. La maggior parte delle mamme li teneva lunghi sempre raccolti in chignon ( tuppo) e non ci pensava proprio a tagliarli o a farsi la tinta per coprire i capelli bianchi. Le donne facoltose potevano permettersi "a pettinatrici" che andava a sistemare lo chignon a domicilio tutte le mattine. Nessuno aveva asciugacapelli, e non c’erano shampoo o balsami specifici.
La poca praticità del capello lungo indusse poi le più coraggiose a tagliarsi i capelli, ricercando le pettinature che vedevano nei figurini, attirandosi feroci critiche. Prima diventò necessario andare dal parrucchiere in occasione di un matrimonio, battesimo, poi anche in prossimità delle feste , e cosi succedeva che il giorno prima della festività si arrivava a fare anche 8 ore di fila dall’unico parrucchiere del paese. Prima della messa, in ogni casa dove c’erano ragazze, sembrava il dietro le quinte di una sfilata.
Poi arrivò la minigonna, il trucco e anche l’inferno in molte case, figlie che presero serie bastonate dai padri. Alcune si rassegnarono, le più ostinate aggiravano l’ostacolo tirandosi su la gonna e truccandosi appena lontane da casa.
- Chi malu chiffari…
-Dopu l’occhi tingiuti, ora macari l’ugna si crisciunu longhi e si tingiunu..
- cosi cosi…..me niputi si spinnau i sopraccigli…..e ca lametta si livau tutti i pila….
Per fortuna molti genitori si arresero alla minigonna e al trucco, e dicevano a chi chiedeva conto:
- u ‘mportanti è ca me figghia avi a testa a posto…
- non è a lunghizza da gonna o l’occhiu tingiutu ca fa a fimmina seria...
- Me figghia è a moda comu a tutti l’autri….
Eccezionalmente un vestito per un evento particolare. Quando necessitava un vestito nuovo non si andava per negozi, i tessuti si compravano da “u fanninaru”, ambulante che vendeva tagli di stoffa.
Da noi passava ogni primo giovedì del mese don Cristaudo, con una seicento multipla piena zeppa di pezze multicolori, si fermava davanti al cancello e banniava:
- Curriti fimmini, - arrivau u fanninaru, - accattativi nu beddu tagghiu di vistitu..
- Iu aiu a bedda roba, vui sapiti cuciri, e vi faciti nu beddu vistitu..
- curriti ca i megghiu pezzi si stanu pigghiannu…
Quel furgone era un ordinato ammasso di colori, da una parte le tinte unite e dall’altra le fantasie, ulteriormente divise per tipo. Scampoli già tagliati, nella misura necessaria:
- Chistu è un tagghiu pi gonna…
- E cca c’è un tagghiu ppi camicetta…
Aveva anche le spagnolette con il filo, i bottoni e le fodere da abbinare alle stoffe. Chi non era in grado di cucirsi un vestito, andava dalla sarta , nel paese vicino, da "Gispuzza a chiazzisa" che cuciva i vestiti aiutata dalle sue due giovani figlie. Per molti era impegnativo, perché oltre il costo, necessitavano almeno due prove prima di avere il vestito pronto.
C’erano altre sarte, nei paesi vicini, ritenute brave e costose (cucivano per famiglie facoltose) e chi avendone i mezzi e volendo "emergere" esibiva capi realizzati da loro.
Non c’erano molte occasioni per sfoggiare vestiti, l’unica era la messa della domenica e ancora di più nelle feste (chiese affollate) e quelle erano date in cui si puntava tanto per "cumpariri" davanti a più gente possibile.
La sarta aveva i cataloghi con abiti alla moda, chiamati "figurini" sul quale scegliere il modello. Su "Gispuzza" si diceva che tenesse nascosti "i figurini" con le novità, (li tirava fuori l’anno successivo) per realizzare i vestiti all’ultima moda solo per le figlie e per questo i loro abiti li cucivano la notte di nascosto. Spesso diventava di moda quello che era novità, bastava che qualcuno indossasse un modello insolito e tutti pronti a copiare. Poi arrivarono i vestiti “fatti e boni”: il confezionato.
All’inizio solo nei grossi centri, e solo per chi aveva la possibilità di spostarsi. Poi nel paese vicino un commerciante lungimirante fece fortuna con un negozio di abbigliamento che in breve tempo divenne l’oggetto del desiderio dei più. Avere un vestito comprato in quel negozio era diventato uno status symbol.
Molti genitori per accontentare le figlie si indebitarono. Naturalmente le frustrazioni abbondavano, e chi riusciva poi evidenziava sempre la provenienza del vestito. Cominciarono le distinzioni: abito per cerimonia, cerimonia di mattina e cerimonia di sera, per viaggio, per casa.
Poi la necessità di abbinare gli accessori al vestito, scarpe, borse e borsellino adeguati, mantenere lo stesso stile, ed essere alla moda sempre.
- Tutti sti muttetti!..
- a buzza precisa comu i scappi…
- U cappottu comu u vistitu….
Dal parrucchiere si andava poco e solo per tagliare i capelli. Le bimbe li crescevano e i maschietti li tagliavano dal barbiere. La maggior parte delle mamme li teneva lunghi sempre raccolti in chignon ( tuppo) e non ci pensava proprio a tagliarli o a farsi la tinta per coprire i capelli bianchi. Le donne facoltose potevano permettersi "a pettinatrici" che andava a sistemare lo chignon a domicilio tutte le mattine. Nessuno aveva asciugacapelli, e non c’erano shampoo o balsami specifici.
La poca praticità del capello lungo indusse poi le più coraggiose a tagliarsi i capelli, ricercando le pettinature che vedevano nei figurini, attirandosi feroci critiche. Prima diventò necessario andare dal parrucchiere in occasione di un matrimonio, battesimo, poi anche in prossimità delle feste , e cosi succedeva che il giorno prima della festività si arrivava a fare anche 8 ore di fila dall’unico parrucchiere del paese. Prima della messa, in ogni casa dove c’erano ragazze, sembrava il dietro le quinte di una sfilata.
Poi arrivò la minigonna, il trucco e anche l’inferno in molte case, figlie che presero serie bastonate dai padri. Alcune si rassegnarono, le più ostinate aggiravano l’ostacolo tirandosi su la gonna e truccandosi appena lontane da casa.
- Chi malu chiffari…
-Dopu l’occhi tingiuti, ora macari l’ugna si crisciunu longhi e si tingiunu..
- cosi cosi…..me niputi si spinnau i sopraccigli…..e ca lametta si livau tutti i pila….
Per fortuna molti genitori si arresero alla minigonna e al trucco, e dicevano a chi chiedeva conto:
- u ‘mportanti è ca me figghia avi a testa a posto…
- non è a lunghizza da gonna o l’occhiu tingiutu ca fa a fimmina seria...
- Me figghia è a moda comu a tutti l’autri….
Fonte: balarm.it (Giovanna Caccialupi)
Fotografie: web
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(Michel Houellebecq)
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