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Una caccia primordiale: la caccia al pescespada nello Stretto di Messina Empty Una caccia primordiale: la caccia al pescespada nello Stretto di Messina

Mer 16 Nov 2022 - 14:57

Una caccia primordiale: la caccia al pescespada nello Stretto di Messina



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La caccia del Pesce Spada è “una caccia primordiale, fatta anzitutto di lavoro, poi di ardimento, di straordinaria abilità, di incertezza dell’esito, di varietà di situazioni, di capacità di adattamento, di forza e intelligenza; una competizione dalle origini ancestrali, da graffito preistorico”.

Innanzitutto perché caccia e non pesca? Proprio per le modalità con cui viene effettuata: il pescespada va braccato, inseguito e catturato, proprio come si farebbe in una battuta di caccia. A Messina, è un’arte antichissima che si tramanda di padre in figlio. Si pratica nelle acque dello Stretto, dai primi di maggio e fino a tutto agosto, da oltre duemila anni con l’uso, ad inizio stagione, del sorteggio delle “poste” che cambiano a rotazione ogni settimana.
Per la caccia al Pesce Spada “u lanzaturi” ( il lanciatore) è determinante per la cattura della preda, ma, ciò, è sempre subordinato alla qualità “du ferru” (del ferro, o meglio, dell’asta con l’arpione), un arpione a due punte (draffinera), di probabile origine araba.

'u lanzaturi



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L’arpione era forgiato secondo canoni tramandati di padre in figlio e pochissimi erano gli esperti “mastri firrara”: uno di questi era “Mastru Ninu Puglisi”, del Villaggio S. Agata, dove visse ed aveva bottega. Quando forgiava e batteva gli arpioni stava sempre solo, solo una volta mi permise di assistere alla forgiatura di un arpione con la promessa di non svelare mai il suo segreto. Segreto che si è portato nella tomba. I capi barca facevano a gara per avere un suo arpione, che non vendeva ma che dava solo in uso, ricevendo in cambio una parte del pesce spada catturato. A fine campagna di caccia, i ferri venivano riconsegnati al fabbro che curava la loro manutenzione sostituendo quelle parti usurate.
La morte di “Mastru Ninu” ha lasciato un vuoto incolmabile tra i pescatori che, specialmente i più giovani, lo interpellavano per avere consigli sulla caccia, sulle correnti e sull’uso degli attrezzi. Oggi gli arpioni sono comprati nei negozi specializzati.

'a draffinera



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Anticamente e fino agli anni Cinquanta, la caccia del Pesce Spada si effettuava con due barche: una “Feluca” con un albero centrale alto 20 metri chiamato”‘ntinna”, dove sulla sommità trovava posto un osservatore detto “ ‘ntinneri”,

antiche feluche messinesi



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ed una barca lunga sei metri e larga m. 1,65 chiamata “Luntro”, munita di una piccola antenna alta tre metri, con un equipaggio di cinque rematori su quattro remi, un “antennista” e un lanciatore che si posizionava a poppa (così era chiamata, in gergo, la prua ) col compito di infilzare la preda.

il luntro



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La barca, costruita in legno molto leggero, sotto la spinta dei vogatori diventava velocissima ma capitava, come anche oggi, che il pesce si inabissasse o si sbagliasse il tiro. L’equipaggio del “Luntro” era scelto accuratamente tra vogatori capaci, che nella maggior parte dei casi erano addestrati sin dalla nascita.

luntri con il loro equipaggio



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Il pagamento dell’equipaggio non era determinato in quota fissa, ma, per antica usanza, era calcolato in proporzione al pescato, in modo da avere stimoli maggiori.
Oggi nello stretto e lungo la costa Calabra del Tirreno, per la caccia del pescespada si usano barche a motore che hanno un traliccio alto 20-25 m, alla cui sommità si trovano avvistatori e timonieri, e una passarella lunga fino a 45 m, alla cui estremità va il fiocinatore (fureri).


le nuove feluche a caccia nello Stretto di Messina



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Nonostante i nuovi accorgimenti tecnologici, la caccia è ancora intrisa di antichi rituali. Ad esempio nelle ultime sparute antiche palamitare, sopravvive l'uso di porre a prua un'asta con alla sommità una palla azzurra o rossa in legno, su cui erano dipinte le stelle dell'Orsa maggiore, separate da una fascia bianca, con probabile riferimento alla cultura fenicia.

esempi di palamitare



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Meno intellettuale è il rituale della "runzata", che consisteva nel fare urinare le reti dai bambini, per augurio di una buona caccia.
Un altro rituale, che è divenuto col tempo una specie di diritto territoriale, era quello di suddividere le zone di mare in aree (posta) da assegnare agli equipaggi e in cui pescare.
Lo schiticchio o scialata era un pranzo o una cena abbondantissima che i padroni delle barche offrivano ai marinai nelle feste dei mesi invernali, per sopperire, specie nei tempi in cui la fame si faceva più sentire, alle necessità alimentari della famiglie, che potevano, fra l'altro, rifornirsi per un po' di tempo con il cibo non consumato. Era anche l'occasione per contrattare gli uomini dell'equipaggio per la stagione successiva.
La tradizione dello schiticchio permane ancora oggi, ma al solo scopo di incontrarsi con gli amici in uno spirito di convivialità.
Il più misterioso dei riti resta la "cardata da cruci", che consisteva e consiste tuttora nell'incidere, con le unghie della mano (escluso quella del pollice), vicino la branchia destra del pescespada, un segno di croce multiplo. Fra le varie ipotesi, sembra accreditata quella che fosse un segno di prosperità o di riconoscimento nei confronti del pesce per il suo nobile valore di combattente. Il segno non deve farlo il fiocinatore.

'a cardata da cruci



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A questo segno rituale se ne susseguono degli altri, rigorosamente rispettati e tramandati nel tempo dai pescatori. Al termine ricoprono, con riguardo, l'animale per ripararlo dal sole ed é possibile assistere ad un'affascinante cambio di tonalità della pelle del pesce spada, che alterna colori intensi a colori leggeri. È sicuramente un evento spettacolare, ricco di tradizioni, colori e costumi di un popolo che condivide con il mare il proprio destino.

deposizione del pescespada



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In relazione alla cattura, la carne attorno al punto in cui si è conficcato l'arpione (botta) andava al ferraiolo (mestiere pressoché sparito), in qualità di proprietario dell'attrezzo, che veniva dato in affitto. Il taglio del ciuffo spettava invece al fiocinatore.
Ancora adesso, se si avvista una parigghia (un maschio e una femmina), la tradizione vuole che il primo pesce ad essere fiocinato sia la femmina, in modo che si possa fiocinare successivamente il maschio, in quanto questi resta nei paraggi nella ricerca della compagna.

'a parigghia



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Anche la nomenclatura volgare del pescespada è legata in qualche modo alla stagionalità della caccia, tanto che i pescatori, con un po' di fantasia, riescono ancora distinguere diverse varietà. Così c'è un ipotetico pisci i jùsu, un pisci 'i San Giuvanni, un pisci niru e addirittura un pisci invisibili.
Se per molto tempo non si riusciva a pescare pescespada, il rituale era quella della benedizione della barca da parte di un prete o nei casi più ostinati bisognava fare ricorso a formule magiche e pozioni le più disparate. Se la caccia tardava ancora ad essere proficua una ragazzina doveva fare la pipì sulla prua (questa pratica era in auge specie in Calabria).

benedizione della feluca



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Ma veniamo al mito legato alla nascita del pescespada: i Mirmidoni sono un popolo della mitologia greca, discendente da Mirmidone, figlio di Zeus. Erano un antico popolo della Tessaglia Ftiotide del quale era re Achille e che egli condusse con sé, in gran numero, alla guerra di Troia.

i Mirmidoni



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Secondo una tradizione, il popolo traeva il nome dal proprio re Mirmidone, figlio di Zeus e di Eurimedusa, che il dio aveva sedotto assumendo l’aspetto di una formica.

la nascita dei Mirmidoni



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I mirmidoni sono citati anche da Omero nell'Iliade, dove viene dipinta la loro cieca obbedienza agli ordini di Achille nella guerra di Troia: essi obbedivano agendo spesso anche in maniera molto fredda e crudele, proprio a dimostrare la loro natura di "ex formiche".
Nell'Iliade sono citati cinque capi Mirmidoni: Alcimedonte, Eudoro, Fenice, Menestio e Pisandro. Se abbiamo iniziato a parlare della Grecia antica e non direttamente della caccia del pesce spada, è perchè essa tradizionalmente è legata da una leggenda alla sorte di questo popolo. Si narra, che i Mirmidoni, volendo vendicare l'uccisione di Achille attaccarono i Troiani. Questi, per evitare la rappresaglia scapparono e allora i Mirmidoni, rabbiosi per non aver raggiunto l’intento, si lasciarono annegare. Al fine di tramandare questo nobile gesto Tetide, dea marina, li tramutò in pesci dal lungo rostro a ricordo della loro arma.

i Mirmidoni e le loro armi



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Da allora la caccia del pesce spada avviene seguendo un iter preciso legato probabilmente a questa leggenda; i pescatori calabresi e siciliani, sulla passerella dei loro luntri, instaurano una sorta di dialogo quando avvistano il pesce , esclusivamente in lingua greca ; quando la barca si fa da presso al pesce spada, è di assoluta tradizione che il marinaio gli “parli”, perchè la superstizione voleva che se si fosse cantato in altra lingua il pesce sarebbe andato perduto.
Ecco la strofetta magica raccolta da Giuseppe Pitré (siciliano, studioso del folclore):

Mamassu di pasanu
Paletta di pasanu
Majassu di stignela
Paletta di paenu palé
Palé castagneta
Mancata stigneta.
Pro nastu vardu pressa da visu, e da terra,



che magicamente attirava e “obbligava” gli spada, a lasciarsi avvicinare dalla barca.

Il pesce spada non è un pesce qualsiasi, è il pesce per antonomasia, pregiato a tavola, romantico e temibile in acqua.

il pescespada



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Se n’è occupato dettagliatamente lo storico Polibio (II sec. a.C.), che rimase affascinato dalla tecnica di pesca praticata ai piedi dello scoglio di Scilla. A suo dire, anche Omero deve avervi assistito, visto che ha attribuito alla mostruosa Scilla gli stessi atteggiamenti dei cacciatori del pesce: “spinge le leste fuori dal baratro orribile e lì pesca, e lo scoglio intanto intorno frugando delfìni e cani di mare… afferra”.
Appartiene all'ordine dei Perciformi, sottordine Scombroidei, famiglia Xiphidae. Il nome del genere, Xiphias (in greco "spada", denominazione attribuitagli anticamente da Aristotele), è rimasto immutato per 2.400 anni. Successivamente Linneo (1758) nell'introdurre la nomenclatura binomiale, aggiunse al nome greco il termine latino di gladius per indicare la specie. Chiamato dai greci anche Galeotas, viene definito dal Fiore - che fa riferimento a Plinio II - Thaureanus, dal nome della città di Taureana presso Palmi, distrutta nel 1500 dalle invasioni saracene, dove fin da quei tempi se ne praticava la pesca.
In alcuni frammenti a noi pervenuti, Archestrato di Gela (presso Ateneo), parlando anche dell'anguilla e della murena, decanta la bontà gastronomica del pesce spada definendolo "cibo divino", mentre Oppiano di Cilicia nel suo De piscatione ne descrive i comportamenti. Il fiorentino Paolo Giovio paragona le carni di questo pesce a quelle dello storione, mentre di parere diverso è Aldovrandi che, meravigliandosi di quanto asserito dal Giovio, afferma che la sua carne è "di malissima digestione, di difficile cottura e chiunque deve astenersi dal mangiarne". Dopo queste affermazioni, sorge legittimamente il dubbio che anche nel passato agli ignari degustatori venisse spacciato come pescespada qualche altro tipo di pesce molto meno appetibile. La carne del pesce spada era già ben nota a Cartesio che la raccomandava per gli stomaci delicati e convalescenti (Miscellanea, cap. XI), …” è vellutata, sapida, aurorale, si squaglia in bocca come un’alga e suscita insieme pensieri casti e di amore”.

Un rito culinario è quello del pescespada cucinato secondo una ricetta dell'ottocento creata dai monzù della parte occidentale dell'isola:

Medaglioni di pescespada allo zabaglione di basilico



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INGREDIENTI
6 fettine di pesce-spada (circa 600 grammi), 50 gr di parmigiano, 20 gr di pane grattugiato, 130 gr d’olio extrav. di oliva, 130 gr di pomodoro tagliato a dadini, 1 mazzetto di prezzemolo, 1 mazzetto di basilico, 50 gr di burro, farina, sale.
Per lo zabaglione di basilico: 1 spicchio d’aglio, 10 foglie di basilico, 4 grammi di pepe, 2 grammi di cardamomo, 60 gr di aceto bianco, 2 tuorli, 150 gr di burro fuso, sale.

PREPARAZIONE
Ponete quattro delle sei fettine di pesce spada su di una carta oleata imburrata, in modo tale da formare uno strato pressoché regolare. Spennellate con burro fuso. Le due fettine rimanenti tritatele finemente e conditele con un pizzico di sale, olio, pangrattato, parmigiano, una mistura tritata di prezzemolo e basilico. Versate il composto sulle fettine e distribuitelo in modo uniforme.
Quindi, con l’aiuto della carta oleata, arrotolate il preparato, formato dalle fettine di pesce spada e dal suo ripieno. Comporre un rollè, e legatelo per mantenerlo in forma. Passate nella farina e friggete in padella. Quando sarà rosolato, ponetelo a scolare su di un foglio assorbente e fatelo raffreddare. Per impreziosire il piatto potete servirlo con uno zabaione al basilico. E’ semplice da preparare. In una casseruola fate bollire dell’aceto bianco per tre minuti circa, al quale avrete aggiunto aglio, basilico, pepe e cardamòmo. Filtrate con un setaccio il liquido e ponete la ciotolina a bagnomaria. Aggiungete due tuorli d’uovo e montaleli, finché non saranno divenuti cremosi. Togliete la ciotolina dall’acqua e unite allo zabaione del burro fuso e tiepido. Infine salate. Delle cruditè di verdure potranno colorare il piatto di servizio.



(dal web)
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