Dalle Ande ai Nebrodi: Argimusco, la Marcahuasi siciliana
Ven 16 Dic 2022 - 12:06
Avete mai sentito parlare dell’altopiano dell’Argimusco? Se siete affascinati da luoghi come Matcahuasi nelle Ande o dalla più vicina Stonehenge britannica e se l’idea di un sapere trascendentale solletica la vostra curiosità, non dovete assolutamente lasciarvi sfuggire questo luogo, che si trova poco a nord dell’Etna, quasi al confine tra i monti Nebrodi e i Peloritani, e che si divide tra i comuni di Montalbano Elicona, Tripi (che sorge sul sito dell’antichissima Abacaenum) e Roccella Valdemone.
Sono tutte località in provincia di Messina, intorno ai 1100 e i 1200 metri di quota, senza dimenticare che Montalbano Elicona è il centro medievale fregiato nel 2015 del titolo di “borgo più bello d’Italia”. Proprio in questa zona si erge un affascinante complesso di megaliti intorno ai quali aleggia ancora un’aura molto densa di mistero, un gruppo di grandi rocce di arenaria quarzosa che svettano sugli oltre mille metri di altitudine dell’altopiano.
La tradizione popolare riconduce questi megaliti all’opera di popolazioni preistoriche: si tratterebbe quindi di antichi menhir – nome derivante dal bretone men e hir “pietra lunga”, in italiano anche “pietrafitta”, che indica i megaliti (dal greco “grande pietra”) monolitici eretti solitamente durante il Neolitico, specialmente per riti religiosi –, ma in questo caso gli archeologi propenderebbero per una loro origine assolutamente naturale, dovuta in particolare all’erosione eolica, anche per il fatto che in questa zona non sono stati rintracciati resti significativi di presenza umana come ceramiche, utensili, ossa, ecc. Sia come sia, si tratta dell’unico esempio di sito megalitico in Sicilia, divenuto negli anni una fonte di ispirazione mistico-rituale oltreché un punto di interesse per l’osservazione degli astri immersi nella natura.
Le testimonianze storiche su questo luogo sono alquanto scarne ma la prima attestazione cronologica compare nell’Historia Sicula di Bartolomeo di Neocastro, che ricorda, nel 1282, il transito di Pietro III d’Aragona nei pressi della località Argimustus:
« Dalla descrizione apprendiamo quanto già a quel tempo, il luogo fosse apprezzato per i panorami a perdita d’occhio, consentendo a nord un ampio sguardo su Milazzo, la costa tirrenica, i vicini rilievi e il borgo di Tindari, le isole Eolie, e sul versante opposto il profilo del vulcano Etna. Altro documento storico che fa riferimento al luogo è un’epistola di Federico III indirizzata a Giacomo II, nella quale il sovrano risponde ad una proposta di tregua nei confronti di Roberto d’Angiò, duca di Calabria; la lettera risulta inviata proprio dall’Argimusco, nella cui zona Federico III evidentemente risiedeva. Successivamente i documenti tacciono almeno fino alle carte geografiche del XVI sec. come quella del “Siciliae Regnum” del Mercatore che segnala, poco a sud di Montalbano, la presenza di una “Lagrimusco fons”, un toponimo assonante con l’altipiano dell’Argimusco, che del resto ancora oggi comprende la sorgente del Lagrimusco, proprio a poche centinaia di metri dai megaliti. Le carte dei secoli successivi continuano, talora a fasi alterne, a segnalare la contrada con il suo nome, ponendola al centro di un importante crocevia di strade che collegavano i vari versanti della Sicilia. » (I megaliti dell’Agrimusco: la Stonehenge italiana a Montalbano Elicona, famedisud.it)
menhir Maschile e Femminile
Non è tutto: sull’altopiano, infatti, tra foreste di felci, esemplari di agrifoglio e di leccio, si ergono numerosi blocchi di roccia, alcuni dei quali dalle dimensioni davvero imponenti e dalle suggestive forme zoomorfe e antropomorfe: a partire dai cosiddetti menhir Maschile e Femminile, due monoliti ben visibili da due diverse angolazioni che evocherebbero un legame simbolico con la fertilità e la nascita, separati da un varco che consente di osservare il sorgere del sole.
il Mammut
il Volto
l'Aquila
Segue il Mammut, chiamato così per la forma evocante il preistorico pachiderma. E a evocare sembianze umane ci pensa il megalite detto “il Volto”. E ancora l’Aquila, forse uno dei megaliti più suggestivi dell’intero gruppo, richiama allo sguardo il nobile rapace che nelle antiche culture, oltre ad essere simbolo di regalità, compariva rappresentato con funzioni di animale psicopompo, ossia di scorta alle anime dei defunti nel loro viaggio verso l’aldilà.
il Santuario o Pluviometro
E ancora la roccia detta il Santuario o il Pluviometro, che presenta sul fronte strane incisioni parallele, forse destinate alla raccolta dell’acqua piovana poi convogliata in alcune concavità scavate nella roccia.
monolito dell’Orante o della Dea Neolitica
Colpisce l’immaginario di ogni visitatore il monolito dell’Orante o anche della Dea Neolitica – che sembrerebbe un profilo di donna in atteggiamento di preghiera, delineato nella sagoma della roccia viva. «Una antica leggenda popolare vuole che quella figura altri non sia stata che una donna virtuosa – detta Marta d’Elicona – la quale, per sottrarsi alle lusinghe di un demone dei boschi, preferì farsi tramutare in pietra. Qualcuno è dell’avviso che parte dello stesso megalite, associato ad una vasca per la raccolta dell’acqua, abbia svolto funzione anche di Osservatorio luni-solare». (I megaliti dell’Agrimusco: la Stonehenge italiana a Montalbano Elicona, famedisud.it)
la Grande Rupe
le Rocche Incavalcate
i Parti della Roccia
E ancora, la Grande Rupe, altro imponente megalite che sembra delineare un gigantesco volto, cui segue il megalite del Teatraedro, una roccia orientata verso nord e da alcuni considerata con maggiore probabilità un’opera dell’uomo. Infine, il complesso di rocce, e il loro potere suggestivo, si conclude con le cosiddette Rocche Incavalcate e i cosiddetti Parti della Roccia, forme di erosione che hanno scavato la superficie rocciosa lasciandone emergere delle sfere o semisfere quasi perfette che si presentano in numerosi esemplari lungo tutto l’altopiano.
Ovviamente, nel tempo, un luogo così mistico ha attirato varie credenze popolari e leggende medievali che hanno alimentato il velo di ancestrale mistero attorno all’Argimusco e ne hanno fatto l’antico teatro di riti esoterici, sabba di streghe e luogo di sciamani.
Nel borgo di Montalbano Elicona visse Arnaldo da Villanova, medico e scrittore, che nel XIV secolo era considerato un alchimista, forse un mago, e i suoi scritti che spaziavano fra medicina, astrologia, teologia e alchimia, erano vietati in Spagna per volontà espressa dell’Inquisizione. E pur se siamo portati a legarlo all’azione umana, quelle rocce non sono state collocate sull’altopiano dagli uomini preistorici – per questo è fuorviante chiamare tale zona come la “Stonehenge siciliana” – poiché esse sono il risultato dell’azione di madre natura, ovvero del vento e, in secondo luogo, della pioggia che nel corso del tempo hanno eroso le rocce di arenaria quarzosa.
L’erosione eolica inoltre è testimoniata dalla presenza dei cosiddetti tafoni, cavità alveolari naturali più o meno grandi, scavate sulle pareti delle rocce e che testimoniano l’opera instancabile di erosione del vento. Un esempio simile si trova in Perù, a Marcahuasi, un altopiano di origine vulcanica che presenta delle forme naturali analoghe a quelle dell’Argimusco. Dal 2012 l’Argimusco è protagonista di uno studio di archeoastronomia da parte di Andrea Orlando, dottore di ricerca in astrofisica nucleare e presidente dell’Istituto di Archeoastronomia Siciliana. Scrive Michela Costa su meridionews.it:
«Nel suo articolo intitolato Argimusco: Cartography, Archaeology and Astronomy pubblicato nel 2017 su Astrophysics and Space Science Proceedings, Orlando arriva alla conclusione che, grazie alla presenza di fortuiti allineamenti astronomici delle rocce, l’altopiano possa avere avuto nell’antichità una funzione calendariale, per scandire l’alternanza delle stagioni. «In Sicilia sono tanti i luoghi al confine tra cielo e terra, legati all’archeoastronomia. Dall’Argimusco si gode di un orizzonte libero a 360 gradi con la presenza, ad oriente, della Rocca Salvatesta, o Rocca di Novara, che è un vero e proprio indicatore equinoziale naturale», spiega Orlando. «Ciò vuol dire che all’alba degli equinozi il sole sorge nei pressi della Rocca e ciò lascia supporre che questo punto nell’orizzonte, insieme ad altri, possa aver permesso all’uomo, fin dal Neolitico, di realizzare un vero e proprio calendario astronomico utile per le pratiche agricole e religiose.» (Argimusco, i falsi miti sulla Stonehenge siciliana. Per la prima volta indagini di un equipe di studiosi, meridionews.it)
E non è certo un caso che di recente l’Argimusco sia stato proposto all’Unesco perché venga riconosciuto come un sito di interesse mondiale da studiare e tutelare.
Bene, qualsiasi sia la storia di questo luogo, esso è ancora molto poco noto agli stessi siciliani, non solo ai turisti. Così, dopo aver visto le Rocche dell’Argimusco potreste visitare il borgo di Montalbano Elicona, il suo castello medievale e poi, proseguire con la Riserva Naturale Orientata del Bosco di Malabotta, scrigno di biodiversità fra Roccella Valdemone e Montalbano Elicona, dove si è spontaneamente formato un ecosistema ricchissimo di flora e fauna. Ma di questo parleremo in altri post.
e adesso il video
(dal web)
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