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Lun 19 Dic 2022 - 20:40

Colapesce

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Ancora oggi, secondo le varie versioni del mito, Colapesce regge sulle spalle la sua amata Sicilia, impedendole di sprofondare per sempre in fondo al mare.

L’amore per la propria terra alle volte non conosce alcun limite e la leggenda di Colapesce, tra le più antiche, conosciute e amate in Sicilia, ne è senz’altro una lampante e commovente dimostrazione. Sebbene si narrino molte varianti del mito, tutte concordano, infatti, sul grande patriottismo e coraggio di questo eroico personaggio, che ancora oggi con forza regge sulle spalle la sua amata Sicilia, impedendole di affondare per sempre nelle profondità marine.

Le origini di questa leggenda non sono ben chiare e, sebbene sembri risalire al XIII secolo, sono molte le teorie secondo cui questo personaggio avrebbe in realtà un’origine molto più antica, addirittura omerica. Nei secoli la leggenda è andata ad arricchirsi di diverse versioni e di elementi nuovi, ma ciò che mette tutti d’accordo è, senza dubbio, l’amore incondizionato per il mare e tutte le sue creature, nonché il grande senso di sacrificio di questa figura mitologica per la propria terra. Ma chi era Colapesce?
Vediamo un po' la storia

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Una volta a Messina c’era una madre che aveva un figlio a nome Cola, che se ne stava a bagno nel mare mattina e sera. La madre a chiamarlo dalla riva: – Cola! Cola! Vieni a terra, che fai? Non sei mica un pesce?
E lui, a nuotare sempre più lontano. Alla povera madre veniva il torcibudella, a furia di gridare. Un giorno, la fece gridare tanto che la poveretta, quando non ne poté più di gridare, gli mandò una maledizione: – Cola! Che tu possa diventare un pesce!
Si vede che quel giorno le porte del Cielo erano aperte, e la maledizione della madre andò a segno: in un momento, Cola diventò mezzo uomo mezzo pesce, con le dita palmate come un’anatra e la gola da rana. In terra Cola non ci tornò più e la madre se ne disperò tanto che dopo poco tempo morì.
La voce che nel mare di Messina c’era uno mezzo uomo e mezzo pesce arrivò fino al Re; e il Re ordinò a tutti i marinai che chi vedeva Cola Pesce gli dicesse che il Re gli voleva parlare.
Un giorno, un marinaio, andando in barca al largo, se lo vide passare vicino nuotando. – Cola! – gli disse. – C’è il Re di Messina che ti vuole parlare!
E Cola Pesce subito nuotò verso il palazzo del Re.

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Il Re, al vederlo, gli fece buon viso. – Cola Pesce, – gli disse, – tu che sei così bravo nuotatore, dovresti fare un giro tutt’intorno alla Sicilia, e sapermi dire dov’è il mare più fondo e cosa ci si vede!
Cola Pesce ubbidì e si mise a nuotare tutt’intorno alla Sicilia. Dopo un poco di tempo fu di ritorno. Raccontò che in fondo al mare aveva visto montagne, valli, caverne e pesci di tutte le specie, ma aveva avuto paura solo passando dal Faro, perché lì non era riuscito a trovare il fondo.
– E allora Messina su cos’è fabbricata? – chiese il Re. – Devi scendere giù a vedere dove poggia.
Cola si tuffò e stette sott’acqua un giorno intero. Poi ritornò a galla e disse al Re: – Messina è fabbricata su uno scoglio, e questo scoglio poggia su tre colonne: una sana, una scheggiata e una rotta.

O Messina, Messina,
Un dì sarai meschina!


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Il Re restò assai stupito, e volle portarsi Cola Pesce a Napoli per vedere il fondo dei vulcani. Cola scese giù e poi raccontò che aveva trovato prima l’acqua fredda, poi l’acqua calda e in certi punti c’erano anche sorgenti d’acqua dolce. Il Re non ci voleva credere e allora Cola si fece dare due bottiglie e gliene andò a riempire una d’acqua calda e una d’acqua dolce.
Ma il Re aveva quel pensiero che non gli dava pace, che al Capo del Faro il mare era senza fondo. Riportò Cola Pesce a Messina e gli disse: – Cola, devi dirmi quant’è profondo il mare qui al Faro, più o meno.
Cola calò giù e ci stette due giorni, e quando tornò su disse che il fondo non l’aveva visto, perché c’era una colonna di fumo che usciva da sotto uno scoglio e intorbidava l’acqua.
Il Re, che non ne poteva più dalla curiosità, disse: – Gettati dalla cima della Torre del Faro.

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La Torre era proprio sulla punta del capo e nei tempi andati ci stava uno di guardia, e quando c’era la corrente che tirava suonava una tromba e issava una bandiera per avvisare i bastimenti che passassero al largo. Cola Pesce si tuffò di lassù in cima. Il Re aspettò un giorno, ne aspettò due, ne aspettò tre, ma Cola non si rivedeva. Finalmente venne fuori, ma era pallido come un morto.

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– Che c’è, Cola? – chiese il Re.
– C’è che sono morto di spavento, – disse Cola. – Ho visto un pesce, che solo nella bocca poteva entrarci intero un bastimento! Per non farmi inghiottire mi son
dovuto nascondere dietro una delle tre colonne che reggono Messina!
Il Re stette a sentire a bocca aperta; ma quella maledetta curiosità di sapere quant’era profondo il Faro non gli era passata. E Cola: – No, Maestà, non mi tuffo più, ho paura.
Visto che non riusciva a convincerlo, il Re si levò la corona dal capo, tutta piena di pietre preziose che abbagliavano lo sguardo, e la buttò in mare. – Va’ a prenderla, Cola!
– Cos’avete fatto, Maestà? La corona del Regno!
– Una corona che non ce n’è altra al mondo, – disse il Re. – Cola, devi andarla a prendere!
– Se voi così volete, Maestà, – disse Cola, – scenderò. Ma il cuore mi dice che non tornerò più su. Datemi una manciata di lenticchie. Se scampo, tornerò su io; ma se vedete venire a galla le lenticchie, è segno che io non torno più.
Gli diedero le lenticchie, e Cola scese in mare.
Aspetta, aspetta; dopo tanto aspettare, vennero a galla le lenticchie. Cola Pesce s’aspetta ancora che torni.

Messina

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Questa è la versione riportata da Italo Calvino, ma esistono varie versioni di questa storia, ve ne propongo una seconda. A voi la scelta di quale è la migliore

Nicola fu l'ultimo dei numerosi fratelli: viveva con la sua famiglia a Messina, in una capanna vicino al mare e fin da fanciullo prese dimestichezza con le onde. Quando crebbe e divenne un ragazzo svelto e muscoloso, la sua gioia era d'immergersi profondamente nell'acqua e, quando vi si trovava dentro, si meravigliava anche lui come non sentisse il bisogno di ritornare alla superficie se non dopo molto tempo.
Poteva rimanere sott'acqua per ore e ore, e quando tornava su, raccontava alla madre quello che aveva visto: dimore sottomarine di città antichissime inghiottite dai flutti, grotte piene di meravigliose fosforescenze, lotte feroci di pesci giganti, foreste sconfinate di coralli e cosi via. La famiglia, a sentire queste meraviglie, lo prendeva per esaltato; ma, insistendo egli a restar fuori di casa, senza aiutare i suoi fratelli nella dura lotta per il pane, e vedendo che egli passava veramente il suo tempo dentro le onde e sotto il mare, come un altro se ne sarebbe andato a passeggiare per i campi, si preoccupò e cercava di scacciare quei pensieri strani dalla testa del figliuolo. Cola amava tanto il mare e per conseguenza voleva bene anche ai pesci: si disperava a vederne le ceste piene che portavano a casa i suoi fratelli, ed una volta che vi trovò dentro una murena ancora viva, corse a gettarla nel mare. Essendosi la madre accorta della cosa, lo rimbrotto acerbamente: – Bel mestiere che sai fare tu! Tuo padre e i tuoi fratelli faticano per prendere il pesce e tu lo ributti nel mare! Peccato mortale è questo, buttare via la roba del Signore. Se tu non ti ravvedi, possa anche tu diventare pesce. Quando i genitori rivolgono una grave parola ai figli, Iddio ascolta ed esaudisce. Così doveva succedere per Nicola. Sua madre tentò di tutto per distoglierlo dal mare, e credendolo stregato, si rivolse a santi uomini di religione. Ma i loro saggi consigli a nulla valsero. Cola seguitò a frequentare il mare e spesso restava lontano giorni e giorni, perché aveva trovato un modo assai comodo per fare lunghi viaggi senza fatica: si faceva ingoiare da certi grossi pesci ch'egli trovava nel mare profondo e, quando voleva, spaccava loro il ventre con un coltello e cosi si ritrovava fuori, pronto a seguitare le sue esplorazioni. Una volta egli tornò dal fondo recando alcune monete d'oro e cosi continuò per parecchio tempo, finché ebbe ricuperato il tesoro di un'antica nave affondata in quel luogo.

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La sua fama crebbe tanto, che quando venne a Messina l'imperatore Federico, questi volle conoscere immediatamente lo strano essere mezzo uomo e mezzo pesce. Egli si trovava su di una nave al largo, quando Cola fu ammesso alla sua presenza. - Voglio esperimentare – gli disse l'Imperatore – quello che sai fare. getto questa coppa d'oro nel mare; tu riportamela. - Una cosa da niente, maestà, fece Cola, e si gettò elegantemente nelle onde. Di lì a poco egli tornò a galla con la coppa d'oro nella destra.

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Il sovrano fu così contento che regalò a Cola il prezioso oggetto e lo invitò a restare con lui. Un giorno gli disse: - Voglio sapere com'è fatto il fondo del mare e come vi poggia sopra l'isola di Sicilia. Cola s'immerse, stette via parecchio tempo; e quando tornò, informò l'Imperatore. – Maestà, – disse – tre sono le colonne su cui poggia la nostra isola: due sono intatte e forti, l'altra è vacillante, perché il fuoco la consuma, tra Catania e Messina. Il sovrano volle sapere com'era fatto questo fuoco e ne pretese un poco per poterlo vedere. Cola rispose che non poteva portar il fuoco nelle mani; ma il sovrano si sdegnò e minacciò oscuri castighi. -

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Confessalo, Cola, tu hai paura. - Io paura? – ribatté il giovane – Anche il fuoco vi porterò. Tanto, una volta o l'altra, bisogna ben morire. Se vedrete salire alla superficie delle acque una macchia di sangue, vuol dire che non tornerò più su. Si gettò a capofitto nel mare, e la gente stava, ad attendere col cuore diviso tra la speranza e la paura. Dopo una lunga inutile attesa, si vide apparire una macchia di sangue. Cola era disceso fino al fondo, dove l'acqua prende i riflessi del fuoco, e poi più avanti dove ribolle, ricacciando via tutti i pesci: che cosa successe laggiù? Non si sa: Cola non riapparve mai più. Qualcuno sostiene ch'egli non è morto e che è restato in fondo al mare, perché si era accorto che la terza colonna su cui poggia la Sicilia stava per crollare e la volle sostenere, così come la sostiene tuttora. Ci sono anche di quelli che dicono che Cola tornerà in terra quando fra gli uomini non vi sarà, nessuno che soffra per dolore o per castigo.



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Questa leggenda è stata ispirazione per grandi artisti. Di seguito, una scultura di Leonardo Lucchi

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Anche Renato Guttuso dedicò alla leggenda una delle sue ultime opere, installata sulla volta del teatro Vittorio Emanuele di Messina, ovviamente.

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Fonti: Fiabe italiane a cura di Italo Calvino (prima versione della storia),
usefinternational.org (seconda versione della storia),
LiveUniCT (apertura thread)

Immagini: web
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