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"Boffa, timpuluni o sole piatti" Empty "Boffa, timpuluni o sole piatti"

Mar 1 Ago 2023 - 18:05
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Lo schiaffo in qualsiasi parte del mondo è unico ed assoluto, ed un significato ben preciso, ma non da noi, in Sicilia, dove, per il 90% delle cose, assume connotazioni, varianti e significati molteplici ed opposti, spesso accompagnandosi con altrettanta taliata ben precisa.

A boffa: c’è poco da dire sulla boffa, non esiste siciliano che non sappia più che bene cosa sia. Il termine deriva dal francese boffè, che per l’appunto significa proprio schiaffo, testimonianza manesca della presenza Agioina nell’ isola. Può essere sommnistrata con la classica mano aperta, oppure assumendo una forma a conca in modo tale che il colpo possa fare quanto più scruscio.
La boffa può essere amichevole, cameratesca, ma non se ne disdegna l’uso anche in contesti più violenti, accompagnata da espressioni del tipo: «Cucì ma t’ha mai truvato in una tempiesta i buoffe?», o anche «Ora ti pigghio a boffe a due a due fino a quannu addivientanu rispari».


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A timpulata: una variante della boffa che però va ad impattare, com’è facilmente deducibile dal nome stesso, sulla tempia al posto della guancia. Anche una timpulata può essere amichevole, a tipo una sorta di buffetto, ma spesso si tratta più di un avvertimento di carattere minaccioso, oppure semplicemente viene assestata direttamente per fari stunare la vittima.
Quando u nirbuso acchiana assai a timpulata si trasforma in timpulune che si differenzia dalla prima per l’accompagnamento della mano sul viso, con il chiaro intento di far cadere a terra il malcapitato.




A masciddata: non ha un’ eccezzione per forza negativa, anzi spesso viene usata come una sorta di compiacimento o approvazione verso qualosa che, in teoria, non dovrebbe essere fatta ma che si reputa "coinna rura".
U picciriddu si sciarrò con un coetaneo senza portare vastunate a casa? Una leggera masciddata dimostra il compiacimento del genitore masculo per il figlo che ha saputo difendersi, anche se la disapprovazione viene comunque esternata, «T’addifinnisti! Bravo! Però un si fanno ste cose, va bene u papà?».
Il movimento della masciddata implica una posizione della mano leggermente ruotata con un movimento dal basso verso l’alto andando a prendere la mascella, per l’appunto, nella maggior parte della sua estensione. Chiaramente la masciddata, in contesti più sciarrettieri, se assestata bene fa veramente male.

L’argiata: come dice il nome stesso questo tipo di schiaffo piglia le cosidette argie, una zona del viso compresa tra il collo e la mandibola. Data con la mano estesa e dita chiuse, appesso viene usata accompagnandola con l’ esclamazione «ni argie!», riferendosi ad una non precisata patologia che dovrebbe colpire le corde vocali.
Può avere una doppia valenza, bonaria in un contesto amichevole, spesso per far capire a qualcuno che sta facendo troppa vucciria, oppure come malaugurio per qualcuno che parla assai.


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A cuzzata: da alcuni chiamato anche scuppulune, va dato con mano aperta o a coppo, a seconda della rumorosità che si vuole ottenere, con un movimento frustato che va ad annagghiare u cozzo ovverosia la nuca, spesso r’ammuccioni del malcapitato.
Solitamente è di carattere bonario e lo si usa, prettamente tra masculazzi, per “salutare” in maniera cameratesca una persona che non si vede da parecchio tempo o con la quale si è molto in confidenza.
«A tia!!!» e l’ espressione, quasi sempre urlata, che accompagna questo schiaffo, pronunciata nell’esatto istante in cui il cozzo viene colpito!


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A fuoimma n’ guanta: è uno schiaffo dato con forza che vuole fare male! La mano ben aperta e con la dita larghe annagghia ra bella la maggior superficie possibile del viso della vittima. L’impatto, decisamente violento, lascia sulla pelle un evidente arrossamento cutaneo che ha la forma dell’intera mano o di quello che potrebbe essere un guanto.
Il nome potrebbe derivare anche, ma senza alcuna certezza storica, dal tipico gesto di sfida, d’epoca passata, in cui si andava a colpire il viso dell’avversario proprio con un guanto.


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U sole piatti: i più maturi, (picchi dire vecchiareddi pare malu), ricorderanno sicuramente la pubblicità anni '80 del detersivo Sole Piatti, in cui una giovanissima Gabriella Golia, (se non sbaglio...), batteva tra loro due piatti, (o erano coperchi?). In terra sicula il "simpatico" gesto è stato subito reinterpretato dando origine così a due boffe o anche fuoimme n’guanta date simulteaneamente ai due lati del viso del malcapitato.
Spessissimo il gesto vuole essere qualcosa di goliardico, ma altrettanto spesso chi subisce non la prende molto bene, dando origine ad aggaddi epici.




A mano dritta o arriviersa: Rispettivamente boffa somministrata con il palmo della mano o, arriviersa, con il dorso. Quest’ultima usata, spesso, se si hanno anelli alle dita, con lo scopo di fare ancora più male. Quella arriviersa, data con il classico anello di onice nero.
Nell'immaginario collettivo e forse anche nella raltà, rimanda al tipico gesto del boss mafioso nei confronti di un suo sottoposto, per punire qualcosa di sbagliato o semplicemente avvalorare lo status nella scala gerarchica.


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Tutte le varianti citate possono combinarsi insieme dando origini a tecniche che la sacra scuola di Okuto si può ire ad ammucciare. Mi limiterò a citarne solo due.

A lampiata: dopo animata discussione partono una serie di boffe, timpulona, masciddate e argiate in rapida successione e senza alcuna pausa con il chiaro intento di stonare la vittima e farici viriri i lampi, (i classichi scintillii e lucine dette fosfeni).
La lampiata può essere anche di prima, ovvero, quando, nel bel mezzo di una questione piuttosto concitata, uno dei due, senza alcun preavviso, se ne parte con una lampiata inaspettata. Spesso le prime boffe sono accompagnate, in simultanea, da una ginocchiata bene assestata nelle parti basse.

A tiempiesta i boffe: per certi versi molto simile alla lampiata, se non fosse che quasi mai è di prima o della bella, poichè preannunciata dalla classica frase: «Cucì ma t’ha truvato mai in una tempiesta i boffe?». Se "u cucì" non coglie l’avvertimento ecco che parte una tipologia di lampiata, che per il suo impeto ricorda, per l’appunto, ad una vera e propria tempesta nella quale piovono boffe invece che gocce d’acqua.

Ed ora un racconto di Gianluca Tantillo, sempre ironico e spiritoso

Mi racconta il suddetto amico che in svariati posti della Sicilia e, sicuramente, a Trabia, paese degli spaghetti, delle nespole e dei Lanza di Trabia, fino agli anni Settanta resisteva una strana liturgia religiosa che prendeva il nome di "predica della timpulata”.
Inutile dire che quando ho scoperto l’esistenza di una tale strafigata ho risentito lo stesso senso di destabilizzazione che provai nello scoprire che l’accendino fu inventato prima dei fiammiferi e che John Travolta avrebbe dovuto interpretare Foresto Gump.
Tutto accadeva durante la Settimana Santa e, precisamente la sera del Giovedì Santo, dopo le celebrazione della "Lavanda dei piedi", in cui, come scritto nel Vangelo, Gesù lava i piedi agli apostoli come segno di accoglienza (nel mondo antico, infatti, era prassi, poiché non essendoci ancora le strade asfaltate e nemmeno le scarpe da tennis, quando si ritornava nella propria dimora si avevano spesso e volentieri i piedi impregnati di polvere e terra: gli schiavi lo facevano ai padroni, le mogli ai mariti e figli ai padri).
Subito dopo, l’effige di Gesù Sacramentato veniva portata in processione per il paese, allora coperta da un ombrellino bianco, fino all’altare della chiesa madre (nel caso di Trabia l’altare di San Giuseppe nella navata sinistra) che veniva per tradizione addobbato con i luareddi, cioè i germogli di lenticchie, di cerali o frumento fatti crescere sul cotone inumidito.
Anche oggi, come in passato, durante la notte, la chiesa rimane aperta per consentire ai fedeli di vegliare con Gesù. Intorno alle 22 avviene così una preghiera di gruppo che ha funzione meditativa a proposito del significato della Pasqua.
Questo momento, che oggi è solo meditativo, era una volta (rullo di tamburi) la predica della timpulata. Il prete recitava dunque Giovanni 18, 12-24 dal Vangelo.
«Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina. Gesù rispose «io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono e non mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno cosa ho detto».
Aveva appena detto questo che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote? Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò legato a Caifa, sommo sacerdote».
Ecco, quando il prete arrivava proprio nel punto “Aveva appena detto questo che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù”, invece dell’odierno, più noto e rilassato “segno di pace”, le persone presenti in chiesa cominciavano a spartirsi timpulate.
Fino a che i panni sporchi si lavavano in famiglia e le timpulate restavano sotto la cupola del buon sentimento e della mortificazione della carne la cosa finiva lì.
Quando invece, a Trabia, come in qualsiasi paese del mondo, si mettevano di mezzo sentimenti un po' meno nobili come l’invidia, l’odio, l’antipatia, o si trovano di fronte il proprietario e il contadino, il genero e il suocero, il povero e il ricco, il cornuto e l’amante della moglie, il freno a mano dei buoni sentimenti se ne andava a cachì (si rompeva, insomma) e cominciavano a volare timpulati per tutte le ruote tipo film di Bud Spencer.
Non era certo colpa del prete e nemmeno della tradizione ma molto più probabilmente della semplicità umana che non è in grado di elevarsi alla dignità divina.
Per questo motivo, la notte del Giovedì Santo, dopo che il prete si metteva a spartire la gente che se le dava di santa ragione, dopo che i chierichetti cercavano di staccare questo da quello e le timpulati non si contavano più, la gente, quando la cosa degenerava, se ne tornava a casa con l’occhio nero e la dentiera nella borsa.
Sicuramente il cunto popolare negli anni ha leggermente romanzato ciò che accadeva; ma, conoscendo l’indole umana, è probabile che qualche volta la cosa andò a finire a schifio (male).
Dagli anni '70 circa, forse per fortuna, forse per sfortuna, forse perché di timpulati ne sono volate troppo assai, la liturgia non ha più luogo. Amen.

Fonte: balarm.it (articolo di Alessandro Panno)

Immagini: web

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(Michel Houellebecq)
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