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Racconti siciliani: Luigi Natoli - Valdina  Empty Racconti siciliani: Luigi Natoli - Valdina

Sab 9 Set 2023 - 18:10
Racconti siciliani: Luigi Natoli - Valdina  QJ4I5va

Valdina


– Badate a voi, don Andrea! badate a voi!
I due fratelli se ne andarono con questa minaccia, pronunziata con voce sorda e tremante, e accompagnata da un gesto espressivo, e lo lasciarono in mezzo alla strada bruscamente, senza neppure salutarlo.
Egli stette un po’ a vederli andare; e come svoltarono per la strada dell’Alloro, alzò le spalle con un moto di dispetto, balbettando: infine, chi ce li mischiava? Che cosa pretendevano? Egli era padrone di pensarsela come voleva, e di fare il comodo suo, e se si contentava e ci trovava il suo conto, i suoi cognati non avevano che vederci. Loro sorella? Ma che sorella! Ma che sorella! dal momento che era maritata, non faceva più parte alla loro famiglia: adesso si chiamava Emilia Valdina, non già Cardone. Il mondo parlava? Lasciatelo parlare; le male lingue hanno sempre di che parlare, e i pretesti se li cercano e se li inventano anche!…
Se ne andò a casa, alla Bandiera, un po’ contrariato, pensando a quella minaccia. I suoi cognati non erano due gaglioffi, non erano due imbecilli.
Tutt’altro. Animosi, risoluti, quando promettevano una cosa, mantenevano; avevano compiuto qualche gesto clamoroso, e li temevano tutti: bisognava stare attenti.
Così, un po’ pensando ai pericoli cui si esponeva, un po’ bravando, stizzito, di malumore, don Andrea Valdina entrò in casa.
– Dov’è la padrona? – domandò alla schiava venuta ad aprire. La schiava gli rispose con un gesto del capo, che don Andrea capì perfettamente.
– Sta bene – rispose; ed entrò pian piano nell’anticamera.
Udì nella stanza appresso, attraverso la porta chiusa, un lieve cicaleccio, qualche risatina, qualche rumore; s’indugiò un poco ad ascoltare; poi, pian piano, si allontanò e infilò l’uscio di centro, che metteva nella sala da pranzo, e sedette filosoficamente presso la tavola, domandandosi:
– Chi sarà mai?
Don Andrea Valdina era un figliuolo naturale del barone della Rocca; non brutto, non vecchio; la gentilezza del sangue gli traspariva dalla finezza delle mani, da un non so che nei modi, nel gesto, nella parola: e soltanto un acuto osservatore avrebbe potuto scorgervi nel volto qualche ombra di volgarità, qualche segno rivelatore di degenerazione. Amante del giuoco, prodigo, irriflessivo, noncurante, aveva dissipato quel poco lasciatogli dal padre, e non possedeva che un piccolo assegno mensile, che, per rispetto alla memoria paterna, e per un riguardo al nome, gli veniva pagato dal barone della Rocca, suo fratello. Aveva preso moglie, non per amore, ma per calcolo. La moglie era una figliuola di semplici mercanti, che gliel’avevano data, lusingati da quell’odore di mezza nobiltà che entrava nella loro casa; giacché, per quanto naturale, don Andrea Valdina era sempre figlio di barone, riconosciuto e facultato a portarne il cognome.
La luna di miele era stata breve e senza sorriso di sogni: donna Emilia non aveva per lui nessun amore; non amava che il lusso, adornarsi di gioielli, imbellettarsi, profumarsi. Non era bella, ma assai piacente, snella, sensuale, avida di piaceri. Pochi mesi dopo il matrimonio, non trovava più nessuna attrattiva nel marito, e si lasciava abbracciare perché era una cosa obbligatoria, un’abitudine; era quello che facevan tutte le mogli: ma senza desiderio, senza piacere, freddamente. Il suo pensiero errava altrove.
Del resto, sentiva che neppure il marito aveva impeti e fiamme di passione, e che si lasciava condurre piuttosto da una usanza o da un cieco istinto.
Una mattina don Andrea disse alla moglie:
– Donna Emilia vi avverto che per questa sera ho invitato qualche amico… faremo qualche partita alle carte… Invece di andare a giocare altrove, ho stimato meglio non lasciarvi sola in casa.
– Volete che mi chiuda nella mia camera?
– Ma no! che sciocchezza. Vi presenterò i miei amici; sono signori… e ricchi. Voi potreste anche, se volete, prendere parte al giuoco.
– Come volete voi.
Gli amici di don Andrea erano infatti dei signori, molto più giovani di lui, e di buona famiglia signorile; erano nell’età in cui si corrono le prime avventure: donne, giuoco, duelli. Don Andrea era un buon compagno, e donna Emilia era affascinante; i suoi occhi profondi e avidi investivano quei quattro o cinque giovani eleganti mentre stavano attenti al giuoco, e seguivano il via vai delle monete d’argento e d’oro che tintinnavano e scintillavano sotto la lampada.
A mezzanotte, quando tutti se ne furono andati, don Andrea disse alla moglie, entrando nell’ampio letto:
– Ho perduto due onze. Non è gran cosa. Ma mi rifarò domani. Voi non avete voluto giocare; avete fatto male, perché avreste potuto vincere voi, e rifarmi della perdita… Che ne dite?… Del resto, dei signori sono… l’avrete veduto…
Donna Emilia non rispose. Si domandava mentalmente accanto a chi si sarebbe seduta la sera, chi avrebbe preferito per suo vicino, e pensava che i vicini sarebbero stati due. Il baronello del Parco… Sì, quello era un bel giovane; poteva avere ventidue anni. Faccia sadica e occhi… Ma anche il conte di Mezzojuso era avvenente. Corvino di cognome e corvino di colore. Li passava tutti in rassegna, e con la visione di quei giovani si addormentò.
La sera, nemmeno a farlo apposta, il barone del Parco disse:
– Perché la signora donna Emilia non giuoca?
– È così grazioso esser vinti da una donna… – aggiunse il conte di Mezzojuso.
Ciò equivaleva a un invito, e siccome pareva rispondesse al desiderio di don Andrea, ella sedette, arrossendo un po’ di piacere, fra i due giovani che per primi, nella sua rassegna, le si erano presentati alla memoria.
Caso? Proposito? Ella trasalì, sentì a destra un piede incontrarsi dolcemente col suo. Per accertarsi, scostò un pochino il piede, ma quasi subito si sentì cercare: non era caso. Allora non si mosse più; a poco a poco quel piede posò leggermente sul suo, premendo appena. Senza dar segno di commozione, si voltò con noncuranza a destra, e i suoi occhi s’incontrarono con quelli del baronello. Ma poco dopo, a sinistra, sentì un ginocchio avvicinarsi e premere sul suo, dapprima lieve, come per un caso, poi più fortemente, di proposito.
Era tra due fuochi…
La notte, andando a letto, donna Emilia si domandava: – Chi? Il baronello o il conte?
Il barone aveva per sé il diritto di precedenza; ma il conte, via, era stato un po’ più ardito e risoluto!…
Una mattina don Andrea, entrando in casa improvvisamente, vi trovò il baronello… Donna Emilia si stimò perduta; con le vesti discinte, scomposte, gridando di paura, si nascose dietro il letto, mentre il baronello, in maniche di camicia, prendeva dalla sedia la spada e si metteva in guardia. Ma don Andrea non parve scaldarsi.
– Eh, diamine! – disse – come la prendete calda. Non ne vale la pena.
Credete che io voglia ammazzarvi o farmi ammazzare? ma nemmeno per sogno. Eppoi… uno scandalo!… Però, non meritavo questo tradimento! no; io vi ho accolto in casa mia come un fratello… ho avuto fiducia in voi… e invece… Invece entrate in casa, furtivamente, come un ladro, mentre non ci sono io… per dare uno scandalo alla servitù… e… E poi, farmi quel torto!… Non me lo merito… Ora… ora, eccomi svergognato…
Vi pare poco, non è vero? Ah, è un’infamia… Andate; vestitevi e andate!…
E rivoltosi alla moglie:
– Quanto a voi, ne parleremo. Vi rimanderò a casa vostra.
Accompagnando il baronello alla porta, don Andrea gli disse:
– Dovrei proibirvi di mettere il piede in casa mia; ma se voi non veniste più, le male lingue direbbero chi sa che cosa. Vi aspetto, perciò, stasera.
E, ritornando in camera, alla moglie che stava ancora mezza balorda, non sapendo se dovesse temere o rassicurarsi, disse:
– Non vi manderò dai vostri fratelli, per non fare uno scandalo. Ma!…
Dopo un’ora, a cena, disse:
– Donna Emilia, sapete che c’è da pagare la pigione? e c’è da pagare quel debito che sapete?… Voi dovete almeno approfittare delle amicizie…
Fatevi prestare la somma dal baronello. Gliela restituiremo fra qualche giorno…
Non si poteva dire che le buone amicizie mancassero.
Don Andrea era diventato l’amico di tutti i giovani, i quali sollecitavano il favore di andare a giocare in casa di lui. Egli prometteva di accontentarli: ma uno alla volta. Non poteva accogliere tutti; non era bene. Le male lingue avrebbero parlato!…
Qualche volta accadeva che donna Emilia si sentiva prendere da un capogiro, e si alzava dal giuoco; don Andrea l’accompagnava in camera, e ritornando la scusava:
– Piccoli disturbi da nulla… Passeggia un po’ nell’anticamera per respirare un po’ d’aria… Volete andare voi a tenerle compagnia, marchese?
– Ma volentieri – diceva il marchese, che era stato il compagno di giuoco di donna Emilia.
La cosa andava avanti: pareva che don Andrea avesse fatta una grossa eredità. Parlava di comprar cavalli e mettere carrozza. Diceva di vincere al giuoco, per la buona fortuna che gli portava la moglie.
– Quella donna è un portento!
Ma i fratelli Cardona non ci vedevano chiaro; ebbero dei sospetti: si misero il cognato in mezzo, lo tempestarono di domande, lo caricarono di ingiurie sanguinose, lo minacciarono. Guai a lui, se permetteva di svergognare la famiglia…
– Che c’entrano loro? – ripeteva ora don Andrea, appoggiandosi alla tavola da pranzo, nell’attesa – che c’entrano? Non mi rompano gli stivali!
Aspettò qualche oretta; poi gli parve di sentire rumore, e dalla fessura dell’uscio vide qualcuno attraversare l’anticamera, e poco dopo sentì chiudere l’uscio di scala. Allora si alzò ed entrò in camera:
– Chi è? – domandò alla moglie.
– Il cavaliere…
Don Andrea fece una smorfia.
– Vi ho detto di non ricevere quel signore. Mi è antipatico… E poi non è neppure splendido!… A proposito, sapete che ho veduto i vostri fratelli?…
– Le raccontò la scena avvenuta.
Donna Emilia impallidì.
– Badate. I miei fratelli non scherzano…
– Useremo miglior prudenza.
E da quella volta vissero in sospetto. Non tennero più giuoco aperto; tanto non era necessario; gli amici venivano lo stesso, in certe ore; e per evitare chiacchere, don Andrea adesso li pregava che venissero di notte… Non li avrebbe veduti nessuno.
Ma una notte, il 13 febbraio del 1610, mentre c’era una delle solite visite, ecco dei colpi discreti alla porta.
– Chi è?
– Amici…
Erano voci note, certo qualche buon compagno. Don Andrea andò ad aprire, ma non poté neppure gridare, tale fu il terrore che lo assalì. Erano i suoi cognati. Lo presero per le braccia, lo trascinarono dentro, irrompendo nella camera. Lì, dinanzi alla porta, don Andrea trovò la forza di gridare:
– Aiuto!… donna Emilia… i vostri fratelli!…
Nella camera s’udì un gran rumore; quando i due Cardona v’irruppero, trascinandosi lo sciagurato don Andrea, trovarono la finestra aperta, e qualche vestito mascolino sopra una sedia.
– Ah! – gridò il maggiore – Voi non ci svergognerete più!…
Due colpi di pistola rimbombarono nella camera: due corpi si piegarono, caddero per terra, senza un lamento.
I due Cardona si chinarono, li guardarono.
– Son morti.
E se ne andarono cupi, severi, quasi solenni, lasciando per terra quei due corpi immobili, nell’atteggiamento in cui la morte improvvisa li aveva fermati, illuminati dalla candela che ardeva ora dinanzi alla morte, con la stessa luce come aveva arso un minuto prima dinanzi alla vergogna.

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Fonte: Luigi Natoli - Storie e leggende di Sicilia

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