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La Sicilia che scrive: Luigi Capuana Empty La Sicilia che scrive: Luigi Capuana

Dom 11 Dic 2022 - 12:06

Luigi Capuana

(il teorico e divulgatore del Verismo, fra i primi rappresentanti della letteratura fantastica italiana)



La Sicilia che scrive: Luigi Capuana EtOFHxY




Luigi Capuana (1839-1915) - Nato a Mineo in provincia di Catania nel 1839, da una famiglia di proprietari terrieri, trascorse buona parte della giovinezza impegnandosi nell'attività politica in favore di Garibaldi e dell'unità d'Italia prima e come ispettore scolastico dopo il 1871.

Scrittore bulimico, sovente per ristrettezze economiche, e dalla immaginazione sconfinata, autore di centinaia di racconti e che si reinventò le fiabe attingendo al folclore soprattutto siculo ma ne scrisse di completamente «nuove».

Tra il 1864 e il 1868 visse a Firenze svolgendo attività di critico teatrale per il giornale fiorentino "La Nazione". Lavorò come giornalista anche a Milano (1877-1882) presso il "Corriere della Sera" e a Roma (1882-1884) dove diresse "Il Fanfulla della domenica". Sulla sua formazione letteraria influì sia il soggiorno fiorentino, dove entrò in contatto con letterati famosi (Prati, Aleardi, Fusinato, Capponi) e conobbe Verga, sia il soggiorno milanese durante il quale, insieme a Verga, frequentò l'ambiente degli scapigliati. A Roma conobbe un altro grande conterraneo, Luigi Pirandello, il quale, dopo aver iniziata l'attività letteraria come poeta, scoprì la sua autentica vena di narratore proprio per i suggerimenti di Capuana.

Rimase a Roma come professore di letteratura italiana all'Istituto Superiore di Magistero sino al 1884, quindi passò ad insegnare estetica e stilistica all'Università di Catania, città nella quale si stabilì definitivamente. Rientrato a Mineo si dedicò agli studi teorici sulla letteratura, oltre che alle opere filosofiche di Hegel e ai testi del Positivismo.
Morì a Catania nel 1915.

Capuana fu il teorico e il divulgatore del verismo; a lui si deve il primo romanzo verista Giacinta (1879). Scritto dopo la lettura di Madame Bovary di Flaubert ispirandosi a un caso di vita vera, il racconto, che è dominato dal canone verista dell'impersonalità, presenta l'analisi minuziosa e quasi clinica della vita dei singoli personaggi. Ma il suo capolavoro è Il Marchese di Roccaverdina (1901). Pregevoli sono anche dei racconti per l'infanzia e molto importanti gli studi critici che fanno di Capuana il miglior critico letterario dell'Italia del suo tempo.

Fondatore del verismo insieme a Giovanni Verga, Capuana fu superiore a Verga come teorico ma inferiore come scrittore. Infatti, mentre Verga è riuscito a dare una rappresentazione storicamente precisa ma soprattutto intimamente umana degli umili, visti come portatori di una civiltà degnissima di rispetto, Capuana è rimasto legato per certi versi agli aspetti scientifici del naturalismo francese. Ne deriva un gusto (evidente in Giacinta) per il caso patologico e per la precisa ricostruzione storica e ambientale. Anche nel Marchese di Roccaverdina l'aspetto patologico (la pazzia) e la minuta descrizione dell'ambiente sono strettamente collegati all'analisi psicologica del personaggio principale.

In particolare sostenne il metodo impersonale nella narrativa: Io lo scrittore, secondo lui, doveva limitarsi a descrivere con assoluta obiettività il mondo che rappresentava, senza lasciarsi implicare in giudizi e commenti personali: il verista deve essere il fotografo fedele e l’obiettivo della realtà circostante. Era l’atteggiamento stesso dei naturalisti francesi, ma, mentre le loro descrizioni obiettive sapevano esprimere un atto di accusa e di denuncia che metteva a nudo il loro impegno sociale, Capuana non seppe capire e indagare la profonda umanità dei suoi personaggi e ambienti in cui si muovevano, e per questo le sue opere mancavano spesso di quel respiro e di quella incisività che sono propri dell’opera d’arte. Tuttavia l’evidente instabilità di gusti di tendenze della produzione da lui lasciata è da considerarsi come un vivace atteggiamento critico nei propri confronti e come una tenace ricerca, da parte sua, di una migliore espressione artistica.
Eppure, a ben considerare, più che un personaggio inquieto o un artista eclettico, Capuana sembra indossare perfettamente i panni dell’uomo di transizione dal positivismo al decadentismo, da un secolo all’altro, dalla monolitica razionalità al panismo dell’esperienza, ma senza contraddizione. Piuttosto col piglio curioso di chi esplora e verifica la natura, la scienza, la psicologia e la fantasia con la consapevolezza che la vita e l’arte non si possono ridurre a un’unica definizione, un’unica teoria, un’unica forma.

CAPUANA SCRITTORE

La sua prima opera letteraria fu essenzialmente poetica: un dramma in versi, Garibaldi (1861), e Vanitas vanitatum (1863). Alla poesia ritornò vent'anni dopo con Parodie (1884), parodie dei pometti di Mario Rapisardi, e con Semiritmi (1888), il cui titolo evidenzia una ricerca metrica originale di verso libero.

Con Profili di donne, in cui ancora è evidente la matrice romantico-sentimentale, con il romanzo Giacinta e con le novelle Le appassionate scopre altre possibilità espressive che alcuni sostengono del verismo, e scrive numerosi saggi per mezzo dei quali si fa promotore della nuova corrente letteraria, sostenendo il "metodo sperimentale", la necessità cioè di una rappresentazione obiettiva e distaccata del mondo e dell'uomo.

Con le novelle Le appassionate (1893) Capuana non scopre le possibilità espressive del verismo; lo fa, invece, con Le paesane (1894). Le Appassionate sono l'applicazione (e anche la sperimentazione), accanto ai più acerbi Profili di donne (1877), dei moduli della narrativa francese (Dumas fils, in particolare) e della prosa romantica in voga nell'Ottocento, in cui le possibilità dell'analisi interiore e della psicologia prefreudiana trovano una prima e concreta espressione, attraverso l'indagine dell'animo e della condizione femminili. Questa corrente novellistica, che si ispira alla teorica dell'amore di Stendhal e dei filosofi sette-ottocenteschi, anticipa un filone della narrativa derobertiana.

Dei romanzi, oltre ai più noti Giacinta (1879) e Il Marchese di Roccaverdina (1901), sono apprezzati La sfinge (1897), Profumo (1891), Rassegnazione (1906).

Delicate sono alcune novelle della raccolta Le paesane e assai piacevoli le fiabe per i bambini di C'era una volta...Fiabe (1882), Il regno delle fate (1883), Raccontafiabe, seguito al C'era una volta (1894), Chi vuol fiabe, chi vuol? (1908).

Tra gli scritti teorici: Studi sulla letteratura contemporanea (1880,1882), Per l'arte (1885), Gli "ismi" contemporanei (1898), Cronache letterarie(1899). Si interessò al teatro non solo come critico sulle pagine dei giornali e come autore de Il teatro italiano contemporaneo (1872) ma anche come autore di adattamenti teatrali e di commedie in dialetto.

LE OPERE PIÙ SIGNIFICATIVE E DI MAGGIOR SUCCESSO

GIACINTA (1879). Giacinta, figlia di un padre inetto e di una madre intrigante, avida di denaro e di godimento, è violentata, ancora bambina, da un giovanetto, servo di casa. Solo più tardi, da fanciulla, attraverso le chiacchiere delle domestiche, ella conosce la sciagura, della quale aveva perduto perfino la memoria.

La rivelazione provoca in lei una disperata aberrazione: ella non vorrà mai sposare l'uomo che ama, Andrea, e sarà invece la sua devota e appassionata amante fin dal giorno delle sue nozze con un vecchio conte Giulio, il quale accetta di vivere fraternamente con la moglie, senza inquietarsi della continua presenza, in casa, di Andrea. Giacinta ostenta quasi la sua passione per Andrea, che dopo la nascita di una bambina le sembra consacrata per sempre.

Quando la madre di lei, preoccupata della sua condotta, riesce, per salvare le apparenze, a far traslocare Andrea, Giacinta obbliga l'amante a dare le dimissioni dall'impiego e ad accettare, per vivere, il danaro che ella gli offre. Da quel momento Andrea, in cui l'amore cominciava ad affievolirsi, sente nella nuova situazione falsa ed avvilente aumentare l'insofferenza del suo legame con Giacinta senza però trovare la forza di rompere. La bambina intanto si ammala di difterite e muore; l'indifferenza di Andrea di fronte alla sventura, fa comprendere a Giacinta come sia irreparabilmente finito quell'amore a cui si era abbandonata con una foga testarda; e poiché la vita ormai, per lei, non ha più senso, si uccide.

Alcuni critici hanno sostenuto che manca a questo romanzo la dignità di stile e la forza rappresentativa necessarie a salvare la narrazione dalle strette del caso patologico e dello scandalo. Preoccupato soltanto di serbar fede al canone naturalista, l'autore non si sarebbe accorto che fra tanti particolari di vita reale, minuzie quasi cliniche, i suoi personaggi rimanevano anonimi, vaghi, privi della necessaria vita fantastica.

LE APPASSIONATE (1893): è una raccolta di novelle, le migliori prodotte dal Capuana verista, che espongono i casi «di coscienza dolorosi e tragici», nelle quali Capuana tratteggia l'altro da sé nell'analisi psicopatologica dei casi umani.

LE PAESANE (1894): un’altra raccolta di novelle in cui ci è offerta una suggestiva visione della Sicilia, terra di profumi e di bellezze, nonché di gente forte e operosa. Qui il Capuana si dedica ad una nuova indagine, ossia alle «novelle di soggetto siciliano, agli studi di caratteri e d'ambiente». In questo lavoro, che è quello che si avvicina più di tutti al Verismo, emerge però con chiarezza non solo il distacco dall'idea quasi pregiudiziale di un Capuana siciliano continentalizzato e osservatore esterno della realtà popolare, ma soprattutto si evince che le novelle dello scrittore sono tutte collegate tra di loro in un quadro estremamente variegato, mai unilaterale.

GLI ISMI CONTEMPORANEI (1898): è la più nota raccolta di saggi critici da lui pubblicati, il cui sottotitolo chiarisce il contenuto: verismo, simbolismo, idealismo, cosmopolitismo. con quest'opera Capuana lascia presagire il suo allontanamento dal Verismo, riconoscendo che esso rappresentava solamente uno dei tanti ismi della letteratura contemporanea.

IL MARCHESE DI ROCCAVERDINA (1901).Il marchese di Roccaverdina vive nelle sue terre di Sicilia, con la prepotenza, la cocciutaggine, gli arbitri dei suoi bisavoli che furono soprannominati i Maluomini. Nel palazzotto dove abita solo con la vecchia balia, mamma Grazia, egli è cresciuto per dieci anni con Agrippina Solmo, una contadina che gli dedicò gioventù, bellezza, purezza, con animo di innamorata e di schiava. Per non correre il rischio di disonorare il nobile casato sposandola, il marchese la dà in moglie a un suo devoto fattore, Rocco Criscione, esigendo però che entrambi giurino davanti al crocifisso di vivere come fratello e sorella.

Quando però, qualche tempo dopo le nozze, gli nasce il dubbio che Rocco e Agrippina abbiano violato il giuramento, il marchese si apposta di notte dietro una siepe e mentre Rocco Criscione passa sulla mula lo uccide con una fucilata; del delitto viene accusato Neli Casaccio, che già aveva minacciato Rocco perché apparentemente gli insidiava la moglie.

Il romanzo inizia a questo punto, essendo la storia della lotta segreta e feroce fra il marchese e il suo rimorso. L'antefatto è vivo e presente il tutta la vicenda, riflesso come in uno specchio stregato nella coscienza del marchese che cerca di liberarsene prima nella confessione, e, quando l'assoluzione gli è rifiutata, con lo strappare da sé ogni fede religiosa.

Dopo il delitto, l'amore per Agrippina, che gli è rimasto nel sangue, ha qualche volta sapore di odio, è un tormento in più: per vincerlo, il marchese decide di sposare Zosima Mugnos che ha amato nell'adolescenza e che ora, a trentadue anni, vive con la madre e la sorella nella miseria in cui le ha ridotte la prodigalità del padre. Poi, mentre Agrippina Solmo passa a seconde nozze con un pastore dei monti, il marchese si dà a una vita piena di attività in contrasto con l'isolamento caro alla sua indole. Ma il ricordo del suo delitto ritorna a lui di continuo, nell'immagine di un Crocifisso abbandonato in casa, nei racconti dei contadini che vedono riapparire Rocco sul luogo dell'assassinio.

Lo scenario di questa lotta è un paese arso e immiserito da sedici mesi di siccità che screpola la terra, decima uomini e bestie. L'angoscia si fa da una pagina all'altra più spietata e incalzante, si confonde all'attesa della pioggia che i fedeli invocano in processione, flagellandosi. Finalmente le nubi salgono sul cielo di Ràbbato e la pioggia scroscia, la terra verdeggia e fiorisce, Zosima diviene marchesa di Roccaverdina, l'innocente Neli Casaccio muore in carcere, muore anche don Silvio La Ciura, il santo prete che in confessionale ha conosciuto il delitto del marchese.

Solo il marchese, sebbene libero da ogni timore e da ogni testimone, non può sottrarsi al suo giudice segreto che lo assedia e lo spinge alla pazzia. Zosima, che dalla follia del marito apprende il suo delitto, lo abbandona. A soccorrerlo, pietosa della sua miseria umana, accorre vicino a lui, tutta amore e dolore, Agrippina Solmo, che gli sta al fianco finché alla pazzia furiosa succede il presentimento della morte.

CAPUANA E LE ORIGINI DEL FANTASTICO ITALIANO

Appassionato della scienza a lui contemporanea ma anche dell'occulto, dello spiritismo, della «metapsichica», Capuana è un nome importante per chi si interessi delle origini del fantastico italiano, ma quasi ignorato proprio perché grava su di lui l'etichetta di autore fra i più significativi del verismo, del realismo, del naturalismo, insomma degli oggettivi scrutatori di fatti e sentimenti. Dopo la sua morte e per parecchio tempo venne soprattutto ricordato per le sue storie per ragazzi, Scurpiddu (1898) e Cardello (1907), che però non reggono al tempo. In parte riscoperto a partire dagli anni '70 del '900 come favolista e novelliere con la benemerita pubblicazione dei Racconti in tre volumi a cura di Enrico Ghidetti (Salerno, 1973) e di Tutte le fiabe (Mondadori, 1983). Poi grazie a Simona Cigliana è stato ricordato il suo interesse per l'occulto con la ripubblicazione dei saggi Spiritismo? (1884) e Il mondo occulto (1896).
Ma non c'è contraddizione, anche se può sembrare paradossale, tra il Capuana realista e il Capuana irrealista e favolista, tra l'autore di Giacinta (1879), Profumo (1891) e Il marchese di Roccaverdina (1901) e quello delle storie fantastiche e protofantascientiche? Come si conciliano le influenze di Zola con quelle di Hoffmann, Poe, Verne e Wells? La patologia dei sentimenti, l'indagine psicologica, la descrizione di follie, suicidi, morti con quella di eventi straordinari sul piano scientifico e metafisico?Il nodo comune, l'intersezione, è la descrizione dei sentimenti umani quasi in modo «scientifico». Capuana si comporta come un anatomopatologo dell'animo umano e uomini e donne sono passati al microscopio sia di fronte ad eventi realistici personali e sociali sia di fronte a occorrenze assolutamente non ordinarie: l'irreale e il fantastico, ma anche la novità scientifica e i fatti eccezionali. Sentimenti drammatici - odio, amore, violenza, inganno e eventi fuori dal comune fantasmi, entità ultraterrene, vampiri, mostri, invenzioni che portano a conclusioni drammatiche - irrompono nelle vite dei personaggi dello scrittore e le sconvolgono. È da un lato la patologia della realtà e dall'altro quell'avvento dell'Irreale, dell'Inconoscibile di cui parla Roger Caillois e che provoca lo sconvolgimento della quotidianità creando il Fantastico. C'è dunque un collegamento, diciamo così metodologico, fra la vena realistico-psicopatologica e la vena fantastica o fantascientifica, senza che lo scrittore fosse in contrasto con se stesso e la sua poetica: descrivere impersonalmente la patologia dei sentimenti umani di fronte a un evento abnorme. A questa sua metodologia si aggiunga una curiosità intellettuale per ogni novità e gli sperimentalismi letterari.Capuana esordì ventottenne con un racconto su La Nazione nell'ottobre 1867: il protagonista de Il dottor Cymbalus, che si autodefinisce «il genio del male, capace di distruggere e non di edificare», opera un tale William, innamorato disperato, che gli chiede di essere privato dei suoi sentimenti: Cymbalus gli anestetizza per così dire il cuore, sede privilegiata delle emozioni. Prima soddisfatto del risultato alla lunga però William non sopporta di essere stato ridotto a un automa e non potendo essere ri-operato per tornare come era prima, disperato ma umano, si suicida maledicendo la scienza. Il dottor Cymbalus ricorda non solo il predente dottor Frankenstein della Shelley (1816) e il seguente dottor Moreau di Wells (1896), ma anche il dottor Raymond, protagonista de Il gran dio Pan, uno dei capolavori di Arthur Machen (1894). Tutte queste storie si concludono con esisti disastrosi. In uno degli ultimi racconti pubblicati da Capuana, ma non presente nelle sue molteplici antologie e che ho recuperato nel mio Le aeronavi dei Savoia (Nord, 2001) dedicato alla protofantascienza italiana, lo scrittore presenta un altro scienziato, il dottor Morini. In L'acciaio vivente, uscito su Il Giornale d'Italia il 1° ottobre 1913 sotto l'intestazione di «novella inverosimile», si descrive l'invenzione di un prodotto, l' «acciaina», che trasforma in acciaio «muscoli, fibre e nervi senza che essi perdano niente della loro delicatissima duttilità e acquistino allo stesso tempo un vigore di resistenza quasi infinita». Ma qui, gli fa notare un collega, ci andrebbero di mezzo anche i sentimenti. Ma per Morini esseri umani dai nervi d'acciaio potrebbero opporsi alla «crescente nevrastenia» (nel 1913!) e «protrarre la giovinezza». Sicché il dottor Morini, per conservarla sempre giovane, inietta l'«acciaina» nelle vene della moglie Zaira. Alla fine però fibre e muscoli non sopportano l'esperimento, «impotenti a riprendere le loro funzioni ordinarie». All'improvviso il crollo: il dottore si trova di fronte a «una creatura che non era una vecchia, bensì qualcosa di stremato, di avvizzito, di irriconoscibile». Per amore ha compiuto un delitto e si ricorda delle parole del collega: «Sarebbe bene che certi esperimenti di laboratorio non riuscissero mai!». Un monito inascoltato a distanza di un secolo. La Natura ha ragione della Scienza e il positivismo, che dovrebbe essere alla base del verismo, è sconfitto.La parabola di Capuana sembra quella di Arthur Conan Doyle che passò dal razionalismo assoluto di uno Sherlock Holmes allo spiritismo di cui divenne famoso sostenitore. Un aspetto dello scrittore siciliano che è come una filigrana sottotraccia della sua sterminata narrativa e che sarebbe il caso di riscoprire per fargli assumere il posto che gli compete alle origini del fantastico e della protofantascienza italiani.

ADATTAMENTI CINEMATOGRAFICI DELLE SUE OPERE

Capuana ha ispirato poco il cinema, a differenza di Giovanni Verga. Il primo film, infatti, è ispirato ad un'opera minore come Lu cavalieri Pidagna con il titolo Zaganella e il cavaliere (1932). Era diretto da Giorgio Mannini e Gustavo Serena, sceneggiato da Amleto Palermi con la partecipazione di Marcella Albani nel ruolo di Lia e Carlo Lombardi in quello di Ignazio Meli.
Nel 1933 Paraninfo diretto da Amleto Palermi. Il romanzo che, invece, ha avuto maggiore verve ispirativa è stato Il marchese di Roccaverdina che è stato alla base di due film con lo stesso titolo: Gelosia. Il primo è di Ferdinando Maria Poggioli, del 1942, sceneggiato da Sergio Amidei, con Luisa Ferida nel ruolo di Agrippina Solmo e Roldano Lupi in quello del marchese. Il secondo, del 1953, è invece diretto da Pietro Germi, su sceneggiatura di Giuseppe Berto, con Marisa Belli (Agrippina), Erno Crisa (marchese) e Paola Borboni. Entrambi sono ottimi risultati, il primo con una forte impronta verista, il secondo con un'ottima ambientazione.
Fu anche realizzato dalla RAI uno sceneggiato televisivo nel 1972 con protagonista un'indimenticabile Domenico Modugno Ricordiamo Malìa del 1946 diretto e sceneggiato da Giuseppe Amato con Anna Proclemer nel ruolo di Jana, María Denis in quello di Nedda e Roldano Lupi in quello di Nino, il fidanzato di Jana. Film che è anche stato Nastro d'argento per la musica di Enzo Masetti. Dieci anni dopo il racconto "Cardello" farà da base per il film I girovaghi diretto da Hugo Fregonese nel 1956, sceneggiato tra gli altri da Giuseppe Berto e interpretato da Peter Ustinov e Carla Del Poggio.



(dal web)
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