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 Federico De Roberto ovvero la crisi del Verismo Empty Federico De Roberto ovvero la crisi del Verismo

Lun 12 Dic 2022 - 13:42

Federico De Roberto

(ovvero la crisi del Verismo)



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Federico De Roberto nacque a Napoli nel 1861 ma visse prevalentemente a Catania con la madre, Marianna Asmundo Ferrara, nobildonna siciliana. A vent’anni abbandonò gli studi di matematica e fisica per dedicarsi al giornalismo, attività che lo mise in contatto con Verga e Capuana. Manifestò la propria vocazione di scrittore negli anni Ottanta, in piena espansione del Verismo. Nel decennio 1888-1897 soggiornò a Firenze e soprattutto a Milano, dove attraverso Verga strinse rapporti di amicizia con diversi scrittori e maturò l’adesione alla narrativa naturalista. Collaborò come critico letterario al «Fanfulla della domenica» e al «Corriere della Sera». Dagli inizi del Novecento, tornato a Catania, fu tormentato da malattie nervose. Allo scoppio della Prima guerra mondiale divenne un acceso nazionalista, ma in seguito rivide le proprie posizioni. Morì solo e dimenticato nel 1927, lasciando una produzione letteraria molto vasta.

lo stemma della famiglia Asmundo



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La vita di Federico De Roberto non fu certamente facile; né facile fu il suo rapporto con le donne. Afflitto da frequenti stati depressivi, che lo debilitavano anche fisicamente e ne spegnevano gli entusiasmi, alternati a momenti di vitalità e di euforia, oggi De Roberto sarebbe definito un “bipolare”. Le relazioni col “gentil sesso” furono condizionate, oltre che dagli ondivaghi moti dell’umore, dalla presenza di una madre possessiva e invadente, Marianna Asmundo Ferrara. Tuttavia, nell’esistenza turbolenta e avara di felicità dell’autore de I viceré, non mancarono amori “clandestini”.

Ernesta Valle, sposata con l'avvocato messinese Guido Ribera, sarà la più nota delle amanti di Federico De Roberto



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La sua ricca produzione narrativa, sulle orme dei “maestri” Verga e Capuana, si sviluppa tra racconti e novelle (Documenti umani, 1888; Processi verbali, 1890) e romanzi (Ermanno Raeli, 1889; L’illusione, 1891; l’incompiuto L’imperio, edito postumo solo nel 1929), fino al suo capolavoro, I Viceré (1894), cupo e grottesco affresco storico della Sicilia nei decenni del Risorgimento, vista attraverso le vicende della famiglia nobiliare degli Uzeda. Anche De Roberto unisce all’invenzione narrativa gli interessi di critico letterario e di teorico del movimento (come dimostrano i saggi di Arabeschi, pubblicati nel 1883), mettendo in dubbio il canone dell’impersonalità o il presupposto dell’obiettività del reale, o portando alle estreme conseguenze alcuni precetti di base del verismo, così che si avrebbe “rappresentazione obiettiva” - per De Roberto - solo nel “puro dialogo”, come insegna il teatro (e si ricordi che anche Verga opta, nello sviluppo della sua carriera, per la scrittura teatrale). In molte prefazioni ai suoi testi, De Roberto torna spesso sul problema della “forma” (ribadendo come Capuana e sulla linea di De Sanctis il suo primato sul metodo), e sulle risorse dell’analisi psicologica per indagare classi sociali (come quella alto-borghese o nobiliare) del tutto antitetiche rispetto all’universo rurale e contadino verghiano.
Il ciclo degli Uzeda
Il ciclo degli Uzeda, è la storia del «decadimento fisico e morale» di una famiglia aristocratica siciliana, composto da tre romanzi: L’illusione (1881), I Viceré (1894), L’imperio (pubblicato postumo nel 1929). L’illusione è un lunghissimo monologo condotto attraverso il punto di vista di Teresa Uzeda, nobildonna siciliana che, fra un matrimonio sbagliato e relazioni infelici, constata l’illusorietà dell’amore e l’inadeguatezza dei propri istinti.

una recente edizione de L'Illusione



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I Viceré è il ritratto della famiglia aristocratica degli Uzeda, che passano attraverso i cambiamenti della Sicilia, dai Borboni all’integrazione nello Stato unitario, mantenendo i loro secolari privilegi. L’autore, attraverso l’impersonalità e l’ironia, esprime una concezione negativa della storia: meccanismi materiali, violenti ed egoistici, sanciscono con sostanziale ripetitività la vittoria del più forte sul debole, dell’ingiustizia sulla giustizia, dell’interesse sul disinteresse. L’ottica verista non lascia trasparire commenti o giudizi dell’autore e l’intento di far aderire la forma al soggetto determina l’uso di vari registri espressivi, che riproducono il quadro variegato degli Uzeda.

I Vicerè nell'edizione Oscar Mondadori



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L’imperio è la continuazione dei Viceré. Sullo sfondo dei salotti romani di fine secolo, narra le vicende di Consalvo Uzeda, da deputato a Montecitorio a ministro dell’Interno, fino al tracollo finale, indizio della crisi di tutte le certezze borghesi.

L'Imperio, sempre nell'edizione Oscar Mondadori



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Nei personaggi dei Viceré non c’è approfondimento psicologico e la loro fisionomia è delineata con tocchi rapidi. L’intento dell’autore è studiare gli effetti della ereditarietà sugli Uzeda, soffermando l’attenzione, più che sul singolo, sul gruppo. Tutti gli appartenenti a questa stirpe nobilissima, a causa del loro sangue malato, sono meschini, avari, viziosi, prepotenti. Tutti sono accomunati dalla volontà di arricchirsi e dalla sete di potere, oltre che irrigiditi in una qualche grottesca fissazione: c’è chi insegue progetti di coltivazione, chi accumula dati storici ed eruditi, chi ricerca istericamente la maternità, il cui frutto sarà l’aborto di un mostro.

I Viceré

Suddiviso in tre parti, ognuna di nove capitoli, il romanzo narra la storia della nobile famiglia catanese degli Uzeda-Francalanza, discendente, dall’epoca di Carlo V, dai viceré spagnoli dell’isola. La vicenda va dai primi moti alla caduta dei Borboni, al governo della Destra storica e poi della Sinistra di Depretis, fino alle elezioni del 1882. Dopo la morte della principessa Teresa Uzeda di Francalanza, donna ambiziosa e dispotica, la famiglia è dilaniata da odi feroci e contrasti d’interesse fra i figli della defunta e i cognati. Alle lotte interne fra parenti si sovrappone quella per difendere i secolari privilegi della famiglia, messi in pericolo dalla mutata situazione politica, che vede la Sicilia unita al Regno d’Italia.

alcune immagini tratte dal film di Roberto Faenza "I Vicerè" (2007)



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Al primogenito, principe Giacomo, che riunisce in sé tutte le virtù e tutti i difetti degli Uzeda, e si distingue per la cinica avarizia, si oppone il dissoluto conte Raimondo (Giacomo gli sottrarrà la quota ereditaria). Don Gaspare, duca d’Oragua, durante la spedizione garibaldina non esita a fingere simpatie liberali, riuscendo a farsi eleggere nel 1860 senatore del Regno; così, anni dopo, l’ultimo degli Uzeda, Consalvo, figlio del principe Giacomo, intraprende l’attività politica abbracciando per opportunismo idee di sinistra. Il monaco benedettino don Blasco, cognato della principessa Uzeda e costretto a farsi frate solo per motivi legati all’economia della famiglia, bestemmiatore e collerico, inizialmente antiunitario, festeggia poi la presa di Roma nel 1870 e si arricchisce comprando i beni della Chiesa; così il nipote Lodovico, che scala i gradini della gerarchia ecclesiastica diventando priore del convento dei benedettini. Unico sconfitto è Giulente, un borghese liberale, che aveva sposato una Uzeda: animato da sinceri ideali patriottici, viene strumentalizzato e ingannato dagli Uzeda in occasione delle elezioni politiche. Con il suo fallimento resta delusa la speranza di un ricambio delle classi dirigenti dopo l’unità.
Leonardo Sciascia considerava I Vicerè il più grande romanzo storico italiano insieme ai Promessi sposi di Manzoni. Lo scrittore siciliano di questo libro amava lo stile freddo, razionale, la disperazione, la capacità di rappresentare senza pietà il corpo vivo del paese. Ne amava soprattutto la sincerità senza scampo, la denuncia della ignobiltà degli aristocratici, il tentativo di rammentare che i “principi” e le “principesse” altro non erano che sciacalli e iene, che il potere è sempre stato corrotto e senza ideali.
una curiosità
L'opera di De Roberto, è stata oggetto di una trasposizione cinematografica da parte del regista Roberto Faenza che nel 2007 ne ha tratto un proprio film.



la locandina del film di Faenza



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