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Il parco delle Cave - Marsala: una città nascosta Empty Il parco delle Cave - Marsala: una città nascosta

Dom 1 Gen 2023 - 18:29

Il parco delle Cave - Marsala

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l “parco delle cave” nasce grazie al paziente lavoro di bonifica di alcune cave in disuso del territorio marsalese, l’impegno di Leonardo e Annamaria, privati cittadini lo hanno comprato questo sito dimesso, lo hanno reso accessibile e salvaguardato dal rischio di diventare una pubblica discarica.
Si configura come una città nascosta in quanto si svolge anche al di sotto del piano di campagna e si delinea in una particolare architettura generata dalla mano dei cavatori che estraevano i litoidi di calcarenite arenaria chiamati comunemente “tufi”.
Le cave abbandonate, elementi del paesaggio trasformato dalla mano dell’uomo nel corso dei secoli, sono componenti significativi del territorio, importanti per la loro irripetibilità ma anche per la loro valenza storico-culturale in quanto testimonianza di tecniche di estrazione e lavorazione non più in uso.
Le cave nascono dall’esigenza di ricavare materiare di facile lavorazione per costruire templi, monumenti e abitazioni.

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L’estrazione della calcarenite arenaria veniva praticata già dal sec. VII a.C. e blocchi di tufo vennero cavati per costruire prima Mozia e poi l’antica Lilibeo.
Il terreno affiorante di queste zone che rappresenta la protezione del sottostante banco calcareo è chiamato “sciara” termine di derivazione araba che indica un paesaggio arido e desolato.
La poca terra rossa presente permette la riproduzione della Palma nana, del Cappero, del Timo, della Ferula, dell’Asparago selvatico e altre piante tipiche della macchia mediterranea.
L’estrazione della calcarenite si è incrementata durante gli anni cinquanta ed ha rappresentato un importante attività economica per la popolazione marsalese assieme all’agricoltura ed alla pesca.
Inizialmente l’estrazione avveniva manualmente con mezzi rudimentali, veniva eliminata la parte affiorante rocciosa per raggiungere quella sottostante più malleabile dando vita a lunghi percorsi sotterranei .
Per l’estrazione manuale in galleria “metodo a pilera” si utilizzavano la mannaia ed il manganello cilindro di legno dove scorreva la corda a cui venivano legati ad uno ad uno i tufi per essere portati in superficie.
Si lavorava a gruppi di 3-4 persone che riuscivano ad estrarre ogni giorno 35-40 tufi.
L’accesso in galleria avveniva attraverso delle bocche denominate pozzi e i cavatori scendevano per qualche metro fino ad incontrare il materiale più pregiato per compattezza e grana. Scavando dei cunicoli orizzontali ed estraendo il materiale si originavano lunghissime gallerie. A sostegno delle volte rocciose si lasciavano dei grandi pilastri denominati pileri che avevano uno spessore variabile dai 2 ai 14 metri.

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Con l’avvento della tecnologia si utilizzano le macchine “ taglia tufi “ e si è passati all’estrazione col “metodo a fossa” o a cielo aperto. Le macchine tagliatufi, azionate da motori, scorrono su binari e sono munite di due lame una verticale ed una orizzontale che servono a tagliare i lati del litoide a forma di parallelepipedo. L’estrazione viene effettuata a strati e via via si scende fino ad arrivare vicino allo strato di argilla, dove finisce la lavorazione.

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Annamaria Ottoveggio e Leonardo Foderà hanno comprato le cave già di proprietà dei cavatori e poi rimaste abbandonate, non utilizzabili da un punto di vista estrattivo. «Per caso – aggiunge Annamaria - siamo venuti a conoscenza di questa località in vendita». Il luogo di una bellezza così particolare e affascinante, è stato utilizzato negli anni quale location di manifestazioni culturali e workshop. L’inizio di tale utilizzo risale al 2011, quando l’architetto Francesco Ducato, fondatore di ‘Stardust’, uno studio creativo internazionale e interdisciplinare con focus sull’innovazione empatica, ha dato vita proprio lì a un work shop sull’arte contemporanea con colleghi del Brasile e anche della Spagna, creando un evento che ha reso un effetto particolare al luogo, anche grazie ai giochi di luce che hanno valorizzato quelle caratteristiche che mai si era pensato di studiare in una cava abbandonata con tale evidenza.
Il posto è suggestivo e Leonardo e Anna Maria, col tempo, sudore e amore, l’hanno reso fruibile ai visitatori che vogliono entrare nei meandri della storia dell’edilizia della Sicilia occidentale.

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Le cave sono visitabili ed è stato creato un percorso ad hoc. Si ha la sensazione di essere all’interno di grotte naturali. Ma quel che davvero arriva agli occhi e al cuore del visitatore è il lavoro dei cantunari (operai del settore).

Venivano scavati dei pozzi in verticale, si scendeva oltre i 30 metri e si procedeva in orizzontale estraendo la pietra simbolo della Sicilia, che viene anche utilizzata per scopi ornamentali, essendo molto facile da modellare.

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Al parco delle cave è possibile apprezzare delle piante tipiche che possono crescere in leggeri strati di terra rossa . Si trova oltre la palma nana che caratterizza il paesaggio della macchia mediterranea in tutta l’isola, la pianta di cappero, il timo, il rosmarino e qualche ulivo.

L’entusiasmo e l’ospitalità di Leonardo e Anna Maria rendono ancora più piacevole la visita al parco delle cave e vi lasceranno un ricordo particolare della Sicilia di un mondo sommerso che ha rappresentato per lungo tempo prosperità per il territorio marsalese.


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Fonti: balarm.it, comunemarsala.com, vivotrapani.altervista.org

Fotografie: web

Filmato YouTube di Anna Maria Ottoveggio
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