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Mar 3 Gen 2023 - 14:46

Sale e vento: le saline di Trapani

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Uno dei panorami più visitati della Sicilia occidentale è senza dubbio il tratto di costa che va da Trapani a Marsala, caratterizzato dalla presenza di antiche saline. Le Saline di Trapani sono presenti nel territorio da secoli. L'area che comprende le Saline è estesa per mille ettari nella zona sud di Trapani fino a Marsala, comprendendo anche Mozia. Dal 1995 è diventata Riserva Naturale delle Saline di Trapani e Paceco, gestita dal WWF.
La storia delle Saline ci fa tornare indietro all'epoca dei Normanni nel XII secolo, periodo in cui Federico II comprende l'importanza commerciale del luogo e impone il monopolio di stato sulla produzione del sale, usato per la conservazione del cibo. Dopo i Normanni, fu la volta degli Aragonesi, che privatizzarono le saline. Successivamente gli Spagnoli spinsero l'economia della zona, promuovendo Trapani come centro europeo più importante per la produzione del sale


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Fino a gli anni 60, i Mulini a Vento si imponevano sul panorama delle saline Trapanesi. Giganti maestosi, dal movimento aggraziato, sfidavano imperterriti gli impetuosi venti di Trapani. I salinai riuscivano ad utilizzare il vento, indispensabile per il movimento dell'acqua per incrementare la formazione del sale, anche per riuscire a sollevare le innumerevoli quantità d'acqua necessarie per la produzione del sale marino. Ben presto i salinai si accorsero che potevano utilizzare i Mulini a Vento, oltre che per pompare l'acqua di mare in salina, anche per macinare il sale. Quindi è necessario capire che esistevano due tipi di Mulino a Vento nelle saline di Trapani: un tipo per il sollevamento dell'acqua e un'altro per la Macina del sale. I Mulini a Vento nel Trapanese, furono anche usati da attività che non riguardavano l'estrazione del sale, e se ne costruirono anche per la macina del frumento. Se ne trova ancora qualche resto nell'entroterra Trapanese. Verso la metà degli anni 50, a Trapani venne introdotto un'altro tipo di Mulino a Vento, il Mulino Americano, a 24 pale. Questo poteva essere istallato sulle torrette degli esistenti mulini a vento ed era molto più facile da gestire, perché si "autoregolava" in funzione del Vento e della potenza richiesta.

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Pare che i primi mulini a vento siano apparsi in Persia ancora nel VII secolo, ma la documentazione è troppo precaria per essere credibile. Altro luogo comune è che essi siano stati impiegati nell'Oriente islamizzato intorno al Mille, ma poiché l'installazione di uno di essi sotto le mura di Acri in Siria nel 1189 fece credere alla gente del luogo che esso fosse un mostro inusitato, è presumibile che la nuova macchina molitoria mossa dall'energia eolica fosse ancora sconosciuta in quelle terre. In realtà le prime testimonianze sicure di mulini a vento potrebbero essere datate nel penultimo ventennio del XII secolo, a partire dai primi certi esemplari a noi noti del 1180, situati a Ste-Mère-Eglise e presso Liesville in Normandia, o dal mulino a vento vicino a Bristol del 1181, per poi trovare in pochi anni una rapida diffusione in varie località della Francia, dell'Inghilterra, della Fiandra, dell'Olanda e della Germania, terre da cui si sarebbero poi ben presto diffusi in gran parte d'Europa.
Tanta fortuna sarebbe dovuta sia alle nuove possibilità di insediamento della nuova macchina ad energia eolica, sia al fatto che le leggi medievali che avevano formulato il "diritto d'acqua" (e quindi anche quello di costruire mulini), non contemplavano per nulla il "diritto d'aria", anche se ben presto quest'ultimo rientrerà tra i diritti "bannali", seppur tra molte difficoltà (Rivals 1987).
La loro introduzione a Trapani avviene intorno al 1750, il periodo di massima espansione delle saline di Trapani. Infatti a quei tempi, furono costruite saline sempre più grandi e furono ampliate quelle esistenti. Questa "industrializzazione" della produzione del sale, non poteva fare più il solo affidamento alle maree e fu necessario introdurre "una macchina" che potesse sollevare le quantità di acqua di mare necessarie per la conduzione del nuovo tipo di salina. Le testimonianze tutt'ora presenti in salina, ci dicono che da prima le viti d'archimede erano fatte girare con l'ausilio della trazione animale. Inoltre sappiamo che il tufo di Favignana con cui i mulini a vento sono costruiti, sebbene fosse importato in piccole quantità già da secoli prima, ebbe la massima diffusione solo nel 1700. Il progetto scelto fu quello del mulino a vento a sei pale, già conosciuto in europa e presente in Spagna, Portogallo, Grecia, e Olanda.

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I Mulini a Vento sono composti da una struttura tronco conica in conci di tufo di Favignana, intonacati con una robustissima malta a base di cemento pozzolanico, che rappresenta la torretta. In essa è istallato il complesso delle sei pale trapeizoidali in legno. Le pale del Mulino, dette 'Ntinne(17), con una lunghezza di circa 4 metri su cui vengono stese le vele di tela "Cuttunina," intrappolano il movimento del vento. Questo viene tradotto in un movimento rotatorio che è trasmesso al Cilindro(4) su cui è montato un ingranaggio in legno con 32 denti in legno detto Cunucchiune(3). Questo complesso, rappresenta la Torretta del Mulino, coperta dal caratteristico Cubulino Rosso(2). La Torretta era una sezione a se e aveva come base un grosso e spesso cerchio realizzato in legno chiamato Giro Soprano (5). Il Giro Soprano, accoppiato con il Giro Sottano(6) che invece era ancorato nella muratura del Mulino, agiva come un cuscinetto su cui veniva girata manualmente la Torretta in direzione del vento dal Mulinaio tramite una serie di leve. Una volta girata la Torretta, il Giro Soprano e il Giro Sottano venivano ancorati tra di loro con grosse catene. Il Cunucchiune della Torretta trasmetteva il movimento ad un'altro ingranaggio piu piccolo e disposto ortogonalmente ad esso, il Paraneddro(Cool, che era dotato di 16 denti. Il Paraneddro era montato su un albero di trasmissione (detto Rittu(9)), generalmente composto da due pezzi di acciaio tondo da circa 8 cm di diametro, e poteva essere scollegato dalla presa del Cunucchione per mettere in "folle" il mulino. L'albero presentava nella sua metà un sistema di arresto che serviva per frenare il mulino quando il suo lavoro era terminato. Il freno era composto da un Tamburo(10) in legno, sul quale si stringeva una spessa corda intrecciata chiamata Capotubbo du Freno(11). Ancorata al muro del mulino da una parte, faceva il giro del tamburo e veniva tirata dal lato opposto dal Mulinaio. L'attrito faceva rallentare il Mulino fino a fermarsi. Era un operazione che si faceva molto lentamente poiché un movimento troppo brusco poteva spezzare le 'Ntinne, spezzare il Cilindro o addirittura scardinare la Torretta dal Mulino per la troppa inerzia accumulata. Nella sezione in basso, il Ritto era incastonato nella Cunocchia(19) da 32 denti che rimandava il movimento ad un'altro Paraneddro(20) da 16 denti, stavolta attaccato tramite un albero di trasmissione ad una pompa a vite d'Archimede istallata nella base del Mulino, chiamata in gergo Spira(13) (vai a Spira). Una volta che il mulino era fermo, le 'Ntinne basse si ancoravano al Mulino tramite una corda che si legava a dei paletti di legno che c'erano sulla muratura del mulino, chiamati Vrazzola (o Buttuna). Le 'Ntinne alte erano invece legate alla coda della torretta, da dove si usciva attraverso un portello realizzato sulla parte posteriore del Cubbolino.

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Il Mulino a Vento, oltre che per immettere l'acqua di mare nella salina, serviva anche per asciugarla. L'operazione era possibile e indispensabile quando all'inizio della stagione, era necessario pompare l'acqua piovana che l'inverno aveva portato in salina, solamente aprendo e chiudendo dei portelli. Lo schema è molto semplice, come vediamo nelle figura A ( Mulino che tira l'aqua dal mare verso le fredde della salina) e nella figura B (Mulino che tira l'acqua proveniente dalla salina tramite il canale che costeggia le fredde e la pompa sul canale che circonda il Mulino in direzione mare) mostrate di seguito:

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Le parti più affascinanti del Mulino a vento sono senza dubbio le sei pale trapeizoidali in legno. Come abbiamo Già detto queste sono chiamate 'Ntinne(17) e hanno una lunghezza di circa 4 metri. Sono composte da un palo centrale di legno chiamato Alma di la 'Ntinna(1). Perpendicolarmente all'Alma sono disposti gli Scaluna(2) e parallelamente le Astine(3).

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Le 'Ntinne sono collegate tra di loro da un cavo d'acciaio detto "Giro Vela" (in figura in VERDE). Sono collegate dalla punta estrema dell'Alma allo Stasu(12) tramite delle corde chiamate "Muntuna" (in figura in GIALLO) e dalle punte estreme delle Astine sempre alla Stasu tramite delle corde dette "Stralli" (in figura in ROSSO).
Su di venivano stese le vele di tela "Cuttunina," ma molti non sanno che esisteva una vera e propria "Maestria" nella disposizione delle vele. Queste venivano ancorate alle 'Ntinne da 6 corde: 2 Chiacchi (sulla parte stretta della 'Ntinna) 2 Stralli, (nella parte mezzana) e 2 'Mpugne (nella parte larga della 'Ntinna) . Le vele venivano spiegate Intere, ma quando c'era troppo vento e la sola forza di carico della Spira non bastava per decellerare il movimento del Mulino, per evitare di perderne il controllo, il Mulinaio le spiegava parzialmente in 3 modi differenti: A a Trizzarolo(trad. dal Siciliano da Trizza=Treccia), B a Facci Tagghiata (trad. dal Siciliano: Faccia Tagliata) e nelle condizioni estreme di forte vento come lo Scirocco Trapanese (fortissimo) C a Pampina di Canna (trad. dal Siciliano: Foglia di Canna). Era possibile anche che il Mulinaio eseguisse combinazioni nelle vele o che addirittura lasciasse qualche 'Ntinna senza Vela.

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Come abbiamo gia detto, il movimento delle pale del Mulino a Vento era trasmesso alla Spira istallata nella base del Mulino. La Spira è la classica pompa a Vite di Archimede, dall'ononimo inventore Archimede Siracusano. E' fabbricata in legno ed ha degli accessori in ferro. Era composta da una trave centrale in legno, chiamata Alma da Spira(19) (Trad. Siciliano: Anima della Spira) su cui erano inserite delle Pagliette(21) di forma trapeizoidale, leggermente incurvate realizzate accuratamente a mano, a formare due o tre spirali. A coprire le Pagliette vi erano delle assi strette da dei cerchi in ferro, simili a quelli delle botti, dette Fasciame(20). Tutte le parti in legno della Spira, erano ricoperte da Pece Nera per sigillare e proteggere la Spira dal deterioramento causato dall'acqua marina. Nella parte anteriore, quella da cui fuoriusciva l'acqua aspirata, vi era un grosso pezzo di acciaio tondo, spesso circa 6 centimetri, che poggiava su una grossa trave di legno durissimo su cui era stata intagliata una gola che faceva da cuscinetto. All'estrema punta di esso c'era il Paraneddro da cui prendeva la trazione dal Mulino a Vento. Nella parte inferiore, quella da cui la Spira aspirava l'acqua del mare (o della Salina) vi era un perno d'acciaio chiamato Minchiozzo(18) che faceva base sulla Scarpa della Spira(16). La Scarpa era attaccata tramite due tiranti allo Sbannune(15), una grossa vite realizzata in legno dello spessore di circa 8 centimetri, regolata tramite un grosso dado di legno a "Galletto" detto Scuffina(14). Il mulinaio, in base alla potenza del vento, agiva sulla Scuffina, stringendola o allentandola, variando così il pescaggio della Spira come un freno continuo al movimento delle pale. Inoltre era importantissimo regolare la spira per adattare il pescaggio al moto delle maree.

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Anche i Mulini a Vento ebbero le loro evoluzioni tecniche nel corso degli anni. Oltre alla trasformazione negli anni 60 di alcuni di essi in Mulini Americani, ci fu un importante cambiamento per rinforzare una parte del Mulino molto complicata (quindi costosa) e particolarmente delicata: Il Cilindro del Cunucchiune. Il Cilindro, per via della sua fabbricazione in legno, era particolarmente fragile nella parte dove le 'Ntinne si attaccano ad esso. I cedimenti di questo elementi erano abbastanza frequenti, poichè, mentre le 'Ntinne a fine stagione potevano essere smontate e messe a riparo dentro i magazzeni, il Cilindro nella sua parte esterna, la più delicata, rimaneva fissato alla torretta e perennemente esposto a gli elementi.
Le modifiche per avviare al problema furono radicali: togliere i cilindri di legno e sostituirli con solidi cilindri d'acciaio. La modifica è presente in molti mulini Trapanesi, segnale che il problema aveva trovato nel nuovo montante delle pale la soluzione definitiva.

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Il mulino a Vento da Macina

Il mulino per macinare il sale è nella concezione meccanica e eolica identica, solo che il movimento, invece di essere trasmesso alla Spira, è usato per fare girare una mola da macina. Il movimento viene trasmesso ad un grosso ingranaggio in legno a 36 denti, che ne fa muovere uno più piccolo da 18 denti. Il piccolo ingranaggio, attraverso un albero di trasmissione, fa girare una o due mole. La mola è composta da due parti coniche realizzate in pietre calcaree durissime, cementate tra di loro a creare una emisfera superiore e una emisfera inferiore. Il sale viene versato attraverso un imbuto posto sulla parte superiore proprio al centro della mola che gira, . La mola inferiore resta ferma a terra. Il sale passando tra la mola superiore e quella inferiore, dal centro si sposta per azione centrifuga verso l'esterno. Durante questo passaggio, l'attrito che si crea tra le due mole macina il sale che fuoriesce lateralmente in una tinozza esterna dove viene raccolto e immagazzinato. I Mulini a Vento da Macina erano sempre costruiti sopra un grande struttura con grandi magazzeni. Il sale da macinare veniva lasciato asciugare al sole su un pavimento costituito da tufi di Favignana. Una volta asciutto veniva macinato e accumulato nei magazzini a fianco il mulino. Il sale macinato non era molto fine ma era una "mezza macina" perfetta per la salagione di pesci e olive. Nell'uso alimentare, la massaia a casa lo rimacinava in un mortaio. Tra i mulini da macina annoveriamo quelli della salina S. Cusumano, (ora Baia dei Mulini sul litorale Nord di Trapani), i Mulini della Salina Calcara, della Salina Alfano, della Salina Chiusa (attualmente sede del Museo del Sale di Nubia) e il Mulino della Salina Infersa a Marsala, l'unico funzionante (solo a scopo turistico dimostrativo).

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Gli ultimi Mulini a Vento di Trapani

Sono ormai pochissimi i Mulini a Vento integri: nella provincia di Trapani sono: I 2 mulini della Salina S.Cusumano (ora Baia dei Mulini sul litorale Nord), il Mulino Maria Stella sulla Via del Sale di Trapani, 2 Mulini della Salina Calcara (di cui uno restaurato solo nella parte esterna), il mulino del Museo del Sale di Nubia, il Mulino Uccelo Pio a Salinagrande, e i tre mulini della salina Ettore a Marsala e il Mulino della Salina Infersa a Marsala.

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Il degrado dei Mulini delle Saline di Trapani

Se prima abbiamo visto che una decina di Mulini a Vento sono tuttora integri, dobbiamo tenere a mente che una volta i mulini a vento Trapanesi era circa un centinaio. Non bisogna essere un matematico per capire che la situazione è molto grave. Molti puntano il dito sui proprietari dell saline Trapanesi, e in alcuni casi è vero, ma se c'è chi può e non vuole vi posso assicurare che la maggior parte dei casi il discorso è inverso. Molti produttori vorrebbero ma non possono. Le cause sono tantissime: la prima è da cercarsi che il salinaio è un lavoro fatto di sacrifici e vi posso assicurare che il guadagno è modesto. Se poi aggiungiamo che i salinai si sobbarcano ogni anno tutte le spese di mantenimento delle saline, relative agli impianti di produzione, non resta più niente. I salinai combattono da generazioni contro la natura che vorrebbe indietro questa parte di territorio che naturale non è... La pulizia delle saline dovuta a tutto quello che portano in salina le stagioni invernali, la continua sostituzione di tufi e ripristino di argini e la pulizia dei canali necessari alla salicultura sono un impegno costante sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista economico. Ora è brutto fare una scelta su cosa mantenere e cosa "lasciare perdere" ma purtroppo a pagare le spese sono sempre i Mulini a Vento. I perché sono molteplici. Purtroppo le normative sulla sicurezza sul lavoro non rendono più idonei questi "macchinari" a potere essere utilizzabili. Potrebbero essere fatti degli aggiornamenti? NO... i Mulini a Vento sono legati a MORTE CERTA da una cosa che si chiama "Sovraintendenza", quindi non possono essere modificati assolutamente. Si possono ripristinare e lasciarli come belle statuine, ma un mulino che non produce ha bisogno di manutenzione continua lo stesso e il problema è solo rimandato. Tutto questo sotto gli occhi di una Riserva "Naturale" istituita dalla Regione Sicilia nel 1995.

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L'Uomo dietro la Macchina

Chiunque abbia avuto la fortuna di vedere da vicino un Mulino a Vento, certamente ne è rimasto estasiato dalla sua Genialità nella semplicità. Credere che queste gioielli della tecnica siano il frutto di un lavoro manuale, non supportato da un equipe tecnica come si usa fare ai nostri giorni, niente lavoro di progettazione al computer sembra essere incredibile ma vero. Dietro ogni Mulino a Vento c'è la Passione, la Maestria di Uomini che realizzavano vere e proprie opere d'arte. Artisti del legno, cosi si potrebbero definire i "Mastri d'ascia" che un tempo realizzavano la complessità degli ingranaggi presenti in un Mulino. La realizzazione di una "semplice" Spira è difficile anche ai nostri tempi pur avvalendosi di macchinari e tecnologie moderne. Nessun utensile elettrico ne macchine a controllo numerico sono state impiegate nella costruzione dei Mulini a Vento, ma solo la Passione e la Manualità di questi Uomini sempre nascosti dietro un'opera d'arte. Destino ingrato per un artista: cosa sarebbe la Gioconda senza la firma di Leonardo Da Vinci, la Cappella Sistina senza la firma di Michelangelo? Conoscere l'opera d'arte senza apprezzarne l'artista e assurdo ed è giusto sapere chi ha realizzato un vanto per l'intero territorio Italiano nel mondo. Molti di questi Mastri d'ascia sono rimasti sconosciuti. Solo pochi di essi hanno lasciato qualche firma all'interno di quello che hanno realizzato. In qualche Mulino esiste qualche loro nome, perso nella maestosità dell'opera. Se guardiamo bene troviamo dei nomi: ecco che in un Mulino a Vento della Calcara troviamo "Nicolò Carriglio, che terminò il mulino nel 1816, all'interno di un mulino nell'isola Grande a Marsala troviamo "Vincenzo Scalabrino" che terminò il Mulino nel 1826, ma di questi sappiamo poco. Le storie che siamo riusciti a salvare sono di alcuni Mastri d'ascia "più contemporanei". Sappiamo che la loro arte, di cui avevano una gelosia estrema era tramandata da Mastro ad Apprendista, ma solo quando esso ne prendeva i meriti "Rubando l'arte" al Mastro.

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Riserva Naturale Orientata Saline di Trapani e Paceco



La R.N.O. Saline di Trapani e Paceco è stata istituita nel 1995 con D.A. n. 257/44 del 11 Maggio ed affidata in gestione al WWF Italia.
Rappresenta una riserva atipica in quanto le Saline di Trapani sono proprietà private dove, ancora oggi, viene effettuata un "attività industriale". Di fatto le Saline di Trapani continuano ad esitere solamente grazie alla passione e alla costanza dei proprietari e degli uomini che ci lavorano. Questi, ben prima dell'istituzione della riserva, non hanno ceduto alle proposte di lottizzazione che avrebbero portato a riempimenti e cementificazione come è accaduto ad altre saline Trapanesi. Nessun contributo statale è previsto per il mantenimento di esse. Le Saline di Trapani hanno bisogno di una continua manutenzione per la loro esistenza e riescono a sopravvivere solamente grazie alle entrate riguardanti la vendita del sale prodotto e alle visite guidate.

Le saline per il loro elevato valore ambientale sono sottoposte a diversi vincoli di tutela: con D.M. del 4 aprile 2011, il Ministero dell’Ambiente ha dichiarato la zona umida della riserva delle "Saline di Trapani e Paceco" sito "di importanza internazionale" ai sensi della ‘"Convenzione di Ramsar". Esse rientrano anche, secondo la Direttiva Habitat, tra i Siti di Interesse Comunitario, nonché tra le Zone Protezione Speciale previste dalla Direttiva Uccelli.
Tra gli habitat di rilievo presenti, citiamo:
- Lagune costiere (cod. Natura 2000: 1150, habitat prioritario)
I bacini utilizzati per l’estrazione del sale, date le tecniche utilizzate (che sono quelle tradizionali in uso da secoli) e la particolare geomorfologia della costa (che vedeva la presenza di lagune e pantani costieri), costituiscono un ambiente che seppure in gran parte artificiale, ospita una grande diversità biologica, dal livello microscopico dei batteri a quello macroscopico degli uccelli. Si tratta di organismi estremamente specializzati per questo ambiente, e per i vari gradi di salinità presenti nelle differenti vasche, oppure (come nel caso degli uccelli) che trovano in questo ambiente sosta e cibo durante le migrazioni.
- Steppe salate mediterranee (Limonietalia) (cod. Natura 2000: 1510, habitat prioritario)
Associazioni vegetali ricche in specie di Limonium (di cui numerose endemiche) con presenza di Lygeum spartum, su suoli temporaneamente o periodicamente permeati da acqua salmastra e soggetti ad estrema aridità estiva.
- Vegetazione annua delle linee di deposito marine (cod. Natura 2000: 1210)
- Fruticeti alofili mediterranei e termo-atlantici (Sarcocornetea fruticosi) (cod. Natura 2000: 1420)

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Flora

L'ambiente delle saline, fortemente salmastro, ospita numerose specie erbacee o arbustive adattatesi alle condizioni ambientali estreme che questa area presenta.
Lungo gli argini delle vasche prosperano in particolare diverse specie di Chenopodiaceae dei generi Salicornia, Arthrocnemum, Halopeplis, Halocnemum, Suaeda, Salsola, Atriplex e Beta; tra di esse meritano un cenno particolare la salicornia strobilacea (Halocnemum strobilaceum), specie suffruticosa descritta in poche altre stazioni in Sicilia e Sardegna, e la salicornia amplessicaule (Halopeplis amplexicaulis).
Tra le altre specie significative vanno segnalate: il fiorrancio marittimo (Calendula maritima), un raro endemismo il cui areale è limitato alla zona costiera compresa tra lo Stagnone di Marsala e il Monte Cofano; l'enula marina (Limbarda crithmoides); il cosiddetto fungo di Malta (Cynomorium coccineum), una pianta parassita presente in Italia, oltre che in quest'area, in ristrette aree costiere della Sardegna e della Basilicata.
Altri endemismi meritevoli di menzione sono il limonio delle saline (Myriolepis ferulacea), l'euforbia delle Baleari (Euphorbia pithyusa subsp. cupanii), varie specie di Limonium (L. densiflorum, L. lojaconoi, L. avei), la cressa (Cressa cretica), la panocchina delle saline (Aeluropus lagopoides), l'erba da chiozzi spiralata (Ruppia cirrhosa) e il limoniastro cespuglioso (Limoniastrum monopetalum).

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Fauna

L'area della Riserva riveste un particolare interesse ornitologico in quanto costituisce una area di sosta sulla rotta delle migrazioni verso l'Africa. Considerando sia le specie nidificanti che quelle svernanti sono state censite 208 differenti specie di uccelli[9] tra cui l'avocetta (Recurvirostra avosetta), eletta a simbolo della Riserva, il fenicottero (Phoenicopterus roseus), la spatola (Platalea leucorodia), l'airone bianco maggiore (Ardea alba), la garzetta (Egretta garzetta), il tarabuso (Botaurus stellaris), il gabbiano roseo (Chroicocephalus genei), il martin pescatore (Alcedo atthis), il falco di palude (Circus aeruginosus), il cavaliere d'Italia (Himantopus himantopus), il fraticello (Sternula albifrons), il fratino (Charadrius alexandrinus), la calandrella (Calandrella brachydactyla) e varie specie di anatidi.

Sono inoltre presenti numerose specie di insetti rari quali i coleotteri Cephalota circumdata imperialis, Cephalota litorea goudoti e Cephalota maura cupreothoracica, tre sottospecie della sottofamiglia Cicindelinae (Carabidae) che colonizzano le superfici asciutte e incrostate di sale; gli ortotteri Tessellana tessellata, Platypigius platypigius, Pterolepis elymica e Incertana drepanensis; la farfalla Orgyia dubia arcerii, lepidottero della sottofamiglia Lymantriinae (Erebidae), strettamente legato all'ambiente litoraneo delle saline, ed in particolare al salicornieto dove crescono le sue piante nutrici; sempre legata al salicornieto la presenza di alcune specie di eterotteri della famiglia Miridae (Phytocoris salsolae, Orthotylus divisus e Orthotylus roseiceps).

Merita infine un cenno la presenza nelle pozze salmastre della Artemia salina, un piccolo crostaceo dell'ordine degli Anostraca, adattato a condizioni di vita estreme, oggetto di numerose ricerche scientifiche.


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Fonti: salineditrapani.com, Wikipedia, giardinimonplaisir.it

Fotografie: web
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