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I Qanat di Palermo Empty I Qanat di Palermo

Gio 26 Gen 2023 - 21:02
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Palermo come tutte le antiche città nasconde nel suo ventre altre “città” che descrivono forse ancor più di quanto è in superficie la sommatoria delle culture che si sono succedute nei millenni. Sia le particolari condizioni geologiche del substrato sia le attività antropiche condotte per almeno 28 secoli di storia hanno dato origine a moltissimi vuoti sotterranei, utilizzati per vari scopi ma sempre collegati alle attività di superficie.
Cripte, catacombe, pozzi, cisterne, silos, camminamenti, cave in galleria, camere dello scirocco, qanat e tante altre architetture sotterranee esprimono questo rapporto secolare tra l'uomo e sottosuolo che, sotto la città di superficie, ne ha costruito un'altra nascosta.
Di quest'altra Palermo poco è noto agli stessi abitanti, anche se racconti popolari come I Beati Paoli e innumerevoli leggende la colorano di folklore. Ciò si deve alla mancanza di un'efficace divulgazione, di quella che oggi chiameremmo operazione di marketing, e alla non conoscenza della Storia della nostra città che non consente di recepirne l'autentico significato culturale.
In questa lettura ci occuperemo di far conoscere la più medievale di queste opere: i Qanat.
Non sappiamo esattamente quando nacquero i Qanat, ma sappiamo che furono soprattutto le popolazioni persiane a diffonderne l’uso in molti paesi del Mediterraneo.
A causa del clima arido e della carenza di sorgenti, fin dai tempi più antichi gli abitanti della città hanno cercato un metodo alternativo per soddisfare il fabbisogno idrico della città e le peculiari caratteristiche del terreno che costituisce la piana di Palermo hanno favorito per secoli lo sfruttamento delle falde acquifere di cui, contrariamente all’apparenza, la zona è ricca.
Nell’antichità il rifornimento idrico della città era assicurato prevalentemente da pozzi freatici e dalle sorgenti situate fuori le mura dell’antica città (la paleopoli) che sorgeva su una penisola stretta tra le foci di due fiumi, il Kemonia e il Papireto.
Dai diari dello scrittore e viaggiatore Ibn Hawqal [3] apprendiamo infine che già nel X secolo, in pieno periodo fatimita “la popolazione si disseta con l’acqua di pozzi posti all’interno delle loro case”.


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Come venne risolto il problema dell’approvvigionamento idrico che non solo portava l’acqua nelle case private e negli Hammam ma rese la piana di Palermo quel rigoglioso giardino ricco di verzura e fontane di cui narrano gli antichi viaggiatori? Grazie all’applicazione di un’antica tecnica arabo-persiana, cioè la costruzione di una fitta rete di canalizzazioni sotterranee: i Qanat.
Nella piana di Palermo gli arabi cominciano a sperimentare con successo le loro conoscenze di ingegneria idraulica, mutuate e messe a punto da precedenti civiltà orientali, adattandole alle specifiche condizioni idrologiche e climatiche che offriva l’ambiente palermitano.
I Qanat o ‘ngruttati’ sono delle strette gallerie sotterranee scavate dai muqanni [6], “maestri d’acqua”, con delle semplici zappe perché il sottosuolo della piana di Palermo e costituito in massima parte da calcarenite, una roccia molto friabile e facile da lavorare; questi cunicoli intercettavano la falda acquifera e tramite la gravità e una leggera pendenza trasportavano l’acqua in superficie.
La diffusione di queste gallerie sotterranee è documentata in diverse aree geografiche a carattere climatico di forte aridità e in base alla tipologia di risorsa idrica disponibile si sviluppano prevalentemente due tipi di canali sotterranei: i qanat di tipo persiano e i foggara tipici dell’area del deserto del Sahara che sono serviti per la creazione di oasi lungo le vie carovaniere.
“I foggara si sviluppano per lunghezze notevoli a una profondità che non scende mai oltre il livello delle falde acquifere e non penetrano mai nella falda. Vengono così liberati i microflussi imprigionati nelle rocce” mentre i qanat di tipo persiano attingono l’acqua direttamente dalla falda acquifera e la trasportano fino al punto di utilizzazione coprendo anche distanze lunghissime. Il cunicolo procede lungo il sottosuolo con una pendenza minima, inferiore allo 0,5%, garantendo un flusso lento e costante dell’acqua senza causare l’erosione delle pareti del canale. L’acqua, grazie a questa tecnica mantiene la purezza e la temperatura della falda.
In entrambi i casi il sistema si differenzia nettamente dai classici acquedotti romani le cui condotte, sia aeree che sotterranee, vengono alimentate da acqua di superficie come quella di sorgenti, laghi e fiumi.


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Lungo lo sviluppo del qanat si aprivano dei pozzi verticali che comunicavano con la superficie. Tali pozzi, oltre a consentire l’approvvigionamento idrico per gli edifici, pubblici e privati, e l’irrigazione dei campi, facilitavano le operazioni di scavo consentendo l’estrazione del materiale roccioso in fase di realizzazione del qanat.
Individuata la falda, e stabilito il tracciato del qanat, si iniziava lo scavo procedendo da valle verso monte per evitare il deflusso delle acque. La corretta direzione di scavo veniva assicurata in maniera molto semplice, utilizzando tre lampade poste lungo il letto del canale che servivano sia ad illuminare l’ambiente sia a mantenere l’allineamento desiderato fino al completamento della galleria.
La caratteristica tecnica di alcuni qanat palermitani, che li distingue da quelli orientali più antichi, è la mancanza di un vero e proprio pozzo alimentatore principale che spesso viene sostituito da una estesa galleria drenante trasversale ubicata a monte. Questo elemento innovativo attesta una sensibile evoluzione dei principi e delle tecniche costruttive che il tema degli acquedotti ha raggiunto in Sicilia.
L’esistenza di queste condotte sotterranee spiega, nonostante la natura arida del territorio, il fiorire, nella Palermo araba e normanna, di fontane, peschiere, bagni pubblici, canali d’acqua e giardini lussureggianti. È interessante notare nelle canalizzazioni palermitane la presenza di due differenti tipi di pozzi che comunicano con la superficie. Un primo tipo di pozzi, circolari o quadrati numerosi nei giardini dell’agro palermitano, hanno le dimensioni di circa un metro quadrato e venivano utilizzati dai muqanni per l’estrazione del materiale di scavo durante o per le opere di manutenzione e, solo saltuariamente, per attingere l’acqua; una seconda tipologia di pozzi possiede una sezione rettangolare di circa 1x2 metri. In corrispondenza di questi pozzi il fondo dei qanat si abbassa e si allarga per dare spazio ad una sorta di vasca sotterranea. “L’ampiezza di questi pozzi e la vasca sotterranea servono per l’alloggiamento delle norie a tazze o senie azionate da animali da tiro”. La conoscenza delle caratteristiche geologiche dei diversi suoli e la padronanza della nuova gestione del patrimonio idrico, hanno favorito il diffondersi di nuove colture. Oltre alle colture già conosciute in epoca bizantina, nei giardini palermitano si coltivano nuove specie importate dagli altri paesi arabi come riso, pistacchi, vari legumi, spinaci, carciofi e melanzane . Tra le piante da frutto si trovano le palme da dattero, il banano, l’arancio dolce e amaro e il limone.


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Allo sviluppo dei Qanat si associa la costruzione di altri ambienti ipogei come camere dello scirocco, bagni ebraici “miqweh”, sotterranei di riunione, serbatoi, scammarati d’acqua, grandi canalizzazioni a volta (smaltitoi, acquedotti del maltempo), gallerie vadose e gallerie freatiche, laminatoi, cunicoli di drenaggio, cunicoli e canali di scarico, cunicoli collettori, cunicoli di bonifica (gammitte), condotte e canali piccoli grandi della vecchia fognatura. Cunicoli di fuga, cunicoli di servizio, camminamenti militari (mine e contromine), corridoi, gallerie, passaggi, cunicoli, condotti carsici, ecc.
Sicuramente tra tutti gli ambienti ipogei associati o derivati dalla costruzione dei qanat i più affascinanti sono “Le camere dello Scirocco”, singolari ipogei che destano molta curiosità e sono esempi di architettura del raffreddamento passivo. La denominazione suggestiva di camera di scirocco per indicare questi singolari ambienti freschi si ritrova per la prima volta in un atto notarile del 5 agosto 1691 dove si legge: “Scendesi più in basso a man destra vi è una grotta seu camera di scirocco con fontana in mezzo e tutto in giro con mattoni di Valenza”[12]. Le camere dello scirocco costituirono spesso e in varie forme il corredo architettonico delle ville e casene di caccia durante la cosiddetta “grande villeggiatura” che raggiunse la massima diffusione nel XVIII secolo, un periodo fiorente per l’economia di Palermo. Ma il loro uso potrebbe essere anteriore a questo periodo per la presenza della “camera” di Villa Naselli Agliata descritta dal gentiluomo Vincenzo Di Giovanni nella sua opera Palermo Restaurata (1552). Si tratta di spaziosi ambienti, decorati e piastrellati finemente, intagliati ad arte nella roccia calcarenitica e attraversati e resi freschi dai qanat medievali. Alcune come quella descritta dal Di Givanni presentano una vera e propria “torre del vento”, di forma tronco-conica che racchiude alla base una camera con sedili, simile per funzionamento termodinamico alle badgir iraniane di Yazd (la città delle torri del vento) che veicolano la circolazione dell’aria fresca all’interno dei palazzi, espellendo quella calda.


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I qanat visitabili a Palermo sono oggi solo tre: Il Gesuitico basso (o della Vignicella), il Gesuitico alto e quello dell’Uscibene con la sua magnifica Camera dello Scirocco.
Se si vuol sapere di più delle Camere dello Scirocco, cliccare qui

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Fonti: carapalermo.com, ilportaledelsud.org, wikipedia

Fotografie: web

Filmato YouTube di: Città metropolitana di Palermo

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(Michel Houellebecq)
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