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Capomulini: una bellezza senza tempo Empty Capomulini: una bellezza senza tempo

Dom 19 Mar 2023 - 17:56
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Se percorrete la mitica Statale 114, l’unica che congiungeva Siracusa e Catania a Messina quando non c'era l'autostrada, attraversate decine e decine di piccoli paesi in riva al mare o arrampicati in collina.
Superata Catania, Acicastello e Acitrezza, un cartello vi suggerirà di girare a destra per arrivare a Capomulini, un suggestivo borgo sul mare all'estremo Capo settentrionale del Golfo di Catania.
Un tempo era il centro di una florida attività di concia delle pelli grazie all'abbondanza di sorgenti d'acqua dolce che alimentavano numerosi mulini (da cui il suo nome).
Le concerie oggi non ci sono più per l'alto impatto di inquinamento ambientale di questa industria e il paese, che possiede un raro porticciolo naturale e sperava nella (mancata) realizzazione di un porto commerciale, oggi vive di pesca, ristorazione e turismo ma conserva ancora il fascino sonnolento della semplice vita dei pescatori.


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Le sue origini, come testimoniano i numerosi reperti archeologici, risalgono all’età romana: pare infatti che l’odierna frazione si trovi sulle rovine dell’antica città di Xiphonia.
Fino all’epoca medievale era considerato “la vecchia Acireale”, ma in seguito al suo sviluppo economico, il centro cittadino si spostò verso l’attuale area acese, lasciando al piccolo paesino di mare l’antico fascino che lo rende ancora famoso.
Punte di diamante di questo luogo suggestivo e pieno di storia sono il Porto Naturale, il monumentale Faro e la cucina tipica a base di pesce.
Capo Mulini è stato anche set cinematografico per Agguato sul mare di Pino Mercanti e per La terra trema di Luchino Visconti (il regista, infatti, sceglie Aci Trezza e Capo Mulini per le riprese del film.
Oltre ai diversi locale dove gustare del pesce fresco e al porto naturale, Capo Mulini ospita due interessanti monumenti. La Torre di Sant’Anna, costruita nel 1582 per fortificare il litorale, nel 1868 è stata trasformata in un faro. Un tempo ospitava un corpo di guardia che aveva il compito di allertare l’avvicinarsi di navi corsare. La Chiesa Santa Maria della Purità risale al XVI secolo ed è stata rifabbricata nel 1796 (cfr. Il giro della Sicilia in 501 luoghi di Enzo Di Pasquale).


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Il tempietto

Identificato nel 1952 da Guido Libertini come tempio romano di Capo Mulini, negli anni è stato oggetto di studio e di scavi da parte di diversi archeologi. Il contributo del dott. Giuseppe Tomarchio nel saggio Il Tempietto Romano ed i resti neolitici di Capo Mulini del 1980, raccontano di un’area dalla rilevante importanza archeologica.
«l’esistenza del vecchio rudere, poco noto, trascurato e abbandonato esistente in prossimità dal non lontano porticciolo di Capo Mulini. Le antiche vestigia del monumento ricadono in un’area di rilevante interesse archeologico sia per la presenza di alcune sepolture arcaiche ma specialmente per il ritrovamento della Testa marmorea attribuita a Cesare ed a suo tempo oggetto di studio dello studioso tedesco Boehringer e per l’”Acroterio” ricordato dal Vigo e recante il nome del dittatore.» Giuseppe Tomarchio.

Nel 2013, invece, un articolo firmato da Rodolfo Brancato, racconta dell’arrivo degli archeologi nel borgo. Evidenzia come, nelle indagini preliminari, il professor Tortorici ha riscontrato alcune incongruenze nell’identificazione del monumento in tempio. Libertini definisce favissa la stanza-deposito degli oggetti votivi, ma in realtà potrebbe essere una vasca, parte di un ninfeo. Capo Mulini, come scrive Brancato, sorge in un territorio ricco di acque, tutelato dal parco Archeologico della valle dell’Aci dove acque dolci e lava si incontrano, «è credibile pensare un luogo di culto, la cui importanza è indubbia data la mole delle strutture.»


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Le casuzze di pietra intonacate di rosa, gli orticelli, i limoneti, la torre del faro che illumina l’approdo ai naviganti, ecco Capomulini.
Si riaprono le finestre e i balconi, si abbassano le cassine (le tradizionali tende siciliane fatte di bacchette di legno che riparano dal sole, ormai purtroppo introvabili), le viuzze si affollano di auto, musica, voci.
Ed è qui che si svolge la storia (vera) dell'amicizia tra un ragazzino, che molti decenni fa arrivava ogni anno per la villeggiatura con i genitori, e un pescatore che gli insegnò l'amore per il mare, per la pesca e per la cucina marinara (verace).
l pescatore si chiamava Turi, capelli arruffati, pantaloni arrotolati alle ginocchia e piedi scalzi per arrampicarsi saltando come una gazzella da uno scoglio all'altro. Il ragazzino era Pippo (Perni), come racconterà da grande sarebbe diventato un avvocato e un raffinato gourmeur, appassionato di cucina siciliana, conservando però sempre indelebile il ricordo emozionante della prima pesca notturna con il coppu (il retino con una lunga asta) sulla barca a remi guidata dal lamparotu (l'addetto alla lampàra, la lampada che illuminava il mare per attirare i pesci).
Quante cose gli insegnava Turi! Insegnamenti di vita, quelli che sui libri non si trovano. I pesci appena pescati, gli diceva, devono passare direttamente dal mare alla brace senza sventrarli perché perderebbero il gusto e quando si mangiano basta stare attenti a non rompere la sacca degli intestini.


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A volte era uno spettacolo assistere sulla spiaggia alla cottura dei pesci appena pescati che i pescatori infilzavano sulle canne e tenevano sospesi sulla brace perché cuocessero senza bruciarsi e una volta pronti immergevano in un salamarigghiu (salmoriglio, una salsa siciliana) di olio, acqua di mare, origano, menta, fette di limone, aglio, peperoncino tritati.
Ma Turi amava soprattutto cucinare una zuppa speciale, seguendo un vero e proprio rituale: le varie qualità di pesce, squamato, ripulito dalle interiora e privato della testa, erano disposte in ordine secondo il tempo di cottura sul piano di lavoro.
In un grande tegame di coccio soffriggeva nell'olio d'oliva un trito di aglio, cipolla, prezzemolo e peperoncino, vi aggiungeva poi le teste dei pesci, pomodori a pezzetti, basilico e ( udite udite!) dei sassi ricoperti di muschio raccolti in mare, vicino alla riva.
Questo brodo di scarti dei pesci, aromi (e pietre) doveva cuocere a lungo e lentamente il suo profumo si spandeva nell'aria per le vie del paese. Turi poi spremeva fra le mani le teste per estrarne tutti i succhi e filtrava il brodo.
Quindi si dedicava ai pesci che, infarinati, finivano a friggere in una grande padella, sfumati con vino bianco e infine bagnati con il brodo preparato. Completavano la zuppa olive verdi, capperi e, pochi minuti prima di spegnere il fuoco, le cozze.
Una meraviglia, soprattutto se si pensa che il pesce era "davvero" fresco: a quei tempi, appena pescato non andava abbattuto raffreddandolo velocemente( tra i -20° e i -40°) per eliminare parassiti e batteri, come impone oggi la legge, e conservava tutti i profumi e i sapori di un mare (pulito!) che in queste ricette è il protagonista.


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Ma se vi prendesse la nostalgia di tempi lontani, fate una sosta a Capomulini, magari al tramonto, e fermatevi in una delle tante trattorie sulle palafitte che vi invitano a una cena romantica, come dicono i francesi, con les pieds dans l’eau, proprio sull'acqua.
Ne vale la pena, perché questo piccolo borgo non è un anonimo spazio geografico: è un luogo. La differenza? Sta nella personalità, nell’identità storica e culturale che lo rendono unico e non assimilabile a qualunque altro. Un luogo del cuore.

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Fonti: balarm.it. catania.italiani.it, capomulini.com

Fotografie: web

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Vivere senza leggere è pericoloso, ci si deve accontentare della vita, e questo comporta notevoli rischi.
(Michel Houellebecq)
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