Marsala, l'amore senza tempo dell'Ipogeo di Crispia Salvia
Ven 12 Mag 2023 - 17:48
All’esterno dell’Area archeologica di Capo Boeo si può visitare un lembo della necropoli di Lilibeo, scoperta nel 1994 durante i lavori di demolizione di un edificio.
Si tratta di una necropoli che in origine era sicuramente un’area sepolcrale punica, e venne poi utilizzata, fino alla tarda età romano-imperiale e paleocristiana, da pagani, ebrei e sicuramente da cristiani. L’indagine archeologica ha consentito di individuare una camera funeraria che, per il rinvenimento di una lastra fittile con incisa la dedica di Iulius Demetrius alla moglie defunta, è stata denominata “Ipogeo di Crispia Salvia”.
Una delle particolarità di questo reperto è proprio la sua ubicazione: si trova al civico nr. 41 della Via Massimo D’Azeglio, sotto un anonimo condominio di cinque piani, separato giusto da un muro dalle cantine dei condomini.
L’ipogeo consiste in una camera funeraria di forma trapezoidale, di circa 25 metri quadrati di superficie, con le pareti interamente dipinte, analogamente ad alcuni ipogei punici lilibetani, quello di Crispia Salvia appare in superficie solo con il taglio di un pozzo, ma all’interno vi è un “dromos”, con dieci gradini scavati nella roccia tufacea; sulle pareti del dromos, a circa metà percorso, si notano fori e reseghe che provano l’esistenza di un cancello di chiusura.
Lungo le pareti sono scavate sei deposizioni, di cui due ad arcosolio alla destra e alla sinistra del “dromos”; le rimanenti in casse rettangolari, entro nicchie scavate nelle pareti; dinanzi a ciascuna della quattro nicchie vi è una cavità circolare, ricavata nel pavimento, ove in origine erano poste piccole olle globulari; le cavità erano chiuse da un coperchio fittile.
Al centro del pavimento è posta, su un rialzo, una piccola ara ottenuta da un blocco di calcarenite. Il soffitto è privo di decorazioni, le pareti sono affrescate. I colori più usati nelle pitture parietali, che si stagliano sul fondo bianco-azzurro dell’intonaco, sono: il rosso, il giallo ocra, il bianco, il verde, il nero utilizzati in diverse sfumature. La zoccolatura perimetrale dell’intera stanza è dipinta in rosso. Le raffigurazioni del monumento, allo stato attuale degli studi, costituiscono, in Sicilia, un esempio eccezionale nell’ambito dell’arte funeraria romana.
Parete Est
Tomba n°2
Sulla parete Est dell’ipogeo, che accoglie la tomba n° 2, sono raffigurati cinque danzatori che si dirigono verso la propria destra in direzione di una figura femminile, resa di profilo, seduta su una sedia con alta spalliera, con i piedi poggiati su un suppedaneo.
La donna, i cui capelli sono raccolti sulla nuca, indossa una corta tunica a mezze maniche, con due strette bande verticali che si dipartono dal seno, è rappresentata nell’atto di suonare un “aulos” a canne doppie, di cui quella sinistra termina con un padiglione ricurvo, che, come è noto, era un corno applicato all’estremità della canna.
I cinque danzatori sono raffigurati in corteo, a piedi nudi, ciascuno di essi poggia un braccio sul danzatore che lo precede, uno reca in mano un una corona, un altro un fiore. Le parti nude sia della flautista, sia dei danzatori sono di colore rosa carico, delineate in ocra, mentre i tratti somatici ed altri particolari sono resi col nero. L’intera scena è cosparsa di fiori rossi su steli ocra o verde, distribuiti in maniera piuttosto uniforme.
Nella parete laterale della stessa nicchia, tra fiori ghirlande troviamo di nuovo cinque figure maschili, di cui tre sono rappresentate sedute al centro mentre le altre due sono semisdraiate su uno “stibadium” dinanzi ad una mensa “tripes”. I cinque personaggi sono raffigurati nell’atto di brindare con coppe di vetro colme di vino rosso, e proprio una coppa di vetro poggia su una trapeza a zampe leonine posta al centro della scena.
Tomba n°3
Sulla stessa parete Est, la tomba più interessante dell’ipogeo è la n° 3 anch’essa a nicchia. La sua posizione centrale, proprio di fronte alla camera di accesso, fa pensare che fosse destinata al personaggio più importante; sulle pareti si trovano raffigurate due figure alate (amorini) entrambe nude, in volo l’una verso l’altra, mentre reggono una ghirlanda di fiori rossi con nastri e bende verdi.
Su ciascuna delle due pareti laterali della nicchia è raffigurato un pavone accovacciato su un “kalathos”; i due uccelli, una femmina ed un maschio, come si può costatare dalla corona di piume che orna il capo di quest’ultimo, sono resi con notevole capacità, grazie all’impiego di diverse tonalità cromatiche rosse, ocra e beige.
Anche le raffigurazioni di questa tomba sono poste tra fiori, ma la figura del pavone femmina è contornata superiormente da una decina di melagrane. È interessante notare come questa scena non si trovi esattamente al centro della parete ma sia spostata verso est in modo da lasciare spazio sulla sinistra all’epigrafe latina, nella quale “Iulius Demetrius” dedica il suo pensiero alla moglie Crispia Salvia, morta a circa 45 anni, con la quale visse per 15 anni “Libenti animo”.
Questa è la trascrizione dell'epigrafe latina dedicata a Crispia Salvia:
Particolarmente interessante è la precisazione degli anni vissuti nel vincolo matrimoniale; nell’iscrizione, infatti, si legge, infatti, sia il periodo di tempo vissuto dalla donna insieme al marito, sia a quale età essa aveva contratto matrimonio, ovvero a circa trenta anni. Secondo alcuni studiosi, è raro il caso di iscrizioni in cui, accanto all’età della sposa, al momento della morte, figuri anche l’età che aveva la defunta quando era convolata a nozze, È particolare la notizia che la donna doveva aver contratto matrimonio all’età di circa 30 anni, età eccessivamente avanzata, che induce a pensare che Crispia Salvia doveva essere al suo secondo o terzo matrimonio. Le fanciulle, allora, prendevano marito a 14 anni o anche prima.
Parete Ovest
La parete ovest comprende due tombe nn. 4, 5 a cassa rettangolare ricavate nella roccia, oltre il bordo superiore della sepoltura n 4, all’interno di un incasso di forma pressappoco semicircolare decorato con fiori ed una ghirlanda centrale, sono ricavate due nicchie quadrangolari.
Nella decorazione, ricca di fiori e ghirlande, sono raffigurati una colomba nell’atto di alzarsi in volo da un cesto di fiori, due pavoni affrontati che reggono una ghirlanda ed un “kalathos” fra due ghirlande disposte a festone. I fiori, come nelle altre decorazioni dell’ipogeo sono di colore rosso; la colomba ha il corpo ocra chiaro, delimitato da una linea di contorno più scura, i pavoni sono resi anch’essi in ocra, con una linea di contorno marrone e la coda rossa puntinata di nero.
Pareti Sud ed Est
Le pareti S e E, ove si trovano i due arcosoli dell’ipogeo, non presentano alcuna decorazione.
Significati dei temi figurativi dell’Ipogeo di Crispia Salvia
Stando ai dati raccolti, l’ipogeo deve essere rimasto in uso per almeno due secoli, le sepolture più antiche sono senz’altro quelle contrassegnate con i nn. 2, 3, 4, 5, la cui contemporaneità è dimostrata, oltre che dall’utilizzo della stessa tipologia architettonica, anche della presenza ai loro piedi delle cavità circolari ricavate nel pavimento. Questa prima fase è databile, a giudicare dai dati di scavo e soprattutto dalla grafia dell’iscrizione, al pieno II sec. d.C.
Le due tombe ad arcosolio (nn. 6 ed 1) risalgono probabilmente al IV sec. d.C.; delle due la più recente deve essere la n.1, ricavata nella parete est del dromos, fuori dunque dalla camera ipogea.
La presenza della piccola ara e delle quattro cavità ai piedi delle tombe a cassa, i temi e i contenuti simbolici delle pitture parietali costituiscono prova dell’utilizzo degli spazi dell’ipogeo per rituali connessi alla deposizione e alla commemorazione dei defunti. I numerosi fiori rossi che attorniano la scena del banchetto e di danza della tomba n.2, le ghirlande stilizzate delle tombe 4 e 5, le melagrane, cibo dei defunti, simbolo della fecondità ma anche della morte e della vita eterna ed il kalothos colmo di frutti e foglie del lato E della tomba 3, la donna che suona il flauto sono tutti temi che alludono all’ambiente paradisiaco dell’antica iconografia funeraria pagana.
Troviamo, infatti, temi pressoché identici raffigurati sulle note edicole funerarie dipinte, rinvenute a Marsala; si tratta di prodotti di botteghe locali, realizzati da pittori di tradizione ancora ellenistica. Fra queste edicole databili tra il II sec a.C. e il I sec. d.C., ve ne sono otto a forma di naiskoi, nelle quali la figura del defunto, disteso su un kline, mentre porge un’anfora ad una donna seduta, è accompagnata da motivi floreali kalathoi, melagrane, mentre nella parte più alta sono dipinti ventagli, strumenti musicali quali tamburo o cimbali.
La presenza di questi strumenti musicali è stata interpretata come espressione del legame tra il tema del banchetto e la sfera religiosa e rituale di Dionisio, il cui culto in ambito funerario fu largamente diffuso a Lilibeo tra la fine del III sec. a.C. e l’inizio del I sec. d.C. La raffigurazione del banchetto funebre sembrerebbe rievocare la consuetudine di promuovere veri e propri incontri conviviali per ricordare il defunto, sentito come non ancora del tutto morto, che si prepara a raggiungere uno stato di felicità nell’Aldilà.
Tutti questi temi, nel corso della tarda antichità, verranno adottati senza sostanziali variazioni, dal repertorio iconografico cristiano. Assai significativi sono, infatti, i confronti delle pitture dell’ipogeo di Crispia Salvia con gli affreschi del cimitero dei SS. Pietro e Marcellino di Roma, nonché con la scena raffigurata nell’ipogeo Arangio di Siracusa, con defunto che banchetta assistito da due servi.
Il banchetto, allude, infatti, all’uso pagano del convivio tra i parenti del defunto, che vogliono ricordarlo così senza mestizia, com’è noto i cristiani adottarono anch’essi questo rito, ribattezzandolo “refrigerium” termine che allude al sollievo fisico e spirituale offerto ai parenti e al destino di felicità eterna che attende il defunto nell’aldilà. È possibile che i cinque danzatori che avanzano verso la flautista seduta, raffigurati sulla parete E della tomba 2 dell’ipogeo di Crispia Salvia, siano gli stessi personaggi della scena conviviale della parete attigua, come sembrano dimostrare i loro abiti, identici in entrambe le scene.
Forse l’artista ha voluto, in questo modo, congiungere idealmente il mondo terreno, cui alludono i cinque danzatori con l’aldilà, rappresentato dalla defunta-flautista e dall’ambiente paradisiaco di cui sono simboli la corona di rose rosse e le ghirlande che ornano il capo dei convitati. Un tentativo analogo di congiunzione tra mondo terreno e aldilà, lo troviamo nella scena di “adventus” dell’ipogeo degli Aureli, a Roma, ove il defunto è raffigurato nell’atto di partire per l’oltretomba, ove è atteso da un gruppo di anime, mentre dall’altra parte riceve gli ultimi saluti di un gruppo di viventi.
Nel complesso i dati raccolti ed i confronti con le pitture dei cimiteri tardo antichi, lasciano pensare che le decorazioni dell’ipogeo di Crispia Salvia siano state realizzate in un momento successivo all’impianto originario, che, in base ai dati raccolti si può datare al pieno II sec. La posizione marginale dell’epigrafe, posta nell’angolo sinistro in alto della parete di fondo, invece che nella posizione centrale propria delle “tabulae ansatae”, e i caratteri stilistici delle pitture ci riconducono alla temperie artistica del III sec. d.C.
La resa stilizzata, poco naturalistica dei fiori e delle ghirlande, dei volatili, dei kalathoi, la rigidità dei pavoni affrontati, la disposizione quasi frontale dei danzatori, la frontalità stereotipa degli amorini, che ricordano certe figure di sarcofagi del III sec. d.C., sono, infatti, caratteristiche tipiche dell’arte della tarda antichità.
Un ipogeo privato come quello di Crispia Salvia, espressione di una committenza provinciale ma colta e sensibile alle alle correnti artistiche dell’epoca, si inserisce bene nel vivace clima di iniziative a carattere pubblico che deve aver caratterizzato Lilibeo in quel periodo. Infatti, nel corso del III sec. d.C., l’emergere a LIlibeo di alcuni ricchi esponenti della classe senatoria, frutto anche della trasformazione della città da municipio a colonia, favorì il finanziamento di opere pubbliche, come attestano, tra l’altro, numerose iscrizioni risalenti a quel periodo.
Questa interpretazione sembra essere avvalorata dai nomi riportati nell’epigrafe dell’ipogeo; Salvius et Crispius sono due gentilizi, di notevole importanza, attestati a Lilibeo da una iscrizione funeraria posta da un membro della gens Statia in memoria di C.F. Felicula e di P. Statius. Il gentilizio Salvius, oltre a Lilibeo, è presente in un cippo votivo rinvenuto nella città di Floridia, vicino Siracusa.
Il gentilizio Crispius era già noto da testimonianze su “instrumentum domesticum". Più difficile è individuare il marito della defunta, Iulius Demetrius, poichè il gentilizio è presente nell’onomastica di personaggi di alto rango sociale come magistrati municipali, cittadini romani, liberti. Nella Sicilia occidentale la gens Iulia è documentata, oltre che a Lilibeo, a Palermo, Termini Imerese, Segesta. Iulius Demetrius, è nome riferibile ad una gens facoltosa e di elevato rango sociale, la cui presenza nella Sicilia occidentale sembra essere attestata da alcuni altri esempi.
Si tratta di una necropoli che in origine era sicuramente un’area sepolcrale punica, e venne poi utilizzata, fino alla tarda età romano-imperiale e paleocristiana, da pagani, ebrei e sicuramente da cristiani. L’indagine archeologica ha consentito di individuare una camera funeraria che, per il rinvenimento di una lastra fittile con incisa la dedica di Iulius Demetrius alla moglie defunta, è stata denominata “Ipogeo di Crispia Salvia”.
Una delle particolarità di questo reperto è proprio la sua ubicazione: si trova al civico nr. 41 della Via Massimo D’Azeglio, sotto un anonimo condominio di cinque piani, separato giusto da un muro dalle cantine dei condomini.
L’ipogeo consiste in una camera funeraria di forma trapezoidale, di circa 25 metri quadrati di superficie, con le pareti interamente dipinte, analogamente ad alcuni ipogei punici lilibetani, quello di Crispia Salvia appare in superficie solo con il taglio di un pozzo, ma all’interno vi è un “dromos”, con dieci gradini scavati nella roccia tufacea; sulle pareti del dromos, a circa metà percorso, si notano fori e reseghe che provano l’esistenza di un cancello di chiusura.
Lungo le pareti sono scavate sei deposizioni, di cui due ad arcosolio alla destra e alla sinistra del “dromos”; le rimanenti in casse rettangolari, entro nicchie scavate nelle pareti; dinanzi a ciascuna della quattro nicchie vi è una cavità circolare, ricavata nel pavimento, ove in origine erano poste piccole olle globulari; le cavità erano chiuse da un coperchio fittile.
Al centro del pavimento è posta, su un rialzo, una piccola ara ottenuta da un blocco di calcarenite. Il soffitto è privo di decorazioni, le pareti sono affrescate. I colori più usati nelle pitture parietali, che si stagliano sul fondo bianco-azzurro dell’intonaco, sono: il rosso, il giallo ocra, il bianco, il verde, il nero utilizzati in diverse sfumature. La zoccolatura perimetrale dell’intera stanza è dipinta in rosso. Le raffigurazioni del monumento, allo stato attuale degli studi, costituiscono, in Sicilia, un esempio eccezionale nell’ambito dell’arte funeraria romana.
Parete Est
Tomba n°2
Sulla parete Est dell’ipogeo, che accoglie la tomba n° 2, sono raffigurati cinque danzatori che si dirigono verso la propria destra in direzione di una figura femminile, resa di profilo, seduta su una sedia con alta spalliera, con i piedi poggiati su un suppedaneo.
La donna, i cui capelli sono raccolti sulla nuca, indossa una corta tunica a mezze maniche, con due strette bande verticali che si dipartono dal seno, è rappresentata nell’atto di suonare un “aulos” a canne doppie, di cui quella sinistra termina con un padiglione ricurvo, che, come è noto, era un corno applicato all’estremità della canna.
I cinque danzatori sono raffigurati in corteo, a piedi nudi, ciascuno di essi poggia un braccio sul danzatore che lo precede, uno reca in mano un una corona, un altro un fiore. Le parti nude sia della flautista, sia dei danzatori sono di colore rosa carico, delineate in ocra, mentre i tratti somatici ed altri particolari sono resi col nero. L’intera scena è cosparsa di fiori rossi su steli ocra o verde, distribuiti in maniera piuttosto uniforme.
Nella parete laterale della stessa nicchia, tra fiori ghirlande troviamo di nuovo cinque figure maschili, di cui tre sono rappresentate sedute al centro mentre le altre due sono semisdraiate su uno “stibadium” dinanzi ad una mensa “tripes”. I cinque personaggi sono raffigurati nell’atto di brindare con coppe di vetro colme di vino rosso, e proprio una coppa di vetro poggia su una trapeza a zampe leonine posta al centro della scena.
Tomba n°3
Sulla stessa parete Est, la tomba più interessante dell’ipogeo è la n° 3 anch’essa a nicchia. La sua posizione centrale, proprio di fronte alla camera di accesso, fa pensare che fosse destinata al personaggio più importante; sulle pareti si trovano raffigurate due figure alate (amorini) entrambe nude, in volo l’una verso l’altra, mentre reggono una ghirlanda di fiori rossi con nastri e bende verdi.
Su ciascuna delle due pareti laterali della nicchia è raffigurato un pavone accovacciato su un “kalathos”; i due uccelli, una femmina ed un maschio, come si può costatare dalla corona di piume che orna il capo di quest’ultimo, sono resi con notevole capacità, grazie all’impiego di diverse tonalità cromatiche rosse, ocra e beige.
Anche le raffigurazioni di questa tomba sono poste tra fiori, ma la figura del pavone femmina è contornata superiormente da una decina di melagrane. È interessante notare come questa scena non si trovi esattamente al centro della parete ma sia spostata verso est in modo da lasciare spazio sulla sinistra all’epigrafe latina, nella quale “Iulius Demetrius” dedica il suo pensiero alla moglie Crispia Salvia, morta a circa 45 anni, con la quale visse per 15 anni “Libenti animo”.
Questa è la trascrizione dell'epigrafe latina dedicata a Crispia Salvia:
CRISPIA SALVIA
VIXIT ANNOS
PLUS MINUS XLV
UXORI DULCISSIMAE
IULIUS DEMETRI
US QUAE
VIXIT CUM SUO
MARITO ANN XV
LIBENTI ANIMO
VIXIT ANNOS
PLUS MINUS XLV
UXORI DULCISSIMAE
IULIUS DEMETRI
US QUAE
VIXIT CUM SUO
MARITO ANN XV
LIBENTI ANIMO
Particolarmente interessante è la precisazione degli anni vissuti nel vincolo matrimoniale; nell’iscrizione, infatti, si legge, infatti, sia il periodo di tempo vissuto dalla donna insieme al marito, sia a quale età essa aveva contratto matrimonio, ovvero a circa trenta anni. Secondo alcuni studiosi, è raro il caso di iscrizioni in cui, accanto all’età della sposa, al momento della morte, figuri anche l’età che aveva la defunta quando era convolata a nozze, È particolare la notizia che la donna doveva aver contratto matrimonio all’età di circa 30 anni, età eccessivamente avanzata, che induce a pensare che Crispia Salvia doveva essere al suo secondo o terzo matrimonio. Le fanciulle, allora, prendevano marito a 14 anni o anche prima.
Parete Ovest
La parete ovest comprende due tombe nn. 4, 5 a cassa rettangolare ricavate nella roccia, oltre il bordo superiore della sepoltura n 4, all’interno di un incasso di forma pressappoco semicircolare decorato con fiori ed una ghirlanda centrale, sono ricavate due nicchie quadrangolari.
Nella decorazione, ricca di fiori e ghirlande, sono raffigurati una colomba nell’atto di alzarsi in volo da un cesto di fiori, due pavoni affrontati che reggono una ghirlanda ed un “kalathos” fra due ghirlande disposte a festone. I fiori, come nelle altre decorazioni dell’ipogeo sono di colore rosso; la colomba ha il corpo ocra chiaro, delimitato da una linea di contorno più scura, i pavoni sono resi anch’essi in ocra, con una linea di contorno marrone e la coda rossa puntinata di nero.
Pareti Sud ed Est
Le pareti S e E, ove si trovano i due arcosoli dell’ipogeo, non presentano alcuna decorazione.
Significati dei temi figurativi dell’Ipogeo di Crispia Salvia
Stando ai dati raccolti, l’ipogeo deve essere rimasto in uso per almeno due secoli, le sepolture più antiche sono senz’altro quelle contrassegnate con i nn. 2, 3, 4, 5, la cui contemporaneità è dimostrata, oltre che dall’utilizzo della stessa tipologia architettonica, anche della presenza ai loro piedi delle cavità circolari ricavate nel pavimento. Questa prima fase è databile, a giudicare dai dati di scavo e soprattutto dalla grafia dell’iscrizione, al pieno II sec. d.C.
Le due tombe ad arcosolio (nn. 6 ed 1) risalgono probabilmente al IV sec. d.C.; delle due la più recente deve essere la n.1, ricavata nella parete est del dromos, fuori dunque dalla camera ipogea.
La presenza della piccola ara e delle quattro cavità ai piedi delle tombe a cassa, i temi e i contenuti simbolici delle pitture parietali costituiscono prova dell’utilizzo degli spazi dell’ipogeo per rituali connessi alla deposizione e alla commemorazione dei defunti. I numerosi fiori rossi che attorniano la scena del banchetto e di danza della tomba n.2, le ghirlande stilizzate delle tombe 4 e 5, le melagrane, cibo dei defunti, simbolo della fecondità ma anche della morte e della vita eterna ed il kalothos colmo di frutti e foglie del lato E della tomba 3, la donna che suona il flauto sono tutti temi che alludono all’ambiente paradisiaco dell’antica iconografia funeraria pagana.
Troviamo, infatti, temi pressoché identici raffigurati sulle note edicole funerarie dipinte, rinvenute a Marsala; si tratta di prodotti di botteghe locali, realizzati da pittori di tradizione ancora ellenistica. Fra queste edicole databili tra il II sec a.C. e il I sec. d.C., ve ne sono otto a forma di naiskoi, nelle quali la figura del defunto, disteso su un kline, mentre porge un’anfora ad una donna seduta, è accompagnata da motivi floreali kalathoi, melagrane, mentre nella parte più alta sono dipinti ventagli, strumenti musicali quali tamburo o cimbali.
Edicola funebre greco-punica rinvenuta a Marsala
La presenza di questi strumenti musicali è stata interpretata come espressione del legame tra il tema del banchetto e la sfera religiosa e rituale di Dionisio, il cui culto in ambito funerario fu largamente diffuso a Lilibeo tra la fine del III sec. a.C. e l’inizio del I sec. d.C. La raffigurazione del banchetto funebre sembrerebbe rievocare la consuetudine di promuovere veri e propri incontri conviviali per ricordare il defunto, sentito come non ancora del tutto morto, che si prepara a raggiungere uno stato di felicità nell’Aldilà.
altra rappresentazione di banchetto funebre rinvenuta a Marsala
Tutti questi temi, nel corso della tarda antichità, verranno adottati senza sostanziali variazioni, dal repertorio iconografico cristiano. Assai significativi sono, infatti, i confronti delle pitture dell’ipogeo di Crispia Salvia con gli affreschi del cimitero dei SS. Pietro e Marcellino di Roma, nonché con la scena raffigurata nell’ipogeo Arangio di Siracusa, con defunto che banchetta assistito da due servi.
raffigurazione di banchetto funebre presente nel Cimitero dei SS. Pietro e Marcellino a Roma
Il banchetto, allude, infatti, all’uso pagano del convivio tra i parenti del defunto, che vogliono ricordarlo così senza mestizia, com’è noto i cristiani adottarono anch’essi questo rito, ribattezzandolo “refrigerium” termine che allude al sollievo fisico e spirituale offerto ai parenti e al destino di felicità eterna che attende il defunto nell’aldilà. È possibile che i cinque danzatori che avanzano verso la flautista seduta, raffigurati sulla parete E della tomba 2 dell’ipogeo di Crispia Salvia, siano gli stessi personaggi della scena conviviale della parete attigua, come sembrano dimostrare i loro abiti, identici in entrambe le scene.
Forse l’artista ha voluto, in questo modo, congiungere idealmente il mondo terreno, cui alludono i cinque danzatori con l’aldilà, rappresentato dalla defunta-flautista e dall’ambiente paradisiaco di cui sono simboli la corona di rose rosse e le ghirlande che ornano il capo dei convitati. Un tentativo analogo di congiunzione tra mondo terreno e aldilà, lo troviamo nella scena di “adventus” dell’ipogeo degli Aureli, a Roma, ove il defunto è raffigurato nell’atto di partire per l’oltretomba, ove è atteso da un gruppo di anime, mentre dall’altra parte riceve gli ultimi saluti di un gruppo di viventi.
l'“adventus” dell’ipogeo degli Aureli, a Roma
Nel complesso i dati raccolti ed i confronti con le pitture dei cimiteri tardo antichi, lasciano pensare che le decorazioni dell’ipogeo di Crispia Salvia siano state realizzate in un momento successivo all’impianto originario, che, in base ai dati raccolti si può datare al pieno II sec. La posizione marginale dell’epigrafe, posta nell’angolo sinistro in alto della parete di fondo, invece che nella posizione centrale propria delle “tabulae ansatae”, e i caratteri stilistici delle pitture ci riconducono alla temperie artistica del III sec. d.C.
la posizione "marginale" dell’epigrafe nell'Ipogeo di Crispia Salvia
La resa stilizzata, poco naturalistica dei fiori e delle ghirlande, dei volatili, dei kalathoi, la rigidità dei pavoni affrontati, la disposizione quasi frontale dei danzatori, la frontalità stereotipa degli amorini, che ricordano certe figure di sarcofagi del III sec. d.C., sono, infatti, caratteristiche tipiche dell’arte della tarda antichità.
Amorini raffigurati in un sarcofago del III secolo d.C.
Un ipogeo privato come quello di Crispia Salvia, espressione di una committenza provinciale ma colta e sensibile alle alle correnti artistiche dell’epoca, si inserisce bene nel vivace clima di iniziative a carattere pubblico che deve aver caratterizzato Lilibeo in quel periodo. Infatti, nel corso del III sec. d.C., l’emergere a LIlibeo di alcuni ricchi esponenti della classe senatoria, frutto anche della trasformazione della città da municipio a colonia, favorì il finanziamento di opere pubbliche, come attestano, tra l’altro, numerose iscrizioni risalenti a quel periodo.
i resti della colonia romana di Lilibeo
Questa interpretazione sembra essere avvalorata dai nomi riportati nell’epigrafe dell’ipogeo; Salvius et Crispius sono due gentilizi, di notevole importanza, attestati a Lilibeo da una iscrizione funeraria posta da un membro della gens Statia in memoria di C.F. Felicula e di P. Statius. Il gentilizio Salvius, oltre a Lilibeo, è presente in un cippo votivo rinvenuto nella città di Floridia, vicino Siracusa.
l'altare della gens Iulia a Roma
Il gentilizio Crispius era già noto da testimonianze su “instrumentum domesticum". Più difficile è individuare il marito della defunta, Iulius Demetrius, poichè il gentilizio è presente nell’onomastica di personaggi di alto rango sociale come magistrati municipali, cittadini romani, liberti. Nella Sicilia occidentale la gens Iulia è documentata, oltre che a Lilibeo, a Palermo, Termini Imerese, Segesta. Iulius Demetrius, è nome riferibile ad una gens facoltosa e di elevato rango sociale, la cui presenza nella Sicilia occidentale sembra essere attestata da alcuni altri esempi.
(dal web)
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