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Palazzo Clarentano a Randazzo Empty Palazzo Clarentano a Randazzo

Dom 21 Mag 2023 - 16:35
Palazzo Clarentano a Randazzo TMYmBpb


Palazzo Clarentano è un’elegante dimora nobiliare del XVI secolo, in stile tardo-gotico catalano, con influssi rinascimentali, situato nel cuore del centro storico, a pochi passi dalla chiesa di San Nicola.
Il palazzo fu voluto, probabilmente, dal nobile Antonio Clarentano nel 1509, come lascia supporre un’iscrizione incisa sulla cornice marcapiano dello stesso che riportava la data e il nome del nobile. In seguito l’edificio passò di proprietà alla famiglia Finocchiaro. Attualmente appartiene alla famiglia Dilettoso.
Il prospetto principale si affaccia su via Duca degli Abruzzi mentre quello occidentale su via Clarentano.


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L’edificio presenta una pianta a parallelogramma e si sviluppa su due livelli: piano terra e piano nobile.
Al piano terra, sul lato del prospetto principale, si apre un ampio portale con arco a sesto ribassato realizzato in conci di pietra arenaria squadrati, concluso da un cordone esterno che poggia su due capitelli decorati.


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Ai lati del portale, poste ad altezze diverse, si aprono due finestre rettangolari, in arenaria, definite anch’esse da un cordone, ad andamento rettilineo, sostenuto da peducci all’estremità, chiuse da grate in ferro battuto.


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Una cornice marcapiano, sulla quale poggiano tre bifore in arenaria ad arco acuto divise da colonnine, separa il pianterreno con il piano nobile.
A chiudere il prospetto principale, lungo tutta la facciata, lo sporto del tetto, sorretto da mensole lignee ingentilite da intagli decorativi.


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Sulla cornice marcapiano, come detto precedentemente, è presente un’iscrizione latina.
Il testo è disposto su un’unica linea che corre lungo la cornice. Esso, diviso in tre parti da due protomi leonine che reggono uno stemma (capriolo accompagnato da tre stelle di otto raggi poste due al capo ed una in punta), è inciso in caratteri capitali di tipo romanico.


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L’ultima parte del testo rimase coperta, dopo il 1857, dal muro dell’edificio attiguo ma, fortunatamente, fu trascritta dall’architetto francese Bailly.
In ogni caso, a seguito di dettagliate disamine, il solco dell’incisione non è particolarmente profondo. In più, le parole, oltre ad essere leggibili ed ordinate, sono correntemente separate da una serie di “interpuncta”. Nel 2007, a tal proposito, sono state nuovamente esaminate da alcuni epigrafisti.
Questi ultimi, dopo accurati studi, hanno evidenziato notevoli differenze rispetto alla lettura fornita da Bailly. Pertanto, il reperto testuale è stato restituito nel seguente modo: “ Inter autem// pensan// dum es q(uod) tutior via sit ut bonum quis que post mortem suam sperat agi per alios agat dum vivit ipse prose nobilis An/ tonius Clarintanus MCCCCCIX”.
Secondo l’interpretazione rilasciata da un amico del Bailly, esperto nelle usanze religiose del Medioevo, si tratterebbe di un inno che veniva cantato dai monaci benedettini durante lo svolgimento dei propri lavori. Ciò malgrado, a giudizio dell’erudito, figurano due errori: “nedum” per “pedum” e “sit" per “sic”. A partire da questa osservazione, ha motivatamente interpretato: << Inter autem pensa, pedum estior tutior via. Sic, ut bonum quisque post mortem suam sperat agi per alios, agat, dum vivit, ipse, pro se>>.
Quanto alla traduzione, invece, ha così proposto: «Il lavoro è il sentiero. Tu speri che dopo la tua morte il bene sarà fatto da altri: fai da te anche quando sei vivo; paga il tuo debito personale».
Sebbene condivisa dai più, ben diverse sono le congetture formulate dal professore Sabbiadini e dal Vagliasindi Polizzi. Il primo ha riportato l’epigrafe in tal maniera: «Inter vitae pensa ne diu esto. Tutior via sit ut bonum quod quisque post mortem suam sperat agi per alios, agat dum vivit ipse per se«».
Il suddetto passo, perciò, è stato tradotto: «Non indugiarti troppo a lungo tra le cure della vita. Sarebbe regola più sicura che ciascuno facesse da sé mentre vive quel bene che spera gli sia fatto dagli altri dopo la morte».
Il Vagliasindi, di converso, lo ha inteso diversamente: «Quisque spera post mortem sua agi inter pensa dum, ipse vivit agat bonum ut autem tutior sit via, esto per alios nedum, pro se».
In termini di significato, equivarrebbe a dire: «Ognuno spera dopo la sua morte figurare, nei monumenti, mentre egli vive benefici e per sicuro riuscire si studi per gli altri non meno che per sé stesso farebbe».


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Ad ogni modo, di recente, è stato appurato che la "scritta" non è altro che l’incipit del capitolo LVIII contenuto nei "Dialoghi" di Gregorio Magno.
Il filologo Simonetti, in definitiva, lo ha ulteriormente reinterpretato: «Riguardo a questo argomento bisogna considerare che la via più sicura è che il bene, che ognuno spera di ricevere da altri dopo la sua morte, egli stesso lo faccia a suo beneficio durante la vita».

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Fonti: balarm.it, randazzosegreta.myblog.it

Fotografie: web

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Vivere senza leggere è pericoloso, ci si deve accontentare della vita, e questo comporta notevoli rischi.
(Michel Houellebecq)
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