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Una statua dalla storia complicata: l'Efebo di Selinunte Empty Una statua dalla storia complicata: l'Efebo di Selinunte

Mer 16 Nov 2022 - 16:26

L'Efebo di Selinunte e la sua storia complicata

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L'Efebo di Selinunte, statua in bronzo (480-460 a.C.), raffigurante un adolescente ignudo, è uno dei ritrovamenti più singolari avvenuti nella zona archeologica di Selinunte.
Questo reperto rappresenta un esempio rilevante della statuaria bronzea della Sicilia greca a noi pervenuto.
Il bronzo alto circa 85 cm., databile, a parere degli esperti, ai primi decenni del V a.C., rappresenta un adolescente nudo in posizione eretta con la gamba destra un po’ inclinata in avanti. Nelle mani recava forse oggetti cultuali. La statua nel suo insieme ben fatta, nche se non perfettamente curata nei particolari, unisce elementi dorici, che si possono cogliere nella composizione delle spalle e della testa, con tratti della statuaria attica, presenti nella struttura somatica e nell’astrazione dell’espressione. Il capo ornato da una pettinatura elaborata poggia su un collo esile. Minuti e gentili sono altresì i tratti facciali. Singolare la fissità dello sguardo, determinata anche dalla pasta vitrea di color bianco di cui è costituito l’occhio. La bocca chiusa sembra accennare un sorriso che aleggia misteriosamente sulle labbra carnose, accentuando l’ambiguità del personaggio.
L’Efebo, secondo gli studiosi, pecca di incoerenza stilistica nelle singole parti e nel loro rapporto, cosa dovuta anche alla eterogeneità dei materiali di costruzione, ma soprattutto ad un’antica operazione di restauro come è stato appurato dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma. In ogni caso è stata esclusa una sua presunta paternità fidiana, mentre molte affinità sono state individuate tra l’Efebo selinuntino e la metopa di Atteone sbranato dai cani (tempio E. collina orientale), per cui sembra accettabile l’ipotesi di chi, come il Pace, vede nel bronzo di Selinunte l’espressione della scultura siceliota nel suo arcaismo più evoluto, o di chi, come il Paribeni, parla di doppio linguaggio o di opposizione tra arte colta e arte plebea.

Ma chi raffigurava l’Efebo? Un kouros siceliota o la divinità del flume Selinos? In quest’ultimo caso il ramoscello che recava in mano poteva essere il selinon. La mancanza di fonti letterarie ed epigrafiche al riguardo, non permettono una risposta sicura. Così anche l’identità dell’Efebo selinuntino rimane avvolta da un velo di mistero.

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Fin qui la descrizione tecnica, ma ora passiamo alla storia del reperto.

Sin dal ritrovamento avvenuto nel maggio del 1882 presso le case di Galera e non lontane da quelle di Bagliazzo e Barone in prossimità delle cave di Latomie, la vita dell’Efebo è stata condizionata da un maltrattamento socio-culturale.
Il giovane Benedetto Prussiano, (uno dei tanti bambini emarginati del periodo) durante i suoi orari infiniti di lavoro al servizio dei possidenti agricoli, si accorse di un oggetto spuntare dal sottosuolo e, avvicinandosi, iniziò a scavare a mani nude. Accompagnato da altri uomini, riuscirono a tirar fuori il pregevole Kourus bronzeo.
Un ritrovamento di grande spessore seppur le modalità furono abbastanza modeste e rischiarono di frantumare in tanti pezzi la statuetta.
Quest’aspetto si collega con la società e le condizioni della Castelvetrano di quel periodo - una città presa d’assalto dalla miseria e le continue frizioni tra l'amministrazione vigente in quegli anni e alcune frange di opposizione contro il clientelismo e una politica insoddisfacente.
Ritornando alla bellezza del ritrovamento, il suo percorso è stato dannatamente segnato da altri episodi incresciosi. Dalla leggenda metropolitana dell’utilizzo dello stesso come cappelliera da parte dei sindaci di Castelvetrano a partire dal 1933.

Tesi puntualmente smentite dalla veridicità storica e segnata invece dall’interessamento del filosofo G. Gentile accompagnato dall’archeologo Pirro Marconi.

Vennero effettuati dei lavori di restauro poiché la statuetta era rotta in sei pezzi ed esposta presso il Museo Nazionale di Palermo. Rappresentò la prima tappa di un lungo peregrinare verso altre città e diversi musei. L’episodio più triste avvenne nella notte tra il 30 e il 31 ottobre del 1962.
In una città tormentata dalle vicende politiche con i cambi repentini della giunta assessoriale e le minacce continue della caduta del sindaco tra fatterelli imprevisti e accordi sottobanco, l’Efebo fu rubato da Palazzo Pignatelli.

I malviventi tentarono di vendere il reperto negli Stati Uniti e successivamente, in Svizzera. In ultimo, il ritorno in Sicilia e nascosto nel paese di Gibellina.

Grazie all’abile ministro plenipotenziario Rodolfo Siviero (esperto in ritrovamenti di opere d’arte), a sei anni di distanza dalla scomparsa e coadiuvato da Pallottino e Bianchi Bandinelli, fu organizzata un’operazione per rintracciare e riportare in città il bene prezioso.

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In un paese umbro avvenne la colluttazione con una richiesta di 30 milioni come contropartita e senza eccedere nella cruenta guerra di nervi evitando possibili feriti e morti, il bene sconfisse il male e la statuetta ritornò in paese. Siviero ricevette la cittadinanza onoraria.
Purtroppo, la statua (identificata come Dionisio Iakchos) non rimase a lungo in città causa mancate concessioni e scarsa coesione degli enti preposti.

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Dovette spiccare il volo verso Roma per ulteriori lavori di restauro. Una volta conclusi, rimase per ben 18 anni presso il Museo Archeologico Salinas di Palermo.
Un viaggio a ritroso figlio di un degrado organizzativo che, non permise di custodirlo nel nostro museo Civico. Mancanze di strutture, di una teca con caratteristiche precise, misure imperfette e tanta confusione culturale.
Dopo lunghe trattative, si giunse a un compromesso e finalmente toccò il suolo castelvetranese.

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Nonostante tutto, anche le città di Atene, Shanghai e Venezia hanno avuto l’opportunità di ammirare, osservare e toccare "quasi" con mano l’imprevedibile storia del bronzo.
Una fatica lunga 140 anni, fatta di peripezie, ostacoli e tanta ignoranza culturale. L’Efebo ha dimostrato di sopperire alle impervie e tortuose mancanze, superando qualsiasi ostacolo e vederlo solo dall'alto dei suoi circa 85 cm è deludente.
Datato in un periodo compreso tra il 480 a.C. e il 460 a.C. , è l’emblema di una figura colta secondo l’impostazione arcaica con prospettiva frontale immobile.
Il piede destro un po' avanti e i capelli lunghi raccolti sul capo. Giace nella sua solitudine, sinonimo di una sconfitta totale. Se passate da Castelvetrano, occorre poco tempo per ammirare un capolavoro senza tempo e stropicciarsi gli occhi dinanzi alla sua bellezza.



Fonti: balarm.it, selindream.it,castelvetranoselinunte.it

Fotografie: web

Filmato YouTube di Melchiorre Calvaruso
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