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Le misteriose grotte della Gurfa Empty Le misteriose grotte della Gurfa

Dom 20 Nov 2022 - 18:12

Le misteriose grotte della Gurfa

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Lungo la strada che collega Alia con Caltavuturo, una via secondaria conduce alla base di una parete di roccia che domina il paesaggio agricolo della Valle del Platani. Diverse aperture scavate nella pietra indicano gli accessi ad un insediamento rupestre che include una sala campaniforme alta quanto una palazzina di cinque piani.

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Questo grande ambiente è uno dei tanti misteri della Sicilia. Nessuno sa chi possa aver scavato il ventre di una montagna per ricavare uno spazio così originale, non si conoscono nemmeno documenti o rinvenimenti archeologici utili per una datazione. Gli ipogei della Gurfa si trovano a cinque chilometri dall’abitato di Alia ed a poca distanza dalla Valle del fiume Torto, una delle antiche vie di collegamento tra l’entroterra siciliano e la costa tirrenica. 500 anni fa, dalla Valle del Torto transitava il grano prodotto nella parte settentrionale della Valle del Platani per essere trasportato ad Himera ed imbarcato su navi greche.
Da allora la produzione cerealicola non ha conosciuto sosta. La rappresentazione di un covone d’oro e di un grappolo d’uva nello stemma municipale di Alia lascia pensare che nel medioevo, quando nasce il primo insediamento urbano, la produzione di grano e vino era alla base dell’economia locale; questi indizi hanno influenzato chi sostiene che la grande sala è una cavità naturale utilizzata come granaio e gli ambienti minori realizzati non oltre 1.500 anni fa per essere adibiti a magazzini agricoli. Non tutti però la pensano così.

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Già nel XIX secolo, Luigi Tirrito, storico di Castronovo di Sicilia, riteneva che le cavità della Gurfa fossero abitazioni trogloditiche appartenenti ad un passato molto più antico rispetto all’epoca saracena a cui – già oltre un secolo fa – venivano attribuite. Nel 1901 il giornalista Ciro Leone Cardinale visita i luoghi descritti dal Tirrito e pubblica una descrizione particolarmente dettagliata degli ambienti rupestri definendoli “uno splendido monumento ed avanzo di civiltà protostoriche, sopravvissuto miracolosamente ai tempi ed ai vandalismi dell’uomo”. L’attento osservatore non poteva immaginare che nell’arco di pochi decenni gli ipogei della Gurfa sarebbero “miracolosamente” usciti indenni anche da due guerre mondiali e dall’oblio in cui caddero nella seconda metà del XX secolo.

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A far dimenticare le cavità contribuì il “Miracolo Italiano” degli anni ‘50 e ‘70 quando la forte crescita economica dell’Italia spinse gran parte della popolazione rurale siciliana ad abbandonare le campagne per cercare condizioni di vita migliore al Nord, o all’estero, dove l’Industria era pronta ad assorbire mano d’opera non qualificata.
Nel 1984 gli studi dell’architetto Silvana Braida riaccendono l’interesse per il sito rupestre. Le nuove ricerche chiariscono che quelle della Gurfa sono veri e propri ambienti architettonici interamente scavati dall’uomo e non grotte naturali semplicemente adattate alle esigenze di chi, nel tempo, le ha frequentate. Il rinato interesse per questo luogo misterioso ha così convinto l’Amministrazione comunale di Alia e la Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo a valorizzare un luogo ridotto a riparo per greggi e mandrie. L’origine degli ipogei della Gurfa è ancora controversa ma intanto le cavità sono diventate una meta turistica capace di attrarre sempre più visitatori in un’area della Sicilia ancora poco conosciuta.

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L’architetto Carmelo Montagna è sicuramente lo storico dell’architettura che ha dedicato più tempo all’interpretazione degli ambienti ipogei che definisce “un’architettura in negativo” perché le sue ricerche dicono che siamo in presenza della più grande Tholos del Mediterraneo scavata interamente nella roccia.

Le Tholoi sono tombe monumentali caratterizzate da una grande stanza circolare a cupola. Venivano utilizzate in Oriente per seppellire famiglie o personaggi importanti ed a partire dal 1500 a.C. – in piena Età del Bronzo – iniziarono a diffondersi nel Mediterraneo tramite i Micenei. Le tombe a Tholos di Thapsos, nella Sicilia orientale, testimoniano che nel II millennio avanti Cristo greci provenienti da Micene arrivarono lungo le coste della Sicilia e quelle identificate a Sant’Angelo Muxaro, in provincia di Agrigento, dimostrano che i micenei non tardarono a penetrare nella Valle del Fiume Platani ricca di zolfo, sali potassici, salgemma ed altre risorse minerali particolarmente apprezzate dai mercati orientali.

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Carmelo Montagna ritiene che le cavità della Gurfa risalgono all’Età del Bronzo e che vennero realizzate per ospitare le spoglie di un personaggio molto importante, forse il re di Creta Minosse, il sovrano che – secondo la mitologia greca – trovò la morte in Sicilia mentre era ospite del re sicano Cocalo nella città di Camico, un centro urbano della Valle del Platani non ancora identificato. Per gli archeologi greci i dati ad oggi disponibili non confermano che il monumento funerario di Micene abbia ospitato i corpi del re Atreo o del figlio Agamennone, famoso per aver condotto l’esercito greco contro Troia.

Probabilmente non sapremo mai se Agamennone e Minosse vennero sepolti in tombe monumentali simili, sappiamo però che ad unirli fu un tragico destino. Secondo la mitologia, ambedue vennero uccisi a tradimento nell’intimità di un bagno: Agamennone per mano della moglie Clitennestra, Minosse da una congiura tramata dalle figlie del re Cocalo e da Dedalo, il famoso architetto ateniese rifugiatosi in Sicilia dopo essere riuscito a scappare dal labirinto del Minotauro in cui Minosse lo aveva rinchiuso. Ed è proprio la presenza di Dedalo, il simbolo dell’ingegno pre-ellenico, nella Valle del Platani ad alimentare la suggestiva ipotesi che a progettare la grande sala della Gurfa sia stato proprio il grande architetto protostorico.

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L’interpretazione del Mito non è cosa semplice perché lo scenario in cui si svolge l’azione – nel nostro caso l’arrivo di Minosse in Sicilia – è sempre strumentale rispetto al messaggio politico o propagandistico che il racconto vuole tramandare. E’ per questo che l’archeologia ufficiale ritiene che non ci siano ancora elementi certi per attribuire un’età preistorica agli ipogei della Gurfa che, comunque, restano un luogo da visitare.

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Sulle pareti di tufo si leggono ancora i segni dei picconi lasciati da chi, colpo dopo colpo (e chissà con quanta fatica), ha svuotato una montagna per ricavare un ambiente architettonico con forme e dimensioni che sembrano tutt’altro che casuali.

Entrando nella grande sala ci si domanda: chi ha scavato questo luogo incredibile? Ci si trova al centro della cavità, sulla perpendicolare si nota, nella parte più alta della volta, un foro che comunica con l’esterno. “Siamo sull’axis mundi !”

Carmelo Montagna è certo che ci troviamo in un luogo simbolico o sacro progettato da uno straordinario architetto protostorico. “Il foro sopra le nostre teste rappresenta lo Zenit – aggiunge – ci troviamo lungo l’asse ideale che unisce lo Zenit ed il Nadir, i due poli intorno ai quali ruota il nostro pianeta”. E’ a questo punto Carmelo Montagna indica nella parete laterale un altro foro, anch’esso comunicante con l’esterno, scavato al centro di una grande nicchia.

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Nel corso degli anni, Carmelo Montagna ha notato che soltanto nei giorni dell’Equinozio di Primavera un raggio diretto del Sole penetra da quel buco per illuminare, alle 12,00 dell’ora solare, il punto esatto in cui ci troviamo. Secondo questa interpretazione, la grande sala della Gurfa è stata scavata con l’intento di realizzare un ambiente che potesse indicare in modo evidente e preciso il momento in cui la Terra, nel corso dell’anno, si colloca rispetto al Sole nella posizione che indica l’Equinozio di Primavera.

Il centro della sala (corrispondente al punto in cui la perpendicolare dello Zenit – rappresentato dal foro in alto – interseca il pavimento della cavità) indicherebbe il centro del pianeta. L’Equinozio di Primavera è – da sempre – un momento importante per l’umanità e l’evento a cui assisteremo tra un’ora dimostrerebbe il valore simbolico o sacro della cavità. Il mio scetticismo continua a non dissiparsi ma decido di affidarmi al mio orologio; sarà lui il “Giudice” che a mezzogiorno sentenzierà se le mie perplessità sono fondate o meno.

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Un giovane visitatore del complesso ipogeo della Gufa osserva la posizione del sole nel giorno dell’equinozio di primavera.
L’Equinozio di Primavera.Da Oriente ad Occidente, il 21 marzo si celebra l’Equinozio di Primavera per salutare l’inverno ed accogliere la stagione che simboleggia la rinascita della Natura. In Giappone, Paese con antichissime tradizioni agricole, il 21 marzo è festa nazionale. E’ il giorno del Haru no Higan, una festa dal doppio significato: il “risveglio” della Natura – inteso come l’arrivo di una stagione che porta raccolti abbondanti – ed il “risveglio” di chi non c’è più. E’ una festa molto sentita e, per tradizione, molti trascorrono questo giorno nei cimiteri per commemorare le anime dei propri cari. Nel vicino Oriente l’Equinozio di Primavera è accolto con il Nawruz, una grande festa popolare la cui origine si fa risalire al 487 a.C. quando gli astronomi preannunciarono al Re persiano Dario che un raggio di Sole avrebbe colpito il centro del palazzo reale di Persepoli. In Occidente, l’Equinozio di Primavera è un importante riferimento per la Chiesa Cristiana. La Pasqua è una festività religiosa “mobile”, cioè con una data variabile, perchè calcolata con riferimento a determinati fenomeni astronomici. Il giorno di Pasqua cade infatti nella domenica successiva al primo plenilunio che si verifica dopo l’Equinozio di Primavera (fissato convenzionalmente il 21 marzo). Questo spiega perchè il giorno di Pasqua non può arrivare prima del 22 marzo.

Mentre penso agli antichi egizi che 5000 anni fa sapevano già che l’Equinozio di Primavera corrisponde all’unico giorno dell’anno in cui la durata della luce è esattamente uguale a quella del buio, mi rendo conto che dal foro della parete laterale penetra un fascio di luce incredibilmente regolare. Il raggio colpisce il pavimento spostandosi a vista d’occhio verso la perpendicolare del foro in alto, in realtà è la Terra che sta ruotando in modo da permettere al Sole di colpire il punto che indicherebbe il centro della cavità in cui mi trovo. Mancano ancora dieci minuti a mezzogiorno, il mio scetticismo inizia a trasformarsi in stupore e nel volto di Carmelo Montagna leggo già una grande soddisfazione. Non mi resta che preparare la macchina fotografica e documentare l’evento annunciato. E’ difficile pensare ad una semplice coincidenza, ad escludere qualsiasi relazione tra il raggio di Sole che sto osservando e le tradizionali feste millenarie che in tante parti del mondo ricordano ancora il passaggio dalla stagione invernale a quella primaverile. Ma questo è soltanto uno dei tanti misteri della Gurfa. Carmelo Montagna ha affidato i risultati delle sue ricerche al volume “Il Tesoro di Minos – l’architettura della Gurfa di Alia tra preistoria e misteri”. La pubblicazione, edita dall’Officina di Studi Medievali, contiene anche ipotesi interpretative degli ambienti secondari come luoghi in cui si svolgevano rituali legati al mondo dei morti, ipotesi che, secondo lo stesso Montagna, necessitano di ulteriori approfondimenti.

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L’uomo nella Valle del Platani.

Carmelo Montagna è convinto che la chiave di lettura degli ambienti della Gurfa va cercata nei reperti dell’Età del Bronzo esposti al Museo Archeologico di Marianopoli. Marianopoli è un piccolo centro della Provincia di Caltanissetta di cui l’architetto Montagna è Sindaco dal maggio 2012. I reperti esposti nel locale Museo della Regione Siciliana testimoniano una delle pagine più importanti della storia siciliana: l’avvio del processo di inculturazione delle popolazioni indigene della Valle del Platani quando entrano in contatto con i Greci. “Molti – afferma Montagna – pensano ancora che quando i Greci arrivarono in Sicilia trovarono gente senza cultura. Non è così, ed i reperti di Marianopoli lo dimostrano. Nella Valle del Platani 3500 anni fa esisteva una civiltà indigena che produceva ceramica decorata, quindi produceva pensiero e, forse, aveva anche una scrittura”.

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Il Museo Archeologico è un luogo particolarmente caro a Carmelo Montagna, e non soltanto perchè è Sindaco di Marianopoli. L’istituzione si deve al gruppo di intellettuali, guidati dallo storico Emanuele Valenti, di cui faceva parte quando era ancora un giovane studente d’architettura. Nel 1977 gli intellettuali di Marianopoli ebbero il coraggio di denunciare pubblicamente, attraverso le pagine del Giornale di Sicilia, l’indifferenza delle Istituzioni di fronte ai continui saccheggi del sito archeologico di Monte Castellazzo, a poca distanza da Marianopoli, che le ricerche di Emanuele Valenti avevano identificato come i resti dell’antica città di Mitistratos. Erano tempi in cui la diffusa indifferenza verso i beni culturali favoriva l’attività illegale di tombaroli e mercanti senza scrupolo che trafugavano reperti dalle aree archeologiche siciliane per immetterli nel mercato clandestino internazionale di opere d’arte. La pubblica indignazione di Carmelo Montagna e dei suoi amici tuonò come una novità nel panorama siciliano e “convinse” la Soprintendenza di Agrigento, allora condotta dall’archeologo Ernesto De Miro, ad avviare le indagini che tra il 1977 ed il 1984 confermarono gli studi di Emanuele Valenti e permisero di recuperare i preziosi reperti oggi esposti nel Museo di Marianopoli. Da allora, le ricerche archeologiche nella Valle del Fiume Platani sono andate avanti e sono emersi indizi che, in un futuro non molto lontano, potrebbero contribuire a svelare il mistero della Gurfa e dimostrare che la preistoria della Sicilia è ancora tutta da scoprire.

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Fonte: Limen.it

Fotografie: web
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