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Le Vie Francigene della Sicilia (ovvero le strade della civiltà) - 2^ parte Empty Le Vie Francigene della Sicilia (ovvero le strade della civiltà) - 2^ parte

Gio 15 Dic 2022 - 15:40

Le Vie Francigene della Sicilia


(ovvero le strade della civiltà) - 2^ parte. La “Palermo – Messina per le montagne”, lungo l’Appennino Siculo su una via francigena storica.



La “Palermo – Messina per le montagne”, lungo l’Appennino Siculo su una via francigena storica.



Le Vie Francigene della Sicilia (ovvero le strade della civiltà) - 2^ parte Ihl71Cv



Un diploma normanno del 1089, scritto in greco segnala una “via francigena” nella piana di Milazzo. A noi giunge in una copia dell’aprile del 1198, in latino, per ordine dell’Imperatrice reggente Costanza d’Altavilla, madre del futuro Imperatore Federico II di Svevia e Sicilia. Il testo propone una donazione, elargita da un cavaliere normanno della corte degli Altavilla, Goffredo Borrello, Signore della Valle di Milazzo, all’Arcivescovo Roberto di Messina e Troina, di alcune terre, chiamate “terras Bucelli“tra i cui confini si registra appunto la “via francigena” o come avrebbe scritto il diploma originale in greco, “ten odon ten fragkikon“, la via dei Franchi, i cavalieri venuti dalla Normandia per cacciare i Musulmani e cristianizzare la Sicilia.
Questo diploma ci permette di trovare una testimonianza del periodo alto medievale della viabilità esistente tra Palermo e Messina, che le fonti attestano sia sulla costa sia nell’interno. La via che serviva da collegamento per la costa settentrionale era attestata dal periodo romano e venne denominata “Valeria” dal geografo Strabone, divenendo la più importante arteria dell’Isola, prosecuzione della via Popilia in Calabria e Appia fino a Roma, collegamento diretto dal traghetto sullo Stretto ai porti di Lilybaeum che guardavano Cartagine. Costruita durante la minaccia delle guerre puniche dal console romano Marco Valerio Levino nel 210 a.C., è di sicuro preesistente e permetteva di collegare le colonie siceliote della costa, così come la via litoranea ionica, chiamata da Cicerone “Pompeia” collegava Messina a Siracusa attraverso le poleis della costa.
Dal controllo di Roma a quello di Bisanzio la via mantiene la sua importanza pur chiamandosi “Basiliké odos“, fino ai nostri cavalieri normanni che la chiamano “strada regia” o per l’appunto “Via Francigena“. Questa via, “per le marine”, diventerà sempre meno sicura a causa degli attacchi saraceni e prenderà corpo la variante “per le montagne” segnando il conseguente spostamento all’interno di una nuova viabilità che collega ancora oggi i centri del versante tirrenico della Sicilia.
Nella documentazione moderna, questa via viene chiamata “Regia Trazzera Palermo-Messina montagne” ma ne abbiamo attestazione sin dall’età di Ruggero II, quando Idrisi, il cartografo di corte, nel 1154 nel suo Libro di Ruggero, ne descrive il percorso: Palermo, Termini, Caccamo, Pittirana, Sclafani, Caltavuturo, Polizzi, Petralia, Gangi, Sperlinga, Nicosia, Troina, Maniace e Randazzo. Da qui, si potevano agilmente scollinare i monti Nebrodi raggiungendo il versante tirrenico attraverso Montalbano Elicona, il cui castello nell’età federiciana diventerà patrimonio della difesa di stato, e proseguire per Messina scendendo lungo la marina, nella zona di Oliveri dove è attestato il dromos, o lungo la linea interna, tra i castelli di controllo delle valli fluviali: Novara di Sicilia, Castroreale, S.Lucia del Mela, Monforte, Rometta e infine Messina. Oppure si avanzava verso lo Ionio attraverso il tratto di via che porta a Moio Alcantara, Castiglione e Francavilla, per giungere alle alture di Castelmola e Taormina e da qui, lungo l’antica litoranea, alla città dello Stretto.
Dal 2013 i Cammini Francigeni di Sicilia hanno messo in studio l’antica via percorsa da Ruggero II nel 1115 come da Enrico VI pochi anni dopo per raggiungere Palermo, fino al viaggio dell’Imperatore Carlo V, vittorioso a Tunisi e celebrato nel suo percorso lungo le Madonie e i Nebrodi per congiungere la Cattedrale di Palermo, dedicata a S. Maria Assunta, al Duomo di Messina, anch’esso dedicato alla Madonna Assunta in cielo, dove prese il trionfo prima di tornare in Spagna.

la mappa della Palermo – Messina per le montagne



Le Vie Francigene della Sicilia (ovvero le strade della civiltà) - 2^ parte Mxq7GFZ



Un cammino unico e continuo, di circa 370 km, in 20 tappe, che unisce le cime innevate delle Madonie ai paesaggi montani dei Nebrodi fino alle vette dei Peloritani, per giungere alla città dello Stretto. Dalle bellezze della capitale della Cultura Arabo-Normanna alle spiagge di Aspra; dai borghi più belli d’Italia di Gangi e Montalbano ai castelli normanni arroccati tra le Madonie di Caccamo, Caltavuturo, Polizzi e Petralia; dai paesi immersi nei boschi dei Nebrodi come Foresta, Capizzi e Cesarò, alla prima capitale del Gran Conte Ruggero, Troina.
Si aggiungono altre 3 tappe che da Randazzo portano, lungo la valle del fiume Alcantara e dentro il Parco Fluviale omonimo, a Taormina. Riprendono il percorso storico che permetteva a chi partiva da Palermo di raggiungere la capitale del regno sia verso il Tirreno –via Montalbano– sia verso lo Jonio –via Alcantara.
Lungo la parte madonita del percorso, dal 2017, un progetto di una società di sviluppo locale ha posizionato pali in legno seguendo la segnaletica ufficiale delle Vie Francigene di Sicilia ma spesso l’incuria della gente guasta la segnaletica e per questo abbiamo mappato in sicurezza tutto il percorso con vernice spray secondo le norme di segnalazione del Consiglio d’Europa: segni orizzontali bianco/rossi e il nostro pellegrino francigeno di colore verde.


1. Palermo – Bagheria (LUNGHEZZA: 19,3 km – DISLIVELLO: IN SALITA 94m IN DISCESA 43m. DIFFICOLTÀ: media – FONDO: 5% Sterrato, 95% Asfalto.)

Bagheria



Le Vie Francigene della Sicilia (ovvero le strade della civiltà) - 2^ parte LkICDWl




Descrizione della tappa
Palermo
Dei molti luoghi che la città siciliana offre ai turisti, consigliamo di visitare i monumenti dichiarati dall’Unesco “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”, inseriti nel percorso Arabo-Normanno che lega ben tre culture, quella greco-bizantina non menzionata ma tenuta presente, quella islamica e quella normanno-cristiana. La cattedrale, costruita nel 1184, vero e proprio palinsesto di tutte le dominazioni che si sono susseguite a Palermo, conserva le fattezze dell’età medievale come del periodo tardo gotico, di cui il portale ne è esempio. È collegata al Palazzo Vescovile e custodisce le reliquie della Santuzza, santa Rosalia, patrona della città e di altri martiri della fede come don Pino Puglisi, oggi beato. Completano il percorso artistico monumentale a Palermo, il Palazzo Reale o dei Normanni, costruito dagli emiri nel X sec. d.C. e passato in mano ai reali normanni che lo elessero a dimora-fortezza, sede dal 1946 dell’Assemblea Regionale Siciliana e luogo dove si riuniva il Parlamento Siciliano, sin dai tempi di Ruggero II; la Cappella Palatina, annessa al Palazzo e dedicata ai santi Pietro e Paolo, interamente ricoperta da decorazioni in oro a mosaico tra cui un Cristo Pantocratore maestoso; e l’area archeologica di Villa Bonanno con i resti delle ville romane e dei mosaici a pavimento. Meritano una visita le catacombe di San Michele Arcangelo site sotto l’omonima chiesa nella zona del mercato di Ballarò e della chiesa principale dei Gesuiti a Palermo, la chiesa del Gesù e l’attigua Casa Professa, sorte entrambi sui resti dell’abbazia normanna di Santa Maria della Grotta costruita nel 1072 da Roberto il Guiscardo; le due chiese di San Cataldo e di Santa Maria dell’Ammiraglio, come la chiamano tutti, della Martorana, splendidi esempi di stili architettonici misti e cangianti. La prima, costruita nel 1154 sotto il regno di Guglielmo I rimase incompleta mostrandosi oggi nella sua bellissima veste di pietra viva. La seconda, fondata pochi anni prima passò sotto il controllo del vicino monastero benedettino della Martorana, da cui il nome che la chiesa comunemente porta. L’edificio del convento e la chiesa oggi sono la sede dell’Eparchia di Piana degli Albanesi, diocesi cattolica di rito greco-bizantino della Chiesa Bizantina di Sicilia.
Pregevole testimonianza della corrente francescana dei minori conventuali nell’Isola è la chiesa di San Francesco d’Assisi,più volte al centro delle contese tra Federico II di Svevia e il papato di Gregorio IX, incorpora oggi il convento e una ricca biblioteca di studi medievali e siciliani. Edificata nel XII è anche la chiesa della SS.Trinità o della Magione, mansio theutonicorum, convento e casa dei cavalieri teutonici giunti a Palermo al seguito dell’imperatore svevo Enrico VI: i portali, lo stile gotico misto dei motivi decorativi la rendono un modello esemplare dell’architettura medievale siciliana. A completare le bellezze da visitare, il ponte dell’Ammiraglio, costruito tra il 1130 e il 1140 che scavalcava l’Oreto e collegava la città ai quartieri oltre il fiume e la chiesa di San Giovanni degli Eremiti, anch’essa costruita tra il 1130 e il 1148 e pesantemente restaurata a fine Ottocento, che rimane uno dei monumenti più iconici di Palermo.
Lungo il tracciato in uscita dalla città, ad Acqua dei Corsari merita una nota il parco Libero Grassi, dedicato alla figura di chi si oppose al racket mafioso pagando con la vita il suo coraggio: tra i resti della torre dei Corsari, l’antica fabbrica di laterizi ormai archeologia industriale e il recente parco, questa oasi naturale merita tutta l’attenzione del pellegrino che vi transita al suo interno.
Bagheria
La città, famosa per le residenze estive della nobiltà palermitana del XVII secolo, si svela alla nostra vista solo attraverso il suo borgo marinaro, Aspra, che conserva l’antica matrice legata alla pesca e alla salatura delle sardine e delle acciughe. Il lungomare avvolge capo Zafferano e il Mongerbino e il piccolo borgo di pescatori permette ancora adesso di vedere le tipiche barche a vela, le prue latine, usate per scoprire il litorale. Lungo la via che conduce a villa Sant’Isidoro si trova il museo dell’acciuga, luogo della memoria e dell’impegno di generazioni di pescatori, salatori, lavoratori dell’industria della pesca e della lavorazione delle acciughe, la vera ricchezza di queste coste. Accompagnati dal suono della voce e della chitarra di Michelangelo Balistreri, i pellegrini scoprono il senso rituale dei gesti e degli oggetti usati in mare nel corso del tempo dall’uomo.
Giunti a Bagheria, dall’arabo bāb al-gerib, porta del vento, ci basta osservare la pianta urbanistica della città per capire che il suo impianto è frutto di un lavoro sapiente di incastri tra una villa e l’altra, testimonianza dell’interesse delle famiglie nobili palermitane per i terreni su cui edificare sfarzose ed estrose residenze estive: Principi di Palagonia, Marchesi di Valguarnera, Principe Branciforte di Pietraperzia. Tra le poche visitabili perché adibite a residenza – museo o ospitanti mostre d’arte ci sono Villa Cattolica sede della mostra permanente di Renato Gattuso, Villa Palagonia, famosa per le centinaia di sculture grottesche e mostruose fatte costruire nel 1715 da Francesco Bonanni y Gravina, principe di Palagonia con l’intento di rappresentare in modo sarcastico e caricaturale i molti frequentatori della dimora nobile.


2. Bagheria – Eremo San Felice (LUNGHEZZA: 26,4 km – DISLIVELLO: IN SALITA 1019 m IN DISCESA 540 m. DIFFICOLTÀ: impegnativa – FONDO: 42% Sterrato, 58% Asfalto.)

l'Eremo San Felice



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Descrizione della tappa
Santa Flavia
Il piccolo borgo di mare sulla costa tirrenica, famoso per le spiagge di Olivella e Santa Nicolicchiae per le sue ville, conserva le memorie di splendori antichi: dai fasti del XVIII secolo di Villa San Marco, costruita mescolando architettura militare e residenziale a Villa Spedalotto, dimora dei reali Borbone in fuga a fine Settecento.
Ad appena 1,5 km dal punto 2.1 del tracciato, lungo la SP56, merita una visita il sito archeologico dell’antica Solunto (via del Collegio Romano, tel. 091-90.93.39, lun chiuso, mar-sab 9.30-17.30, dom e festivi 9.30-13.30, € 4/ ridotto € 2), insediamento sicano e poi fenicio di primaria importanza con Palermo e Mothia, il cui nome rimanda al fenicio Kfr-villaggio. L’antiquarium contiene alcune delle collezioni ceramiche che sono rimaste in loco ed è possibile visitare il teatro, la sede del senato locale o bouleuterion, le cisterne e gli isolati con le abitazioni.
Notevole anche il sito del castello e tonnara di Sólanto, testimonianza del controllo della costa da parte musulmana prima e normanna dopo, con la torre di osservazione e difesa, nucleo attorno alla quale nel XII sec. è stato costruito il castello e ha preso vita la tonnara assegnata, sotto il regno di Federico III di Sicilia, ai nobili a lui fedeli.
Casteldaccia
Questo piccolo centro del palermitano troppo spesso è stato ricordato solo per la cronaca nera e per i fatti di mafia che lo hanno legato ad Altavilla e Bagheria. Eppure nella nostra logica di recupero vorremmo che tornassero alla luce le ville in stile liberty e neogotico o la presenza del castello del Duca di Salaparuta che, insieme alla chiesa Madre, fa bella mostra di sé sulla piazza principale. Le cantine del famoso vino Corvo, apprezzato ed esportato per primo in America, furono costruite dal figlio del Duca sul finire dell’Ottocento.
Altavilla Mílicia
Arroccata su di una collina, l’alta villa della Mìlicia, oggi è conosciuta e visitata da numerosi pellegrini per il Santuario della Madonna della Milicia, reso famoso nei paesi del comprensorio palermitano sin dal finire del Settecento. A circa 1,7 km dal centro abitato, superato il cimitero cittadino, un’altra storia aspetta di essere raccontata e di riemergere dal torpore del tempo. La trazzera discende verso il torrente Cannamasca e il ponte normanno, detto “saraceno”, ancora in asse col suo arco a sesto acuto, permette oggi come allora di congiungere il casale di Aylyel, citato dalle pergamene del XII sec., con il colle ove sorge l’ormai diruto monastero basiliano di San Michele e l’imponente chiesa di Santa Maria di Campogrosso. Quest’ultima fu tra le prime chiese normanne di Sicilia, edificata per volere del Gran Conte nel 1068 dopo la vittoria di Misilmeri sui musulmani e ricolmata di beni e terreni da Ruggero II in un diploma del 1134. Il tempo, i cataclismi e le incursioni saracene la resero poco sicura e nel 1583 fu sconsacrata ma ancora oggi resta a testimonianza del passaggio dei viandanti che lì trovavano ristoro.
Eremo di san Felice
All’interno della Riserva Naturale Orientata di Pizzo Cane e Pizzo Trigna e Grotta Mazzamuto, che la via attraversa quasi interamente, un luogo eremitico edificato nella metà del XIII sec. accoglie ancora adesso chi cammina e chi vuole ritagliarsi una pausa dalla quotidianità più frenetica: l’Eremo di San Felice. Fu edificato durante gli anni di eremitaggio dal Beato Guglielmo Gnoffi, nativo di Polizzi sulle Madonie e conserva la sua struttura severa e semplice. Una chiesetta con a lato un edificio dove sono stati alloggiati letti a castello e spazi comuni: luce delle candele, una fonte d’acqua perenne e il cielo stellato accolgono sempre il pellegrino e il viandante.


3. Eremo San Felice – Caccamo (LUNGHEZZA: 12 km – DISLIVELLO: IN SALITA 618 m IN DISCESA 705 m. DIFFICOLTÀ: media – FONDO: 60% Sterrato, 40% Asfalto.)

il borgo medievale di Caccamo



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Descrizione della tappa
Caccamo
Il cammino che porta alla rocca di Caccamo, meta della nostra tappa, ci permette di osservare un’opera di ingegneria idraulica che sbarra il torrente San Leonardo a 6 km dalla foce, la diga Rosamarina, i cui lavori iniziarono negli anni Settanta del secolo scorso e che fu ultimata nel 1994 coi primi invasi, avendo una superficie di 500 kmq ca. Questo bacino artificiale che serve il fabbisogno idrico del comprensorio palermitano nasconde sotto 35 milioni di metri cubi d’acqua una risorsa architettonica del XIV secolo tra le più pregevoli, il ponte chiaramontano di Caccamo, fatto edificare da Manfredi I Chiaramonte, barone del regno di Sicilia agli inizi del 1300, per collegare più agevolmente Palermo con Caccamo. Anni di lotte, battaglie giuridiche e attivismo locale non sono riusciti a salvarlo dalla costruzione dell’invaso che lo ha sommerso definitivamente.
I documenti normanni ci parlano anche di una prioria di Santa Maria di Caccamo, sotto il controllo della potente abbazia di Lipari-Patti, alla quale regnanti e nobili normanni elargirono donazioni, terreni e servi per il lavoro dei campi. Oggi non abbiamo traccia di questo antico luogo di preghiera di cui rimane solo la menzione negli antichi diplomi del XII secolo.
A difesa del borgo invece vi erano cinque torri, alcune delle quali ormai hanno mutato d’uso e servono le chiese principali come torri campanarie. Una di queste, la torre di Byrsa o di Pizzarone, è ancora visibile lungo la trazzera che sale in paese, punto di vedetta difensivo sul vallone sottostante e perfetta ambientazione per i numerosi misteri collegati al castello e ai suoi personaggi.
Si racconta che la figlia di un castellano, innamorata di un avvenente soldato, fosse stata rinchiusa in monastero per evitare lo scandalo e ne fosse morta di crepacuore: nelle notti di luna piena, vestita di bianco, percorre ancora il tragitto dal castello alla torre con in mano una melagrana promettendo, a chi la incontra, di mostrare un favoloso tesoro se si riuscirà a mangiare tutti i chicchi senza farne cadere nessuno. Volete provare?
Ricchi di curiosità, continuiamo il percorso che giunge alla chiesa Madre titolata a San Giorgio, edificata in periodo svevo-chiaramontano su un preesistente luogo di culto eretto dai Normanni nel 1094. Affiancata da una delle torri di guardia, ora campanile, conserva pregevoli stucchi, paramenti e tele fiamminghe a dimostrazione dell’importanza del borgo nel XVI e XVII secolo. Notevole anche la chiesa di San Benedetto alla Badia, edificata nel Settecento ed emblema del barocchismo nell’arte e nell’architettura: stucchi del Serpotta, un altare ligneo rivestito di lamine dorate, una cancellata in ferro battuto a motivo di ventaglio che separava la zona delle monache benedettine dal mondo e un pavimento maiolicato di 5555 mattonelle decorate che guarda i 180 mq di volta affrescata in un gioco di colori.
Restano ancora da vedere un pregevole portale chiaramontano in piazza Marconi e il punto di forza del borgo madonita, il castello normanno, tra i più grandi d’Italia e perfettamente conservatosi nonostante calamità naturali e avversità umane. Costruito attorno ad un centro di osservazione musulmano del IX secolo, fu la dimora di Matteo Bonello, barone sotto il regno di Guglielmo I il Malo, protagonista della congiura che porto alla cattura del re e alla successiva punizione del Bonello, reo di aver tramato alla vita e alla sicurezza del regno e condannato a morire nelle segrete del suo castello, sfigurato e in catene. Merli, sale delle armi, botole per invitati scomodi e sala araldica aspettano i passi dei pellegrini e dei camminatori che vorranno dar vita ancora una volta alla magia della storia.


4. Caccamo – Montemaggiore Belsito (LUNGHEZZA: 16,6 km – DISLIVELLO: IN SALITA 681 m IN DISCESA 638 m. DIFFICOLTÀ: media – FONDO: 30% Sterrato, 70% Asfalto.)

Montemaggiore



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Descrizione della tappa
Territorio di Caccamo
A pochi km dal borgo medievale incontriamo un casale di campagna che, come spesso avviene, punteggia il territorio con la sua mole. Questo contiene diversi locali adibiti a ricovero degli animali e una chiesetta, antico retaggio del monastero basiliano di San Nicola de Nemore. Ai piedi del monte Euraco, la storia della Chiesa colloca la vita e le opere di San Teoctisto Abate, uno dei molti monaci che il rito greco bizantino celebra con la Chiesa Cattolica nei primi giorni di gennaio. Sappiamo che visse operando carità e miracoli, che il suo cenobio rispettava la regola di Basilio ed era dedicato al Santo di Mira, Nicola con l’appellativo “dei boschi”, che le pareti della chiesa erano affrescate anche se adesso le tracce sono troppo labili. Si dice che la stessa sua sepoltura sia tra quelle mura ma ancora nessuno l’ha rintracciata. Di sicuro la sorgente del biviere rinfranca il corpo al viandante e il pensiero può perdersi tra le pietre della masseria.
Montemaggiore Belsito
Per descrivere questo centro agricolo madonita bisogna spostarsi poco fuori paese, a 1,5 km dal centro abitato dove ha sede il Santuario della Madonna degli Angeli, edificio di culto che poggia le sue basi su un più antico luogo di preghiera da cui, probabilmente, ebbe origine il centro montano. I documenti del XI sec. d.C. indicano la presenza di un monasteriolumaffidato ai monaci benedettini di Cluny, direttamente inviati dall’abate francese su spinta della famiglia reale Normanna. Dalla Borgogna, o meglio, dalla provenzale abbazia di Montmajour potrebbe giungere il gruppo di monaci che fa prima scalo in Calabria a Mileto e poi a Sciacca, sede della principale abbazia cluniacense in Sicilia, da cui Montemaggiore Belsito dipese. Oggi del luogo di culto resta solo una epigrafe in caratteri greci che testimonia il culto per l’Apostolo Giacomo, patrono dei pellegrini e indizio di preesistenze bizantine e alcuni muri inglobati nella fabbrica moderna della chiesa.
Il paese attuale ha un impianto ortogonale quasi perfetto, a causa delle frane e dei terremoti a cui ha dovuto far fronte negli ultimi tre secoli. Nonostante ciò la Chiesa del SS. Crocifisso e la Basilica Minore di Sant’Agata, edificate nel Seicento e risistemate a metà Ottocento, contengono particolari stucchi, tele dei più importanti artisti siciliani di scuola palermitana del periodo di edificazione. Pregevole è il Crocifisso ligneo a cui la città, insieme a Sant’Agata è devota: dispensatore di miracoli, salvo da malattia la baronessa Lucrezia Migliaccio che ex voto, costruì l’antica cappella. Preservare la memoria e conoscere sono il compito di ogni popolo che salvaguarda il passato per garantirsi un futuro consapevole: questo il compito del museo civico “Bellomo”che al suo interno ospita una collezione di comunità: attrezzi, giochi, utensili della tradizione contadina e cittadina, frammenti di vita che diventano storia, sapientemente organizzati e collocati nelle sale del museo comunale.


5. Montemaggiore Belsito – Caltavuturo (LUNGHEZZA: 19,3 km – DISLIVELLO: IN SALITA 1156 m. IN DISCESA 1042 m. DIFFICOLTÀ: impegnativo – FONDO: 62% Sterrato – 38% Asfalto.)

le Terme di Sclafani Bagni



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Descrizione della tappa
Sclafani Bagni.
Su un’onda di roccia dalle proprietà sulfuree che si eleva tra le creste delle Madonie, poggia uno dei paesi più piccoli di Sicilia, da sempre condizionato dalla presenza delle sorgenti termali a valle. Sclafani Bagni offre al pellegrino la possibilità di visitare in breve tempo un patrimonio di architettura militare -i ruderi del castello normanno– e religiosa, le chiese di San Giacomo, San Filippo, sedi delle più antiche confraternite, la chiesa madre dedicata a Santa Maria Assunta. Un impianto insediativo che si è sviluppato attorno al castello e il rapporto mai interrotto tra la salubrità dell’acqua e la fertilità dei campi circostanti, rende la sosta in paese un interessante esperimento antropologico che il pellegrino può sperimentare alla ricerca della vera accoglienza.
Una piccola deviazione dalla traccia, appena 450 m, permette al viandante che segue la Palermo-Messina per le Montagne di godere dello stesso incanto che meravigliò il pittore e incisore Maurits Escher. Incastonata tra le rocce di milioni di anni fa, Sclafani Bagni custodisce un antico stabilimento termale, costruito a metà dell’Ottocento e distrutto poco dopo da una frana, noto forse già agli antichi romani e sacro al dio della medicina Asclepio. Ciò che oggi attira l’attenzione dei pellegrini è la sorgente naturale di acqua calda, 35° ricchi di solfati e di proprietà rigeneranti, tipiche di questi tipi di acque sulfuree. Il bagno è libero e il panorama della campagna circostante vi garantisce una quinta scenografica che solo la Via delle Montagne sa regalare.
Caltavuturo.
Scovando tra le carte degli archivi palermitani, si scoprono due diplomi normanni che, descrivendo i confini della diocesi di Cefalù istituita da Ruggero II nel 1131, citano i territori di Caltavuturo e Sclafani. Siamo sul finire del 1131 e quasi cinquanta anni dopo sarà il pontefice Alessandro III a rinnovare i beni di questa diocesi dentro cui ricade la nostra rocca fortificata. Che il suo nome venga dall’arabo Qal’at Abī I-Twr, dal nome del condottiero che la conquistò o che sia una splendida unione dell’arabo Qal’ate del siculo Vuturuche dà origine alla rocca dell’avvoltoio, resta la magia nelle parole del geografo Edrisi che ne parla così:“forte castello e popolato, possiede campi da seminare veramente buoni”. La zona più interessante è la Terravecchia, primo insediamento di cui oggi rimangono i ruderi del castello normanno, la chiesa del Cuore di Gesù e la chiesa del SS. Salvatore o del Casale, del XII secolo da poco restaurata. Lungo la vallata della Terravecchia si possono ancora osservare i mannari, gli ovili in pietra a secco dove i contadini abitavano fino alla fine del 1500 durante lo spostamento verso il nuovo centro urbano. Agli albori del Seicento la nobiltà si sposta nel nuovo sito e si costruiscono la Chiesa Madre dedicata ai santi Pietro e Paolo e alla Madonna del Soccorso, con la statua in marmo della Madonna della Neve, la chiesa di Santa Maria la Nova, la “Badia”, capolavoro del Barocco siciliano e la chiesa del Gesù con annesso il convento dei Frati Minori Riformati e, attualmente, il locale Museo Civico.


6. Caltavuturo – Polizzi Generosa (LUNGHEZZA: 12,6 km – DISLIVELLO: IN SALITA 734mIN DISCESA 480 m. DIFFICOLTÀ: medio-impegnativa – FONDO: 77 % Sterrato – 23 % Asfalto.)

l'abitato di Polizzi



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Descrizione della tappa
Polizzi Generosa.
Florida cittadina del comprensorio madonita, è una delle tappe fondamentali della Via che percorreva la trazzera regia da Palermo a Messina, asse viario di importanza fondamentale per il controllo della produzione e distribuzione del grano lungo le valli adiacenti i corsi del fiume Imera. Tracce della presenza umana sono testimoniate da ritrovamenti sulla parte alta del colle che ospita il centro urbano, monete imeresi e tesoretti indigeni. Strategica per posizione, a controllo dei passi montani e collinari verso le alte Madonie e verso il mare, Polizzi era sede nel XII secolo di una importante Commenda dei Cavalieri Ospitalieri, poi conosciuti come Cavalieri di Malta: l’ospedale dava assistenza e conforto ai viaggiatori ed ai pellegrini. Speculare alla Commenda è la Chiesa teutonica della Santissima Trinità, magione dell’Ordine cavelleresco che si stabilì a Polizzi nel XIII secolo: sebbene inglobata da nuovi edifici e abbandonata a fine Ottocento alle mani dei privati, conserva dipinti e affreschi nell’abside che meritano restauri importanti. Dello stesso periodo la chiesa madre, Santa Maria Maggiore, voluta da Adelasia, nipote del gran conte Ruggero il Normanno e più volte rimaneggiata: al suo interno il trittico di Van der Weyden, ritenuto il più bel dipinto fiammingo di Sicilia. Della metà del ‘500 è la chiesa della Badia nuova, Santa Maria delle Grazie, edificata per la figlia badessa di una famiglia nobiliare locale che all’interno custodisce una preziosa custodia lignea del 1550. Perdersi tra i vicoli del centro storico di Polizzi Generosa comporta il piacevole rischio di poter visitare la chiesa di San Girolamo coll’annesso Collegio Gesuita: la pianta ottagonale della chiesa, il suo portale barocco e le decine di opere d’arte, marmorea e lignea, custodite al suo interno e la presenza del Civico Museo Archeologicoa poche decine di metri, valgono il cammino fin qui. Chiudono la serie architettonica da vedere i palazzi nobiliari che abbellivano le vie principali del paese: Palazzo Notarbartolo, oggi sede del Museo Ambientalistico Madonita, luogo unico per poter osservare gli habitat del complesso ecosistema montano e l’abies nebrodensis, l’abete delle Madonie –aperto su prenotazione, info@mam.it, tel. 380-47.54.377 Giovanni Macaluso- ; Palazzo Gagliardo, a lato della chiesa madre, con il caratteristico portale d’ingresso in stile manieristico, dove si dice abbia riposato l’Imperatore Carlo V durante il suo viaggio sulla trazzera Messina montagne; Palazzo Carpinello, sede della Reale Secrezia, l’ufficio che riscuoteva le imposte, famoso per le due meridiane ancora funzionanti. Poco fuori del centro abitato invece, l’eremo di San Gandolfo, ospita le spoglie sacre del Santo patrono di Polizzi ed accoglie viandanti, eremiti e pellegrini, lungo il loro passaggio.
La presenza della Commenda dei Cavalieri di Malta a Polizzi Generosa ci mostra come la storia si fonda con le vie di pellegrinaggio antiche. L’Ordine dei Cavalieri Ospitalieri, fondato a Gerusalemme nell’XI secolo dal Beato Gerardo de Saxo, il monaco che dirigeva l’hospitium del monastero benedettino di Santa Maria Latina di Gerusalemme, aveva promesso di assistere e curare i pellegrini di qualsiasi religione o nazione. A Polizzi Generosa, grazie all’opera di Ruggero de Aquila, signore di Polizzi e conte di Avellino, si istituì la Commenda come luogo di accoglienza e cura dei bisognosi e dei pellegrini che da Palermo raggiungevano Messina.
Sotto il governo normanno di Guglielmo II il Buono, la Sicilia ospitò i principali ordini cavallereschi del tempo, dai Teutonici ai Templari, dagli Ospedalieri ai cavalieri di San Giacomo d’Altopasso. La memoria di questa importante presenza è tramandata dalla bellissima costruzione che svetta sullo sperone della collina guardando l’abitato di Polizzi, la Generosa, come la definì Federico II nel 1234.


7. Polizzi Generosa – Petralia Sottana (LUNGHEZZA: 12 km – DISLIVELLO: IN SALITA 555 m, IN DISCESA 493 m. DIFFICOLTÀ: media – FONDO: 36 % Sterrato – 64 % Asfalto.)

Petralia Sottana



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Descrizione della tappa
Petralia Sottana.
“B.tralîah..nobile castello e superbo fortalizio, con campi da seminare continui e raccolti abbondanti dal suolo; ha una rocca e un mercato per nulla inferiore a quello delle maggiori città..” Così ne parla Idrisi nel suo racconto che seguiamo passo passo. I diplomi la citano dal 1082 come territorio della diocesi di Troina e poi di Messina: un unico comprensorio che vedeva un centro popoloso a controllo dei campi, un castello basso a difesa del contado e una rocca militare in alto che poi diventerà Petralia Soprana. Oggi il viandante che giunge in questo borgo, Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, può perdersi nelle viuzze del quartiere arabo della Pusterna o visitare la Chiesa Madre, edificata probabilmente nel IX sec e ricostruita in epoca normanna, di cui resta visibile il portale gotico-catalano o capitare la prima domenica dopo ferragosto per vedere il tradizionale ed unico ballo pantomima della Cordella, danza antica di ringraziamento per il raccolto, pantomima ritmica delle danze ancestrali e pagane che ancora oggi rievoca le fasi del lavoro nei campi. All’interno del centro storico dovete metaforicamente “perdervi”, tra le case in pietra sapientemente lavorate, fino ai portali delle chiese della SS.Trinità e dell’ex-convento domenicano adiacente, nel cui interno lo sfarzo e la ricchezza delle famiglie si concretizza nell’imponenza dell’altare maggiore opera del Gagini o della chiesa di S.Maria alla fontana, si pensa edificata sui resti della moschea araba, con a fianco la fonte che sgorga dalla roccia, tipica delle abluzioni rituali islamiche oppure osservare lo scorrere del tempo sulla meridiana della torre civica della chiesa della Misericordia. Ma è il territorio circostante ad essere ricco di particolarità, da vedere solo fermandosi in paese. I ponti medievali, ponte di pietra e ponte di San Brancato, che scavalcano torrenti madoniti che in estate consentono bagni refrigeranti; la grotta del Vecchiuzzo, patrimonio archeologico preistorico con reperti dal IV millennio a.C. con pitture e decori unici; il santuario della Madonna dell’Alto, a 1819 m s.l.m., il più alto luogo di culto mariano d’Europa il cui timbro per le credenziali viene apposto dal parroco in paese; la centrale idroelettrica del 1908, esempio di archeologia industriale visitabile; i ruderi dell’abbazia di San Michele Arcangelo, testimonianza della rinata presenza cristiana nel primo diploma normanno del re Ruggero II che la dona all’abate cluniacense di Cava a Salerno.


8. Petralia Sottana – Gangi (LUNGHEZZA: 15,5 km – DISLIVELLO: IN SALITA 755 m IN DISCESA 775 m DIFFICOLTÀ: medio-impegnativo – FONDO: 42 % Sterrato – 58 % Asfalto.)

un suggestivo panorama di Gangi



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Descrizione tappa
Petralia Soprana.
Fino al 1258 unita alla comunità di Sottana nei diplomi e negli atti ufficiali della corte normanna che nel 1067 la infeuda a Serlone d’Altavilla, Petralia superiorè un piccolo scrigno tra le cime madonite. Il comune più alto del comprensorio conserva al suo interno molte testimonianze architettoniche di pregio e offre la possibilità di osservare un territorio eclettico che raccoglie 32 borgate andatesi consolidando nei secoli. Alla fase normanna appartengono la chiesa madre dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, più volte riedificata e rimaneggiata con ampliamenti che vedono all’esterno il portico esterno e il campanile solo nel ‘700 e all’interno la tela della Madonna dell’Udienza del Gagini e il primo crocifisso ligneo di Fra Umile da Pietralia, noto scultore e intagliatore. Coeva anche la chiesa di San Teodoro, citata nei documenti normanni, col suo campanile a pianta quadrata, probabile torre d’osservazione e la chiesa di SS.Salvatore, edificata ove probabilmente sorgeva la moschea islamica. Sui ruderi del castello costruito da Ruggero oggi il viandante può visitare la chiesa di S.Maria di Loreto, all’estremità sud del paese, coi suoi due campanili con cuspidi policrome. Interessante e curioso, per chi vuole visitare il circondario, il MACS – Museo Arte Contemporanea SottoSale che all’interno delle miniere di salgemma ospita una galleria di sculture realizzate con il prezioso materiale.
Gangi.
Porta delle Madonie ad oriente, affaccio prospettico sull’Etna che innevata riempie lo spazio prospettico del paesaggio, il borgo più bello d’Italia nel 2014 ammanta di mistero la sua storia e le sue origini. Molti pensano sia stata l’antica Engyon, fondata da mano cretese e divenuta potente alleandosi coi Siculi e caduta in disgrazia durante la I Guerra Punica. Non sapremo mai se le armi di Ulisse e i cimieri cretesi furono custoditi nel vecchio sito di Gangivecchio che ospitò il borgo fino alla distruzione del 1299 per mano di Federico III d’Aragona durante i tumulti del Vespro, ma il centro madonita rappresentava, insieme al suo monastero benedettino, il cuore nevralgico della Sicilia centro-occidentale, crocevia delle trazzere più importanti, ad un passo dall’Etna e dalla capitale del regno. Il velo del mistero porta i colori dell’Inquisizione spagnola che sferrò i suoi crudeli attacchi anche qui e quelli delle riunioni dell’Accademia degli Industriosi di Gangi, circolo massonico che reclutava adepti tra le famiglie nobili per la propaganda del pensiero libero e degli ideali giansenisti. Dello splendore dei secoli moderni e della loro nobiltà restano le molte chiese arroccate sul sito che ormai da secoli ospita il borgo di Gangi, monte Marone, dove le casette basse in pietra si incastrano perfette coi prospetti delle chiese rinascimentali e barocche, S. Nicolò chiesa madre, S.Maria del Gesù, la chiesa di San Paolo dei ricchi. A memoria del potere feudale invece rimangono i ruderi del castello dei Ventimiglia, famiglia che tenne il potere dalla metà del XIV secolo a Gangi: la torre Ventimiglia ormai trasformata in torre civica addossata alla chiesa madre e munita di campane e la torre cilindrica di matrice medievale che sorge ai piedi del monte. Sempre sulla valle, il viandante incontra prima della salita il Santuario dello Spirito Santo edificato nel XVI sec. attorno alla primitiva cappella sorta dopo il ritrovamento miracoloso di un dipinto su un masso raffigurante un Cristo Pantocratore di scuola bizantina, ad opera di un sordomuto che, appena scopertolo, riuscì a gridare al popolo tutto il suo stupore. Il lunedì dopo la Pentecoste, tutti gli anni, le 12 confraternite di Gangi, portano a spalla i santi protettori che, riunitisi sul piazzale del santuario, omaggiano lo Spirito Santo con la tradizionale cursa di li Santi, la corsa dei fercoli trasportati a spalla dai confrati che rendono grazia al soffio salvifico dello Spirito.
La via dei frati. Incroci di passi e di reti in Sicilia
Terra di conventi francescani, terra di contadini che sotto il sole e la pioggia consumano le loro giornate a faticare nei campi. Terra di monaci di cerca, frati mendicanti che in cambio di qualche preghiera e immagine sacra offrono lavoro e aiuto, raccolgono olive e grano e sollevano con le loro preghiere, il peso della terra. La Via dei Frati nasce da questa memoria storica e recupera le vie di pellegrinaggio che i frati percorrevano, partendo da Caltanissetta, terra dell’Arcangelo Michele, e giungendo a Cefalù. Lungo trazzere e sentieri, provinciali e viuzze, il lavoro di recupero di questa memoria incrocia la Palermo-Messina per le Montagne in questa tappa che condivide sovrapponendosi. Convinti che la rete funzioni sempre meglio dei singoli fili, il viandante può incontrare Santo Mazzarisi e gli amici di questo cammino spirituale che di mese in mese è sempre più popolare. Per info. viadeifrati@gmail.com, tel. 328-46.87.434, http://laviadeifrati.wordpress.com.


9. Gangi-Nicosia (LUNGHEZZA: 22,6 km – DISLIVELLO: IN SALITA 783 m IN DISCESA 998 m DIFFICOLTÀ: impegnativo – FONDO: 65 % Sterrato – 35 % Asfalto.)

l'abitato di Nicosia



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Descrizione della tappa
Sperlinga.
“Quod Siculis placuit, solo Sperlinga negavit”. Questa iscrizione ancora fa bella mostra di sé al castello rupestre di uno dei borghi più belli d’Italia. Sorto in epoca normanna su un blocco di roccia arenaria monolitico, scavato al suo interno da grotte e tombe sin dal IV millennio a.C., questo castello e il piccolo borgo circostante permette di fare un salto nel Medioevo normanno, tra geografi di corte che definiscono Isb.rl.nkahun «grosso casale colmo di ogni ben di Dio, tra campi e colture pregiate» e fiere guarnigioni angioine che per mesi e mesi resistono stoicamente all’assedio aragonese, regalando leggende e storie su tutto il territorio. I diplomi più antichi, 1082, la inseriscono tra le terre della chiesa di Troina e sarà Adelaide del Vasto, regina reggente venuta dal Piemonte a regalare quella parlata antica e magica che è il gallo-italico.
Nicosia.
Una rocca, più di 80 chiese, due basiliche minori che per secoli hanno rivaleggiato sul primato etnico, bizantini contro latini, e poi religioso, rito greco o rito latino. Nicosia è la Terra di Nicola dal greco bizantino, la Luminosa, secondo altre versioni. Di sicuro oggi veniamo affascinati dalla sapiente mescolanza di influenze artistiche: l’araba Niqsin città fortificata, la normanna Nicosinuum del diploma del 1082, la lombarda Nicosia, che nel suo dialetto antico e raro si riconosce e si identifica. Carlo V d’Asburgo, nel tornare a Messina nel 1535, si fermò e si sedette sullo scranno ligneo oggi conservato a Santa Maria Maggiore e solo nel 1940 la cattedrale di San Nicolò divenne monumento nazionale, da poco libera dai restauri al portale e al portico laterale istoriato. Raccogliete le forze per visitare San Nicolò il Petit, la più antica delle chiese della città e San Michele Arcangelo col suo antico monastero basiliano. Meritano anche la chiesa di san Benedetto, antico ospedale per viandanti e poveri, sede del Priorato di S. Maria del Soccorso e il convento francescano cappuccino di Santa Maria degli Angeli, che vide San Felice compiere i suoi passi da questuante e santo prodigioso e che oggi è punto di partenza per una esperienza di trekking spirituale che è il cammino di San Felice(info. Fra Salvatore Seminara, tel. 328-06.14.051)


10. Nicosia - Troina (LUNGHEZZA: 22,2 km – DISLIVELLO: IN SALITA 968 m IN DISCESA 612 m DIFFICOLTÀ: impegnativo – FONDO: 35% Sterrato – 66% Asfalto.)

il ponte vecchio di Cerami o Ponte di Cicerone



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Descrizione della tappa
Territorio di Cerami.
Lungo la trazzera regia che porta a Troina, il ponte vecchio di Cerami, conosciuto anche come ponte di Cicerone, dalla presunta annotazione del retore latino, segna un punto di giunzione importante nel territorio. Arcata unica a sesto acuto, sebbene spesso porti a pensare ad una fondazione antica, la sua tecnica rimanda al periodo normanno, dove sapienti manifatture intessevano conoscenza e tecnica per l’opera di controllo e cristianizzazione delle corti normanne. A 4,5 km in direzione nord, lungo una trazzera in parte adesso asfaltata, si giunge a Cerami, storica location della battaglia dove il Gran Conte Ruggero sconfisse gli eserciti musulmani e si guadagnò il controllo della viabilità verso Palermo.
Troina.
I più antichi diplomi che citano Troina, riguardano le istituzioni dei monasteri basiliani nel territorio, oasi di preghiera e di controllo, forma di potere temporale e spirituale: san Basilio, san Mercurio, san Michele Arcangelo ancora visibile, sant’Elia di Ambula. La prima capitale normanna e la prima diocesi di Sicilia dalla conquista cristiana, ancora oggi accoglie il viandante dalla sommità dei suoi quattro colli, quota 1121 s.l.m. Un castello che occupa tutta la parte alta, munito di torri e porte sovrasta dall’alto il quartiere arabo, lo Sclaforio. Secondo la leggenda venne conquistato con uno stratagemma degno di Ulisse a Troia: si dice che il Conte normanno ordinò che alle corna delle capre si legassero delle lanterne e che le si facesse salire sul versante sud, mentre lui con il grosso dei soldati attaccava da nord. La confusione creata, la complicità degli abitanti e i trucchi di una vecchia del posto permisero a Ruggero di entrare in città. Oggi Troina si mostra avvolta dal mistero e ogni anno tra fine maggio e giugno folle di devoti a piedi e a cavallo si recano per la processione misterica dei ramara, un omaggio votivo a San Silvestro, monaco locale, che solo gli uomini del paese possono compiere andando di notte, insieme, tra i boschi per toccare e cogliere l’alloro sacro. Non si può rinunciare a visitare quindi la chiesa
di San Silvestro dove riposano le spoglie del santo, né la chiesetta della Madonna della Catena, edificata sul luogo del pantheon romano, la chiesa dedicata a Santa Maria Assunta, prima cattedrale normanna di rito latino di Sicilia costruita nel 1065 per volere del Conte o il convento di Sant’Agostino alle pendici del centro storico. Ricca di musei civici e scorci paesaggistici, Troina si conferma oasi lungo il cammino per eserciti e per genti, per le armate bizantine di Giorgio Maniace nel 1040, come per la VII Armata statunitense che nell’estate del ’43, per 6 giorni, mise a ferro e fuoco questi luoghi, immortalata dagli scatti famosi di Robert Capa.



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Gio 15 Dic 2022 - 15:40
11. Troina – Cesarò (LUNGHEZZA: 20 km – DISLIVELLO: SALITA 570 m DISCESA 519 m DIFFICOLTÀ: medio-impegnativo – FONDO: 82 % Sterrato 18% Asfalto.)

suggestiva veduta di Cesarò



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Descrizione della tappa
Territorio di Troina.
Scesi dalla rocca di Troina, è una mirabolante architettura del periodo normanno a permetterci di attraversare, a valle, l’omonimo fiume e continuare il nostro percorso: il ponte Failla detto anche ponte grande, “schiena d’asino”, lungo 54 piedi e largo 8, permette ancora oggi di attraversare le sponde del fiume che un tempo conduceva ai castelli di Torremuzza e di Bolo.
Cesarò.
Una piccola comunità dei Nebrodi centrali, pastori e contadini che nel corso del tempo sono stati sempre dediti alla terra e che hanno saputo rendere onore al loro santo patrono, San Calogero abbate. Un legame forte lega questo borgo, arroccato sui monti, al vicino monastero di San Filippo di Fragalà da cui, nel periodo normanno, le terre dipendevano. E nel monastero erano custodite le spoglie mortali del santo di Sciacca, nascosto alle ire musulmano nel IX secolo. Oggi se il viandante visita la chiesa di San Calogero a fine giugno e a fine agosto, trova un paese in festa che celebra nelle sue tradizioni, i culti antichi della benevolenza: a pisata dei primogeniti, le cui famiglie offrivano alla chiesa il corrispettivo del peso in grano e frumento; la questua con tanto di banda musicale e la celebre corsa di carusi, i ragazzi cesarei che tirano di corsa il fercolo del santo con le reliquie concesse dal Monastero agli operosi abitanti secoli orsono. Ma se non arrivate nei giorni di festa, la visita al castello Colonna, costruito sulla rupe Giannina e raggiungibile con una scala in pietra viva, può valere il percorso. Anche palazzo Zito, residenza nobiliare del XVII sec., merita una visita: affreschi a tema mitologico e scene di vita quotidiana con stucchi pregiati, una collezione faunistica e il museo etnografico, possono essere visitati agevolmente mentre il paese viene vegliato dalla cima del colle Pizzipiturro dalla statua del Cristo Signore della Montagna.


12. Cesarò – Randazzo (LUNGHEZZA: 25 km – DISLIVELLO: SALITA 476 m DISCESA 850 m DIFFICOLTÀ: molto impegnativo – FONDO: 37 % Sterrato 63 % Asfalto.)

Randazzo



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Descrizione della tappa
Maniace.
Quando nel 1039 Giorgio Maniace guidò l’esercito bizantino alla vittoria contro i musulmani, lo scontro avvenne presso Gîran ‘ad Daqîq –le grotte della farina-, odierna Maniace. Il fiume fu chiamato Saracena e il generale, ringraziando per la vittoria, fece costruire una cappella cui donò un’icona mariana dipinta dall’evangelista San Luca. Nel 1169 un terremoto distrusse la Sicilia orientale e pochi anni dopo, per volere di Guglielmo II e di Margherita, sua madre,la cappella venne ricostruita come imponente abbazia, chiamata Santa Maria di Maniace. Dell’abbazia oggi restano la cappella e il portale gotico immersi nel verde inglese del castello di Nelson, l’ammiraglio inglese cui il feudo venne donato nel 1799 da Ferdinando di Borbone.
Randazzo.
Punto di incrocio con la Francigena Fabaria proveniente da Gela, è la città la più vicina al cratere centrale del vulcano, 15 km ed è bagnata dal fiume Alcantara,ponte in arabo.
Ruggero vi pernotta mentre percorre la via verso Taormina, dormendo nel convento di S. Giorgio; Idrisi la chiama ar r.ndag, e la descrive ricca di mercanzie e legname.
Una volta fortificata, presso il castello Svevo pernotteranno tutti i regnanti siciliani, da Federico II ai reali Aragonesi. Del palazzo reale normanno, rimane solo la facciata.
Da non perdere le tre chiese principali, costruite con giochi policromi di bianco e pietra lavica: San Nicola, nel quartiere greco, Santa Maria Assunta, nel quartiere latino e San Martino, nel quartiere lombardo.
Meritano una visita la chiesa di Santa Maria della Volta, la vicina via degli archi e la statua di Randazzo Vecchio, emblema della città; porta San Martino, con lo stemma di Pietro d’Aragona, porta Pugliese, che guarda il fiume e porta Aragonese, nei pressi del convento di San Giorgio. Nel castello oggi ha sede il museo archeologico Vagliasindi, tra i più importanti della zona.


13. Randazzo – Floresta (LUNGHEZZA: 18 km – DISLIVELLO: SALITA 875 m DISCESA 364 m DIFFICOLTÀ: medio – FONDO: 67 % Sterrato 33 % Asfalto.)

uno boschi nei pressi di Floresta



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Descrizione della tappa
Floresta.
La vita di questo centro è sempre stata legata al bosco, la floresta, dalla quale i romani traevano il legname per le flotte che solcavano il Mediterraneo.
Una volta sfaldatosi il controllo dell’Impero, gli schiavi e i detenuti rimasero in queste contrade e popolarono il borgo più alto di Sicilia(1275m/slm), divenuto marchesato feudale nel 1619 e comune dal 1820. A fine luglio, la comunità, che oggi conta circa 600 abitanti ed è famosa per i prodotto caseari di elevata qualità, si raccoglie attorno alla chiesa di Sant’Anna, per festeggiare la santa: il fercolo è trainato a spalla, si svolge la fiera del bestiame e viene innalzato l’albero della cuccagna, un palo di pioppo chiamato a ‘ntinna.


14. Floresta – Montalbano Elicona (LUNGHEZZA: 18,3 km – DISLIVELLO: IN SALITA 648 m IN DISCESA 1020 m DIFFICOLTÀ: impegnativo – FONDO: 80% Sterrato – 20% Asfalto.)

veduta di Montalbano Elicona



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Descrizione della tappa
Montalbano Elicona.
Sorge a quota 920 m s.l.m. sulle cime spesso innevate dei Nebrodi centrali e dagli spiazzi delle sue chiese riesci a vedere le isole Eolie tanto nitide che sembra toccarle. Il pianoro dove oggi svettano i merli del castello svevo-aragonese(lun-dom 9.00-13.00 / 15.00-19.30, intero €3), le sue torri e le molte sale d’armi era occupate dagli edifici sacri e pubblici dell’insediamento romano, probabilmente fortificato. Ma è col periodo normanno che Montalbano comincia a rispendere, dotandosi di mercati tanto che nel 1153 Idrisi la descrive così: “…la rocca, posta in mezzo ad alte montagne, è aspra assai a salirvi e a scenderne. Non ha pari per abbondanza del bestiame, del miele e di ogni altro prodotto agrario…”. Diviene un caposaldo della viabilità a controllo dei valichi sul Tirreno e il pianoro dell’Argimusco vede gli eserciti dirigersi verso Randazzo attraverso il corso del Flascio. Con gli Aragonesi è domus solaciorum, luogo di riposo e caccia per i reali che passano qui l’estate, tra le potenti mura del castello e la cappella palatina della S.S. Trinità che si trova dentro le mura. Si edifica la chiesa, oggi basilica, di Santa Maria Assunta e San Nicolò, la più grande, la più antica innalzata col titolo a San Pietro e Paolo e coeve, quelle di San Michele, oggi semidistrutta dal terremoto del 1978. Di poco posteriori le chiese di Santa Caterina e dello Spirito Santo, metà del XIV secolo, le cui piante hanno la forma del Tau e, narra la leggenda, sono costruite laddove erano prima i templi pagani. Terra mistica, di alchimisti e monoliti scolpiti dalla natura e dalla mano dell’uomo, dove scorre l’Elicona, sacro alle muse e dove le acque hanno poteri curativi, come la fonte Tirone per Federico III, che ancora oggi sgorga a poche centinaia di metri dalla porta urbica. Delle quattro che si ricordano, possiamo osservare la porta di terra ad est, per il transito delle merci sottoposte a dazio e la porta Gian Guarino a ovest da cui accediamo al quartiere medievale, oggi recuperato a fini turistici riportando agibili le casette del borgo.
Piccole curiosità.
Arnaldo da Villanova: un alchimista a corte. Verso la metà del XIII sec. vicino Valencia, nasce e si forma una delle figure di spicco della cultura e della medicina medievale, Arnaldo o Arnau da Villanova, sapiente scrittore, fine erudito, medico e docente nelle università di tutta Europa. Diventa presto medico di corte e consigliere dei re d’Aragona e prima con Pietro e poi con Giacomo II, si conquista la sua posizione a corte. Appartiene al Terz’ordine francescano, vive in semplicità, non ha casa né moglie, gira a dorso d’asino e conosce i segreti dell’alchimia e della negromanzia cosa che lo rende inviso all’Inquisizione che lo attaccherà sempre fino a requisire e bruciare i suoi testi a qualche anno dalla morte. Il castello di Montalbano, residenza estiva del re Federico III, fratello di Giacomo e suo rivale per il regno di Sicilia, diventa così il fulcro di un sapere e di uno studio che effonde quell’alone di mistero sulla vita del medico catalano. I suoi resti vengono scoperti nel 1969, durante gli scavi per la ristrutturazione del castello in una umile cassa lapidea con un’iscrizione che i restauri del 2015 hanno riportato in luce. Chi abbia traslato il suo corpo da Genova alle cime dei Nebrodi però rimarrà ancora per molto un mistero.


15. Montalbano Elicona – Novara di Sicilia (LUNGHEZZA: 23,4 km – DISLIVELLO: SALITA 814 m DISCESA 1107 m DIFFICOLTÀ: impegnativo – FONDO: 59 % Sterrato 41 % Asfalto.)

Novara di Sicilia



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Descrizione della tappa
Novara di Sicilia.
Viene denominato “il paese della pietra” per la sapiente arte della lavorazione e dell’intaglio lapideo con cui sono state costruite le decorazioni dei palazzi nobiliari, le strade principali e le stesse case del popolo. Tra i suoi boschi corre lo spartiacque tra i Nebrodi sacri a Diana e i Peloritani, consacrati a Zeus e lungo i tanti canali delle fiumare, all’ombra dei 1340 m di Rocca Salvatesta, il Cervino d’Italia, si adagia Novara di Sicilia. La abitarono i Siculi chiamandola come il frumento, Noà; per i Romani era Novalia, il campo di grano; i dominatori musulmani la chiamarono Nouah, il giardino. Saranno però i Normanni a renderla importante, denominandola nei diplomi notarili Nucariao Noarae insediando una colonia di genti lombarde, piemontesi delle Langhe e del Monferrato che ancora oggi tornano nel dialetto gallo-italico degli abitanti di Novara. Nel 1171, per volere reale di Guglielmo II, viene fondata l’abbazia di Santa Maria Nucaria, secondo la regola cistercense, forse la prima abbazia siciliana dell’ordine dei benedettini bianchi, a 3 km dal centro attuale a Badiavecchia. Ancora oggi il sobborgo è visitabile e porta la testimonianza di Sant’Ugo, abate spagnolo inviato a fondare il centro monastico. I normanni fortificano le difese e potenziano il castello su una rupe a strapiombo di cui oggi restano i ruderi che osservano la città. Nel XIII sec. passa al generale aragonese Ruggiero di Lauria e sul finire del 1300, il castrum nucariae, torna demaniale nelle mani della corona. L’impianto medievale collega il castello alla zona del duomo, dedicato a Maria SS. Assunta, con le navate divise dalle colonne monolitiche e lo sfoggio dei marmi policromi intarsiati di smalti e pietre preziosa. Coeva è la chiesa di San Francesco, la più antica e piccola del borgo col tetto in arte povera, mentre sono di poco posteriori le chiese diSant’Antonio Abate,dal portale in stile normanno e dalla torre campanaria a guglie, e di San Giorgio, ora un auditorium ma conserva la facciata elaborata. Merita una visita l’abbazia di Sant’Ugo, dove sono le reliquie del santo e la giara di Sant’Ugo, un vaso arabo abbellito dai caratteri cufici. Che il viandante però non perda l’occasione di degustare le produzioni locali più caratteristiche come il maiorchino, il formaggio di latte di pecora locale attestato sin dal ‘600 dal sapore piccante e deciso che, oltre essere mangiato, viene lanciato il martedì grasso dai contadini più arditi che si cimentano nel gioco del lancio, dove una forma di 10 kg deve percorrere circa 2 km all’interno delle vie del paese, lanciata e guidata da una squadra di lanciatori. Ricchissima anche la produzione di nocciole e noci dai boschi che circondano Novara e che servono spesso negli impasti di dolci dai nomi caratteristici come il risu niuru o i diti d’Apostulu, tutti da scoprire e degustare.


16. Novara di Sicilia – Castroreale (LUNGHEZZA: 22,2 km – DISLIVELLO: IN SALITA 618 m IN DISCESA 864 m DIFFICOLTÀ: medio-impegnativo – FONDO: 54 % Sterrato – 46 % Asfalto.)

la Torre Federiciana a Castroreale



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Descrizione della tappa
Mazzarrà S. Andrea.
Il piccolo abitato è posto alla confluenza di due torrenti, il Mazzarrà a sinistra e il Brandino a destra, che ne delimitano lo spazio e ne hanno sempre garantito la ricchezza dei campi e degli agrumeti. Innestati dalla sapienza araba, le piante da frutto, ieri come oggi, rendono il territorio famoso per le varietà ricavate. La leggenda parla di un emiro di nome Mazarak che qui si insediò per poter meglio controllare le roccaforti collinari di Tripi, Novara e Montalbano e la via di comunicazione -tutt’ora chiamata dromo come in greco- che collegava Messina a Palermo. Non a caso nel raggio di 3 km sorge la villa romana in c.da S.Biagio, lungo la consolare Valeria e il fondaco medievale di Vigliatore, antico Vigilatore, chiaro toponimo di controllo. Più probabilmente il casale-menzildi Arrak, diventò nel corso del tempo Mazarrak, da cui il nome attuale che vede in aggiunta il toponimo S.Andrea, dato dai monaci che qui si insediarono nel X secolo. Da vedere nel cammino la chiesa di San Giorgio e la chiesa madre della Madonna delle Grazie e da non trascurare i manufatti realizzati con i canestri di giunco, arte antica di cui i mazzarroti vanno molto fieri.
Rodì-Milici.
Adagiato sul fianco sinistro del torrente Patrì, l’abitato di Rodì-Milici porta in sé l’aggregato di due frazioni, Rodì più a valle e Milici a 3 km di distanza verso i monti. Nel periodo romano il sito era conosciuto col nome di Solaria, dal nome dell’imposta sui terreni a seminativo, vectigal solarium, tale era la feracità del suolo e la ricchezza dei suoi raccolti. Allontanandosi dalla traccia, in direzione Milici, troviamo due tra i siti archeologici più importanti della Sicilia orientale: la città di Longane, con rispettiva necropoli, scoperta negli anni ’50 del secolo scorso sul monte Gonia, con tombe del XV sec. a.C. e la necropoli di Mustaca, rinvenuta nel 1914 durante il dissodamento di terreni agricoli e contenente tombe del periodo greco. Le monete d’argento e un caduceo di bronzo del V sec. a.C. sono la prova dell’esistenza di questo centro indigeno ellenizzato e oggi fanno bella mostra al British Museum di Londra. Al passaggio dei cavalieri dell’Ordine Gerosolimitano o di Malta e al periodo federiciano è legato sia il nome dell’abitato, che ricorda il loro insediamento testimoniato dalla Magione sita nell’abitato di Milici e concessa dall’imperatore svevo sia la presenza dell’arco del poeta, un’opera architettonica che, secondo la tradizione, testimonia la presenza di una sezione della Scuola Poetica Siciliana nel XIII sec. Proseguendo invece lungo il percorso, incontriamo la cupola rosata, il rudere della chiesa di San Bartolomeo riportato alla luce dagli scavi del 1989 che liberarono i detriti e il fango dell’alluvione della fine del ‘500 che distrusse il centro di Rhodis-Solaria, costringendo allo spostamento più a monte del villaggio.
Castroreale.
Federico III d’Aragona, pronipote dello Stupor Mundi, ebbe da fare molta strada prima di convincere il mondo politico europeo che avesse tutte le carte in regola per diventare “re di Sicilia”. Combatté col fratello Giacomo che aveva, per interesse, tradito i siciliani, si scontrò con i baroni a lui avversi, dovette riprendere a combattere la lunga guerra del Vespro con gli Angioini e non smise mai di avere la Sicilia come unico obiettivo da salvaguardare. In mezzo a tutti questi intrighi, a papi corrotti come Bonifacio VIII e ad eserciti sempre in movimento, i singoli centri della Sicilia erano di volta in volta tenuti a scegliere da quale parte schierarsi ed il casale di Crizzina, originale nucleo abitativo del nostro borgo, decise di parteggiare per il giovane re di Sicilia. “La fedelissima” fu chiamata dallo stesso Federico III che la nominò città demaniale, la esentò dalle tasse e dalle gabelle e, spostatosi sull’altura soprastante, ne fece potenziare le mura e costruì i sistemi difensivi del castello. Oggi resta da vedere una torre con annessa cisterna, trasformata nel Novecento in ostello della gioventù e tratti delle mura urbiche con la porta Ranieri che permetteva l’ingresso da nord che possiamo vedere nel suo rifacimento di metà Ottocento. All’interno delle mura, la comunità cristiana conviveva perfettamente sia col rito latino, ormai preponderante, sia con quello greco. I documenti ci parlano anche di una grossa Giudecca, una comunità ebraica che si occupava proficuamente del commercio, almeno fino alla cacciata del 1492: probabile l’individuazione della ex sinagoga nella chiesa di Santa Maria degli Angeliche oggi ospita un pregevole trittico di scuola fiamminga. La chiesa di Santa Marina, di impianto normanno-svevo, sapiente mix odierno tra romanico e barocco, nasconde invece al suo interno i resti delle fortificazioni di età aragonese come la famosa chiesa della Candelora, probabile cappella regale del castello federiciano, con portale e cupola in stile arabeggiante e l’altare maggiore ligneo indorato d’oro zecchino, esaltazione del barocco. Ma è il duomo di Santa Maria Assunta ad essere il fulcro architettonico di questo borgo peloritano: si dice edificato sopra la precedente chiesa di Gesù e Maria, ha visto moltissimi rifacimenti dovuti ai numerosi eventi sismici che hanno condizionato l’ultimo millennio. Ricostruito su modello della Cattedrale di Messina è ricco di gioielli lignei e lapidei che permettono al viandante un percorso nei secoli dell’arte e della bellezza. Centro culturale sempre in fermento, nel 1749 vede la nascita della locale Accademia dei Pellegrini Affaticati, un circolo illuminista, un salotto di letteratura e politica per giovani menti e che oggi fa sorridere i pellegrini che, zaino in spalla, giungono in uni dei borghi più belli d’Italia.


17. Castroreale – S.Lucia del Mela (LUNGHEZZA: 12,6 km – DISLIVELLO: SALITA 506 m DISCESA 575 m – DIFFICOLTÀ: media – FONDO: 85 % Sterrato 15 % Asfalto.)

Santa Lucia del Mela



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Descrizione della tappa
Territorio di Barcellona.
A poche centinaia di metri dal greto del torrente Longano che ormai, ridotto a fiumara, scende verso Barcellona Pozzo di Gotto, unione dei casali sul cui terreno i Goti si erano asserragliati secoli orsono, sorge la grotta di Santa Venera .che dà il nome alla contrada. La leggenda narra di una fanciulla, Venera di Gala, che si rifugiò nella grotta e che lì trovo il martirio nel X sec. Sopra lo speco sorge adesso una cappella a cupola ottagonale dove i monaci basiliani fino al XVII sec. celebravano la messa con rito greco-bizantino e veneravano la statua della santa, ora in restauro. I nobili del posto erano soliti offrire un banchetto la notte del 25 luglio, giorno della santa e di San Giacomo Maggiore e accorreva grande folla. Oggi il piccolo tempio è luogo di preghiera per chi cammina verso le terre di Santa Lucia.
Santa Lucia del Mela.
Il suo colle fu fortificato sin dall’epoca romana con un castrum che mantenne la sua funzione anche durante la dominazione bizantina e quella musulmana che dal 837 occupò il sito. Al tempo Santa Lucia de Plano Milacii era chiamata Mankarru, colle e abitato con lo stesso nome, sito fortificato tra la piana fertilissima che guarda la penisola milazzese e le colline peloritane. Ancora oggi una via Lavacro dei Saraceni mostra quale fosse il rabato musulmano, l’agglomerato stretto di case in pietra addossate una all’altra, con spazi precisi per i lavaggi rituali delle donne e degli uomini. Tanto importante e ricco era il sito da ospitare una giudecca fiorente poi sgomberata nel 1492. Ruggero in un diploma del 1094 cita la chiesa di Santa Lucia oggi concattedrale vescovile che al prospetto normanno ha necessariamente aggiunto molte ristrutturazioni nel XV e nel XVII sec. Sarà con Federico II di Svevia che il sito assumerà l’importanza futura: lo stupor mundi annovera il suo castello tra i siti di ozio e caccia e la nomina Prelatura nullius, dipendente solo dalla Santa Sede, il cui prelato nel 1249 diventa beneficiario della Cappellania Regia di Santa Lucia. Da questi stanze Federico progettò la “crociata maledetta”, la quinta che si risolse con l’occupazione di Damietta e la sconfitta crociata e poi la sesta a cui lo stesso Imperatore partecipò. Dice la leggenda che nelle prigioni del castello venne rinchiuso Pier delle Vigne, primo notaio del regno e fiore della Scuola Poetica Siciliana. Durante il regno aragonese è Federico III, pronipote dello Svevo ad ampliare palazzi e chiese e fortificare il castello che nel 1535 ospiterà anche Carlo V di strada verso Messina. Oggi molte chiese meritano lo sguardo attento del viandante: i ruderi di San Michele con l’annesso hospitale; San Nicola, edificata sui resti della moschea musulmana, ad una navata con un pregevole soffitto ligneo; l’Annunziata, del XV sec. la cui navata centrale è divisa da 12 colonne probabilmente recuperate dal locale tempio di Diana Facellina, con un pregevole campanile merlato alla guelfa e alla ghibellina. Ma indubbiamente la più pregevole e importante è la Concattedrale di Santa Maria Assunta: dell’originale impianto normanno del 1094, realizzato come ex votodi Ruggero I per la vittoria sugli Arabi, rimane poco essendo la chiesa rimaneggiata più volte nel corso dei secoli, a causa dei numerosi eventi sismici che la cittadina peloritana ha subito. Piccola curiosità: la Cattedrale fu ristrutturata ribaltando il lato dell’ingresso che da oriente passò a settentrione con una rotazione di 90°.
La via Francigena lungo la Piana di Milazzo: la prima attestazione.
Lo studio della viabilità storica della Sicilia si basa su un’attenta disamina dei documenti antichi, per lo più normanni e svevi, giunti a noi attraverso le raccolte che gli eruditi dei secoli passati compilavano per le principali cattedrali e abbazie di Sicilia. Scritti in greco, arabo e latino -le tre lingue di corte-, conservano una mole di piccole informazioni che permettono di ricostruire una geografia dei luoghi e delle persone che ivi abitavano, molto precisa nonostante siano passati quasi mille anni dalla loro redazione. La più antica testimonianza riportante una viam francigenamè contenuta in un atto di donazione del 1089 in greco che noi possiamo leggere nella sua copia in latino trascritta poco più di un secolo dopo, aprile 1198 dalla segreteria dell’imperatrice Costanza. Il diploma riporta la donazione del nobile normanno Goffredo Borrello che elargisce alcune terre nel territorio di Milazzo alla chiesa di Messina ed elenca, secondo l’uso notarile, i confini della donazione stessa perché si potesse con chiarezza delimitare il territorio: “…quindi [..il confine]si tiene stretto lungo le strade fino ad una via Francigena –ad aliam francigenam-, che arriva fino al mare davanti al villaggio di Milazzo; quindi [..il confine]ritorna lungo la stessa via Francigena -per eandem viam Francigenam– fino al mare di fronte a San Giovanni”. Che l’aggettivo indichi una specifica annotazione politica, chi controlla la via, o abbia un taglio più “pellegrino”, intendendo la via come percorso di peregrinazione, poco importa. Ciò che sappiamo è che questi nuovi dominatori rendono operativo un sistema viario esistente ma mal connesso e lo rivestono di senso, in attesa che i moderni viandanti lo ripercorrano.


18. S.Lucia del Mela – Rometta (LUNGHEZZA: 25 km – DISLIVELLO: SALITA 1296 m DISCESA 1065 m DIFFICOLTÀ: impegnativo – FONDO: 64 % Sterrato 36 % Asfalto.)

il Castello di Rometta



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Descrizione della tappa
Gualtieri Sicaminò.
Tra le valli dell’entroterra della piana di Milazzo, questo piccolo borgo di 2000 abitanti porta il nome composto del milite a cui nel 1125 venne dato il casale, Gualtiero Gavarretta e degli alberi di gelsi, in greco sicaminos, che abbondano lungo le rive del torrente e da cui si ricavava la preziosa stoffa. Composito di due frazioni, la più antica è quella di Soccorso, con la chiesa dell’Idria ormai diruta. Un documento del 1100 redatto da Ruggero I dona la chiesa di San Nicola, patrono dalla chiara origine bizantina, al monastero di S. Maria di Mandanici e nel 1212 sarà Federico II a cedere i casali di Gualtiero a Guglielmo Marino. Un ponte del XIV sec. permette di collegare le rive del torrente ed unire le comunità da secoli vocate all’agricoltura. Se arrivate l’ultima domenica di agosto preparatevi ai giochi pirotecnici e alle feste popolari più tradizionali.
S. Pier Niceto.
Arroccato tra i monti e le vallate scavate dei torrenti dei Peloritani, il borgo di San Pier Niceto fino al 1875 era un feudo dei Moncada, signori di Monforte. Il suo nome testimonia la presenza del culto cristiano e l’appellativo “niceto” pare provenga da una vittoria –nikein greco- dei cavalieri normanni sui saraceni. Il culto bizantino è accertato nella periferia dalla chiesa di San Marco, oggi abbandonata, raccolto luogo di romitaggio, mentre in paese degne di nota sono le chiese di San Francesco di Paola, settecentesca con annesso il convento ora inglobato nel Municipio, la chiesa di San Giacomo Maggiore, famosa sia per il crocifisso ligneo bizantino dipinto di nero dell’altare centrale sia per il crocifisso cui la popolazione è legata e che ogni martedì santo sfila per le viuzze del centro scortato in processione dai bambini vestiti da “angioletti” e adornati con monili e aggetti d’oro, concessi da coloro che hanno promesso un “voto” in preghiera. Particolare è ad inizio giungo l’infiorata del Corpus Domini, tradizionale appuntamento che vede decorare le vie di San Piero dalla perizia degli organizzatori delle scene floreali e, per gusti più laici, la famosa sagra del biscotto sampiroto accompagnato dalla granita al limone.
Monforte San Giorgio.
Il colle dell’Immacolata protegge il paese che sorge alle sue pendici: Munt Dafurt come era chiamato da Idrisi nel 1154. Il conte Ruggero nel 1061, dopo aver conquistato Messina e Rometta, entra trionfante in paese a dorso di cammello e nei giorni a cavallo tra gennaio e febbraio, sul campanile della chiesa di Sant’Agata, le campane cristiane e i tamburi saraceni ricordano questo evento nella tradizione della Katabba e delle sue rievocazioni medievali. Nonostante negli ultimi decenni del XX secolo gli amministratori del borgo peloritano abbiano permesso il depauperamento del patrimonio artistico e architettonico del centro, ancora oggi sono visibili la porta di Terra col suo arco ogivale, parte della cinta muraria edificata sotto Federico II e potenziata in periodo aragonese da Federico III. Il quartiere del rabato riporta ancora il viandante in un salto nel tempo in cui vicoli, chiese e case si sovrappongono le une nelle altre, iniziando dalla composta piazza IV novembre dove si affaccia la chiesa madre di San Giorgio dal portale tardo gotico, ricca di opere d’arte pittorica e scultorea. Il culto di Giorgio è bizantino e bizantini sono i monaci che nel IX sec giunsero in queste amene contrade in fuga dalla furia iconoclasta che imperversava a Costantinopoli e che edificarono le difese sulla rocca del monte per resistere all’assalto musulmano, dando vita all’impianto del castello che domina il paesaggio e che ora ospita il Santuario dell’Immacolata. Poco rimane del fasto del passato, cancellato dall’incuria del tempo e degli uomini, ma una rinnovata voglia di ripresa fa del piccolo centro peloritano un punto di sviluppo culturale ed enogastronomico. Da non perdere la sagra del pane caldo ad inizio agosto e le degustazioni di pesca sbergia sulla marina di Monforte.
Rometta.
Per i bizantini era tà Erymata– la fortezza, imprendibile e fiera roccaforte dalla pianta stellata che si erge a estremo baluardo di Messina: chi la conquista, subito dopo potrà entrare nella città dello Stretto. In questo periodo si viene a rifugiare qui S.Leone da Ravenna, vescovo di Catania, reo di essersi ribellato all’Imperatore bizantino, durante la lotta iconoclasta: sceglierà le grotte intorno Rometta per sfuggire alla cattura e tornare a Catania solo in punto di morte. Sempre in questo periodo viene edificata la chiesa del S.Salvatore, conosciuta come S.Maria dei Cerei, battistero bizantino del VI sec., che domina le fortificazioni dal lato meridionale e la porta Milazzo o Terra da cui la via si raccordava alla consolare della costa, la via francigena verso Palermo sul dromo imperiale. Gli arabi impiegano circa due secoli a conquistarla e solo nel 963 riescono a cingerla d’assedio, tagliando viveri e comunicazioni, costringendo i soldati bizantini ad una valorosa ma inutile resistenza che li consegnerà per sempre alla storia: si dice che Ibn Ammar, generale arabo al comando delle truppe d’assedio, nella battaglia decisiva abbia recuperato proprio qui la spada del Profeta Maometto, rubata dai Bizantini e portata in battaglia come simulacro. R.mtâ, il nome arabo del borgo, diventa il caposaldo orientale dell’occupazione musulmana, affidata ad un qadi che amministra un territorio che va dal fiume Niceto al fiume Gallo.Il conte Ruggero la riconquista nel 1062, dopo aver preso Messina, rendendole il nome di Rametta e come primo gesto di grazia fonda la chiesa di San Giorgio, oggi chiesa dei Cappuccini, in onore del suo santo patrono, facendo giungere la reliquia del braccio del santo guerriero, tuttora conservata nella chiesa madre dedicata a Maria SS. Assunta, imponente edificio a tre navate, più e più volte rimaneggiato nei secoli. Rometta adesso è parte del demanio regio e viene ripopolata da colonie cristiane greco-latine provenienti dalla Calabria. Sotto il governo di Federico II s’irrobustisce la cinta muraria e le porte urbiche con tutto il sistema di fortificazione che vede nel castello, posto al centro del piano fortificato, il punto nodale di controllo: un sistema intricato di masti e ambienti che oggi, nonostante la sua importanza, appare alla vista del viandante come un insieme indistinto di ruderi che meriterebbero attenzione e rispetto.


19. Rometta – Calvaruso “Ecce Homo” (LUNGHEZZA: 15,4 km – DISLIVELLO: IN SALITA 321 m IN DISCESA 721 m DIFFICOLTÀ: media – FONDO: 72 % Sterrato – 28 % Asfalto.)

il Santuario "Ecce Homo" di Calvaruso



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Descrizione della tappa
Villafranca Tirrena/ Calvaruso.
L’antica Bauso è sempre stata comune aggregato di più frazioni e solo nel 1929 prende il nome di Villafranca e il toponimo di Tirrena per differenziarsi dalle omonime località della penisola. Un diploma del 1270 a firma di Carlo d’Angiò nomina per la prima volta il feudo di Bausus assegnandolo ad un feudatario fedele mentre attestazioni successive collocano nei pressi di piazza Dante Alighieri, il fondaco di sosta lungo la Palermo-Messina per le marine, l’antica consolare che collegava la città dello Stretto lungo la costa settentrionale. Alexandre Dumas, nel Pascal Brunò, ci regala questa descrizione che mostra la funzione più importante del centro peloritano: “Ascoltate – mi disse – non dimenticate di fare una cosa quando andrete da Palermo a Messina per mare o per terra. Fermatevi al piccolo paese di Bauso, vicino alla punta di Capo Bianco. Di fronte ad un albergo troverete una strada in salita che termina a destra con un piccolo castello a forma di cittadella…”. Il piccolo castello è detto Castelnuovo o più comunemente Castello di Bauso, edificato dal principe Cottone sul finire del 1500 come luogo di controllo dei fondaci sulla via di transito più importante, oggi affidato alla Regione Siciliana che ne permette la visita. Il 5 dicembre per la festa del patrono, la chiesa di San Nicola di Bari e il castello si animano per la rievocazione storica che culmina nei rituali falò del santo, i bamparizzi, che vedono i pescatori popolani e i nobili principi scambiarsi le chiavi del castello in segno di buon rapporto.
Percorrendo 2, 5 km dal castello di Bauso, il viandante giunge alla frazione di Bauso vecchio e sulla collina dell’Annunziata ancora si possono scorgere i ruderi della chiesa madre e del palazzo nobiliare dei marchesi Cottone. Il centro abitato gravita attorno al Santuario Gesù Ecce Homo, luogo di preghiera e pellegrinaggio affidato al Terz’Ordine Regolare, TOR, conosciuto in tutta la provincia, oasi di riposo per il camminatore e di preghiera per il pellegrino che percorre queste vie con spirito devoto. All’interno si venera e custodisce il simulacro ligneo dell’Ecce Homo, realizzato da fra Umile da Petralia sotto commissione del principe Moncada. L’effetto empatico della statua ha suscitato da sempre racconti e leggende nei pellegrini di passaggio. Si racconta che il cipresso da cui fu intagliato fosse apparso miracolosamente per il luccichio delle sue fronde, dopo estenuanti ricerche che avevano reso vano il progetto del frate madonita. Lo stesso volto della statua, che ritrae Gesù in un misto di dolore e forza plastica nel momento di iniziale mortificazione durante le torture dei soldati romani, si dice che non fosse ancora stato intagliato e rifinito da fra Umile e che il principe, volendo a tutti costi osservare lo stato dell’arte dell’opera, avesse sbirciato nella stanza appurando l’incompiutezza del lavoro. Il giorno seguente, aprendo la porta della stanza dove la statua era riposta, tutto era compiuto, con tale splendore e forza che il principe stesso pensò fosse fatto da mano angeliche.


20. Calvaruso “Ecce Homo” – Messina (LUNGHEZZA: 15,2 km – DISLIVELLO: IN SALITA 608 m IN DISCESA 726 m DIFFICOLTÀ: medio-impegnativo – FONDO: 39 % Sterrato – 61% Asfalto.)

Messina e lo Stretto



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Descrizione della tappa
Messina.
Messina è porta d’Oriente, «bianca colomba» come la chiamavano i poeti islamici. Fondata dai greci di Calcide e di Cuma, diventa immediatamente un centro di controllo dei trasporti, assieme alla città speculare Reghion, fondata sempre dei coloni ionici. I romani la riconoscono civitas libera et foederata et locupletissima–città libera e alleata e ricchissima, unitamente a Taormina e Cicerone stesso ne racconterà gli agi e le ricchezze nell’orazione contro Verre. La città è sacra a Poseidone e la tradizione annovera tre edifici templari in suo onore, sull’estremo lembo del faro, in città e sulla cima del monte più alto, M.te Dinnammare a 1130 m s.l.m.. I bizantini ne fanno una piazzaforte e una protometropoli, dove fioriscono le chiese e le comunità monastiche di rito greco-bizantino che durante il regno normanno verranno riunite sotto il titolo di un archimandrita, con sede nel monastero,oggi scomparso,del S.S. Salvatore in lingua phari, mandra generale di tutti i monasteri di Sicilia e Calabria. Nel 843, dopo una strenua resistenza, cade in mano musulmana e il tempio bizantino diventa presto moschea. Gli arabi preferiscono spostare la loro capitale a Palermo e la città dello Stretto giace sotto il controllo dell’Emiro di Catania. I dissidi interni tra i capi militari di Siracusa e Catania porteranno all’arrivo dei cavalieri normanni, grazie ai quali nel 1060, inizierà la riconquista cristiana dell’Isola. La leggenda narra che prima dello sbarco, il Gran Conte Ruggero riflettesse passeggiando sulla sponda calabra su come conquistare la città di fronte quando gli apparve la Fata Morgana, nota maga, che gli promise eserciti e aiuti se avesse con lei attraversato lo Stretto: il comandante normanno si affidò all’aiuto della Madonna e dei suoi santi patroni e si accontentò di vedere il riflesso della città nelle magie della maga inglese, oggi spiegate dal fenomeno della rifrazione che solo in alcuni giorni di caldo afoso avviene. Coi normanni si ricostruiscono gli edifici di culto cristiano, come la chiesa di San Tommaso a ridosso del Teatro Vittorio Emanuele, si fortifica la cinta muraria -la torre ottagonale al Sacrario di Cristo Re è tutto ciò che resta- e si dà inizio ad un periodo di prosperità che durerà per diversi secoli. Ruggero elargirà benefici a molti monasteri e chiese e con lui il suo successore fino all’arrivo di Enrico VI e del figlio Federico II di Svevia. Sarà in questo periodo, 1192, che verrà consacrata, abbellita e munita di privilegi e tesori la cattedrale di Santa Maria Assunta, il Duomo cittadino,dai reali tedeschi o affidata la chiesa di San Giovanni Battista all’Ordine dei cavalieri Gerosolimitani, prendendo il nome di San Giovanni di Malta, primo ospedale e prioria al di fuori di Gerusalemme dell’ordine che per qualche anno troverà rifugio in città. Di poco posteriore la chiesa di Santa Maria Alemanna, prioria dell’Ordine dei cavalieri Teutonici, giunti con Enrico VI e schierati nella crociata in Terrasanta. Un ospedale e un ricovero per pellegrini tedeschi e per cavalieri feriti sarà presente architettonicamente fino a poco tempo fa: in questo ospedale, poi passato alla cura della Confraternita dei Rossi, sarà ricoverato nel 1571 lo stesso Cervantes, ferito al ritorno della vittoriosa battaglia di Lepanto. Del XIII sec. è anche la chiesa di San Francesco all’Immacolata, costruita accanto al corso del torrente Portalegni, la seconda chiesa più grande della città che può vantare il primato di essere il primo convento dei Frati Minori Conventuali in Sicilia, 1254, appena 28 anni dopo la morte del santo di Assisi. Con il periodo angioino anche in Messina scoppiano i disordini del Vespro e nel 1282 viene saccheggiato il monastero di Santa Maria della Valle o della Scala o più comunemente Badiazza, cenobio benedettino femminile tra le cui mura, nel 1303, si conosceranno e innamoreranno Federico III d’Aragona e Elisabetta d’Angiò, prima del matrimonio che riparerà temporaneamente le guerre del Vespro in Sicilia. Anche la chiesa della S.S. Annunziata dei Catalani, edificata sulle probabili rovine del tempio cittadino di Poseidone, viene arricchita in questo periodo e donata da Pietro d’Aragona ai ricchi mercanti catalani: cappella regia, costruita con precise influenze ebraico-arabo-bizantine, si trova a 3 m sotto il manto stradale odierno a causa dell’innalzamento della città causato dalla ricostruzione post terremoto 1908.

Di ritorno da Tunisi vittorioso, Carlo V nel 1535 entra in Messina, dopo aver attraversato tutta la via da Palermo per le montagne e il Senato della città organizzerà feste e ristrutturazioni per le porte urbiche, oggi non più visibili. Sotto l’impulso dell’imperatore saranno potenziati i sistemi difensivi con la costruzione delle mura urbiche, visibili in modo frammentario e la fortificazione della Roccaguelfonia di impianto medievale, del castello Gonzaga, a pianta stellata irregolare, della real Cittadella, sul braccio della falce del porto dove sorgeva l’antico Monastero del SS.Salvatore e con la realizzazione del grande ospedale cittadino. Nel corso dei secoli, tra una dominazione e l’altra, squassata da terremoti e guerre, la città riuscirà sempre a rialzarsi, guadagnandosi due medaglie d’oro al valore civile e militare, fiera della sua storia troppo spesso dimenticata e trascurata, per cui oggi spesso è solo città di passaggio del traffico civile, obbligato a transitare sullo Stretto.
Curiosità
Messina, la falce, lo Stretto, la porta d’Oriente.
Terra di Crono, che getta la falce con cui evira Urano, crea il porto naturale ed ha il suo tempio nella zona falcata; terra di Ercole Manticlo, che di passaggio collabora alla fondazione, contesa con Orione, il mitico pastore figlio di Poseidone a cui è dedicata una delle più belle fontane cinquecentesche della città; terra di Peloro, a cui sacro è il capo e la terza punta di Sicilia. Luogo dove il mare e la montagna si fondono, dove la perizia del pescatore bizantino Cola, Nicolaus, salva l’isola intera sorreggendo con le sue mani l’estrema punta orientale, la cui colonna è lesionata. Terra del mito, di Scilla e Cariddi e della paura dei marinai antichi di attraversare lo Stretto e le sue arcane correnti; dove le sirene sanno irretire il dolce e inesperto pescatore Glauco trasformandolo in tritone dopo aver mangiato le alghe magiche. Da sempre legata al suo mare e alle sue storie, celebra le navi cariche di grano, giunte da Levante, che spesso la salvarono dalle carestie che guerra e sorte provocavano, rappresentate nel Vascelluzzo d’argento e la più importante ambasceria civica, inviata in Oriente per incontrare la santa Madre di Dio a Efeso e tornata in patria con la missiva avvolta nella ciocca di capelli della Vergine che oggi benedice dall’alto della colonna posta sulla falce del porto ogni nave che vi entra: Vos et ipsam civitatem benedicimus.


(da web)
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