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U Carnaluvaru 'ntra la Trinacria  Empty U Carnaluvaru 'ntra la Trinacria

Lun 6 Feb 2023 - 11:44

U Carnaluvaru 'ntra la Trinacria

(fra maschere, proverbi ed abbuffate: le feste di Carnevale più belle e particolari della Sicilia)



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I siciliani usano alcuni proverbi proprio per celebrare il Carnevale: “Doppu li tri re, tutti olè – dopo i tre re, tutti in festa” indica che dopo l’epifania è già Carnevale fino al mercoledì delle Ceneri. “Natali e Pasqua ccu cu voi ma li sdirri falli ccu li toi – Natale e Pasqua con chi vuoi ma l’ultimo giorno di Carnevale con i tuoi” ricorda l’importanza di trascorrere il Carnevale in allegria con tutta la famiglia.



Le origini

Come tutti sanno, l’origine di questo evento è legata ad un antico rito pagano che si rifà alle festività dionisiache di Atene e successivamente ai latini Saturnalia. Al dio Saturno si dedicavano le feste più amate e tanto attese dell’anno, dove tra musiche e balli si scioglievano i vincoli e le regole morali e regnava il caos generale. Il popolo festeggiava nelle piazze mentre orge si consumavano nelle ville e nelle case patrizie. Semel in anno licet insanire che tradotto significa una volta all’anno è lecito impazzire.

Saturnalia nell'antica Roma



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Le prime notizie del Carnevale in Sicilia risalgono al 1600, ovvero a quando la società palermitana, per sfuggire alla routine di tutti i giorni, diede vita a manifestazioni di stampo allegorico mediante l’utilizzo di abiti, maschere e accessori. il primo carro allegorico allestito fu proprio a Palermo, era il 3 Marzo 1601 e raffigurava il dio Nettuno con intorno alcune sirene che danzavano. Si poteva assistere inoltre alla danza degli “schiavi” dove i partecipanti, camuffati appunto da schiavi, ballavano per le strade al suono di antichi strumenti turchi come i tamburi, oppure alla danza dei “Balla-Virticchi” in cui i partecipanti si travestivano da pigmei e intrattenevano il popolo.
Col tempo si cominciò ad allestire un vero e proprio Carnevale, fu infatti il viceré di Ossuna a volerlo, si ebbe così un Carnevale degno di nota soprattutto per il folklore popolare. Rappresentazioni teatrali e commedie furono messe in piazza con maschere locali, e narravano di fatti realmente accaduti; tra queste va ricordato l’Atto di Castello (cui si riconduce la pantomima del Mastro di Campo di Mezzojuso). Con l’entrata in scena di due fantocci raffiguranti “u nannu e a nanna”, si dava inizio alla farsa: lui è un vecchietto robusto, vestito con abiti damascati, lei è alta e snella; tra le mani stringe un mazzetto di ravanelli, donati dal marito. Le due maschere,in un primo momento sfilavano su un cocchio per le vie della città, fra l’ilarità della gente, finivano poi per subire un regolare processo fra battute pungenti e rime salate, giocando con parole dette e non dette spesso fraintese. Alla fine venivano puntualmente condannati a morte e quindi bruciati davanti allo stupore e alla soddisfazione dei presenti, (a vampa d’u’ nannu e d’a nanna), concludendo simbolicamente i festeggiamenti. Le celebrazioni duravano per più di un mese, dal giorno dopo l’Epifania alla Quaresima. Più avanti, esattamente dopo il terremoto dell’11 gennaio 1643, la durata del carnevale siciliano iniziò a ridursi in modo significativo fino a quando non fu fissata nella settimana precedente alla Quaresima. Nel 1800 il Carnevale palermitano raggiunse il culmine e vi partecipavano sia nobili che popolo.

“u nannu e a nanna” dei giorni nostri



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Nel 1802 alla festa popolare partecipò addirittura re Ferdinando di Borbone. Il popolino invece continuò la celebrazione dei “nanni” che finiva con l’abbuffata di salsiccia e vino. Ancora oggi in alcuni quartieri, come Ballarò, la figura “du’ nannu”, seduta ad un balcone attende la sua ” vampa ” come nell’antico carnevale palermitano.
Ma il Carnevale siciliano non è solo sfilate o maschere: non c’è festa senza l’allegria della danza e così naturalmente anche il Carnevale ha i suoi balli. Un tempo nei paesi numerose sale addobbate ospitavano gruppi mascherati con capi strani o con il solo “dominò“ e un velo sul viso. Il “bastoniere” mascherato e con un legno in mano guidava il gruppo e “ordinava” il ballo. La quadriglia o contradanza è appunto un ballo tipico con passo cadenzato francese importato dai Normanni. Faceva parte delle “danze di società” tanto che si considera una danza “calata” dai ceti più alti alle classi popolari. Presente anche nelle tradizionali feste matrimoniali prevedeva svariate coreografie con una musica che ricordava il canto delle cicale. Il suono acuto di un “fischietto” rappresentava la gioia delle coppie che danzavano fino al mattino.

riproduzione di un ballo carnascialesco siciliano



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I giorni della festa

In Sicilia tutti i giorni di festa del periodo carnescialesco assumevano dei nomignoli molto particolari, preceduti da prefisso ‘sdirri (sdirriruminica, sdirriluni e sdirrimarti), si chiamavano li jorna di li sdirri. Ma cosa significa? Qualcuno sostiene che questo vocabolo derivi dal francese dernier (ultimo) e quindi li sdirri sarebbero gli ultimi giorni di carnevale. Se pensiamo, però, ad altre parole siciliane col medesimo prefisso (sdirrinatu – sdi+reni; sdisangatu – sdi+sangue) notiamo come, in realtà, il prefisso serva più che altro a dare un significato inverso alla parola che segue e quindi assuma una funzione grammaticale quasi privativa (sdirrinatu = senza spina dorsale e anche, per metonimia, “rotto”; sdisangatu = privo di sangue e anche “anaffettivo”, “incapace di provare forti sentimenti”). Se guardiamo la parola sdirri, notiamo l’unione di sdi+irri (funzione privativa di sdi+ iniziale di irritare), si tratta allora del contrario di rabbia e quindi “gioia” o “festa”.



U manciari

In Sicilia, gran parte dei festeggiamenti passa dalla tavola: una terra così ricca di tradizione gastronomica poteva dimenticare l’abbondanza in questa ricorrenza? Infatti dai primi ai dolci ogni cittadina vanta le proprie specialità:

Vampasciuscia con ragù e ricotta



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i Vampasciuscia con ragù e ricotta, il cui nome “vampasciuscia” si riferisce a un tipo di pasta specifico, la margherita, che per il suo bordo ondulato un tempo veniva paragonato alle ali delle farfalle, (vampasciuscia è il termine dialettale ormai in disuso usato come sinonimo di farfalle) questo piatto è talmente godereccio che sembra” volare in pancia”, lasciando i commensali col desiderio di mangiarne ancora.

Minestrone del giovedì grasso



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Ottimo anche il minestrone del giovedì grasso con patate, fave, cipolla e lardo di maiale a cubetti.

Stufato con il sugo di carne di maiale e la salsiccia





Tipico del martedì grasso è invece lo stufato con il sugo di carne di maiale e la salsiccia che può diventare anche un ottimo condimento per un piatto di pasta.

Pignoccata



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La Pignoccata che è un dolce che si prepara in buona parte della Sicilia in occasione del Carnevale. La forma caratteristica di questa leccornia gli da il nome di pignoccata perchè nella preparazione finale, quando si assembla a mucchietti, ricorda una pigna.

Chiacchiere



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Le Chiacchiere che fra i dolci di Carnevale non possono assolutamente mancare. Tra l’altro si possono preparare con pochi ingredienti e in maniera veramente veloce, per la gioia dei più golosi. Le origini delle chiacchiere sono antichissime, pare infatti che fossero già diffuse ai tempi dei romani, che erano soliti preparare dei dolci fritti nel grasso di maiale per festeggiare i “saturnali”, (festività corrispondenti all’odierno carnevale). Tali dolci avevano il nome generico di frictilia e, durante i festeggiamenti venivano distribuiti alla folla che in massa si riversava per le strade. Grazie alla facilità di preparazione era possibile cuocerne grandi quantità in poco tempo così da contentare tutti.



Peppe Nappa e le altre maschere del Carnevale siciliano:

la maschera di Peppe Nappa, letteralmente “Giuseppe toppa nei pantaloni”

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Come avviene in altre regioni, anche la Sicilia ha la sua maschera storica. A Napoli c’è Pulcinella, a Bergamo c’è Arlecchino, a Venezia ci sono Colombina e Pantalone, a Roma c’è Rugantino, a Bologna c’è Balanzone e in Sicilia c’è Peppe Nappa (o Beppe Nappa). Buffo, pigro, goffo e furbo, Peppe Nappa ama il cibo e gli scherzi, è un gran golosone, oltre che un combinaguai. Essendo una figura allegorica e satirica, racchiude in sé tutti i vizi e i difetti dei Siciliani, dei quali è la rappresentazione più estremizzata e stereotipata. La maschera di Peppe Nappa, nata nel XVI secolo insieme alla Commedia dell’Arte, compare ancora in molti Carnevali siciliani ed è stata scelta come simbolo di uno dei più antichi e suggestivi Carnevali della Sicilia, quello di Sciacca. Deve il suo nome all’unione di due termini: “Peppe”, diminuitivo di Giuseppe, e “nappa”, cioè toppa dei pantaloni. Letteralmente, dunque, il suo nome potrebbe intendersi come “Giuseppe toppa nei pantaloni”. Questa maschera si è affermata in Sicilia nel XVI secolo, con la nascita della commedia dell’arte. Come molte altre famose maschere carnevalesche, deriva dalla tipizzazione di maschere del teatro comico romano. Fu adottata dalla città di Sciacca, negli anni Cinquanta, come maschera del suo antico Carnevale, per volere del senatore Giuseppe Molinari. Da allora viene rappresentato su un carro allegorico fuori concorso e apre la sfilata carnevalesca, diventando anche simbolicamente sindaco nei giorni dei festeggiamenti. Il destino del carro è, secondo anche una credenza pagana, il rogo di questi al centro della piazza intorno al popolo, che balla sulle note dell’inno e Peppi Nappa:

A tutti l’anni veni carnivali,
lu populu di Sciacca sa chi fa?
A la marina scinni a aspittari,
lu Re ritorna ‘nta la so città.
Ed eccu c’arriva,
cantannu e abballannu,
ridennu e scialannu,
lu nnippitinnà.
Eh Peppi Nnappa,
eh Peppi Nnappa,
chi nomu curiusu,
e chi nomu scialusu
chi nnippitinnà.
Eh Peppi Nnappa,
eh Peppi Nnappa,
lu cannalivari, lu vosi purtari
‘nta chista città!
Curriti picciotti,
chi Peppi arrivau
la nnappa purtau
‘nta chista città
Eh Peppi Nnappa,
eh Peppi Nnappa,
chi nomu scialusu,
chi nomu amurusu, chi felicità.
Chista è la festa cchiù disiata,
chi veni di lu mari finu ccà,
e Peppi Nnappa la vosi purtari,
pi renniri felici sta città.
E ogni saccensi,
cantannu e abballannu,
ridennu e scialannu, la festa ti fà.


Come già detto, le caratteristiche di Peppe Nappa sono ben precise: è beffardo, pigro, ma anche capace di insospettabili salti e danze acrobatiche. È anche goloso e la sua fame è insaziabile, quindi ama stare in cucina o ronzarvi intorno, annusandone i profumi: cibo e vino sono la sua passione. Spesso ricopre nelle trame il ruolo di servitore. Il costume tipico è composto da una casacca e da calzoni verdi, entrambi molto ampi e troppo lunghi. Indossa anche un cappellino di feltro bianco o verde, su una calotta bianca.

Peppe Nappa al Carnevale di Sciacca



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Le maschere di Carnevale siciliane del passato sono tante. Tra queste vanno sicuramente ricordate quelle dei “Jardinara” e dei “Varca”, famose soprattutto nella provincia di Palermo, così come quelle dei “briganti” e quella del “cavallacciu”, più conosciute nel Catanese. Ancora, tra le maschere tipiche possiamo ricordare quelle che richiamano le diverse classi sociali. Ci sono, così, “dutturi”, “baruni” e “abbati”. Cambiando genere, poi, abbiamo la maschera della “Vecchia di li fusa”, nella contea di Modica: una strega mostruosa, simbolo della prossima morte del Carnevale prima del periodo quaresimale. Si tratta probabilmente di una reminiscenza delle mitologiche Moire, le tre dee che con i loro fusi filano il destino di ciascun essere umano. Rimanendo in zona ci sono anche gli “Nzunzieddu“, con il viso sporco di fumo e terra rossa. Le maschere tipiche del Carnevale di Acireale sono invece l’Abbatuzzu, i Baruni, la Cola Taddazza, la Quadaredda, i Manti e i Domino.

a Vecchia di li fusa



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A Corleone (Palermo) la scena è tutta per i Riavulicchi. Si tratta di particolarissime figure demoniache, ricoperte di campanelli e campanacci, che si fanno spazio tra la folla e le altre maschere. Ballano, saltano e agitano le code. Pare che siano stati portati da Oddone di camerana, capo della colonia di Lombardi che ripolò Corleone nel XIII secolo. All’elenco delle maschere di Carnevale siciliane dobbiamo aggiungere anche Zuppiddu e Dominò, tipici di Bisacquino (Palermo). Il primo è un contadino con coppola e bastone, che tiene in mano un uovo e un grillo; il secondo, invece, indossa una tunica scusa e un cappuccio in testa.

i Riavulicchi del Carnevale Corleonese



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raffigurazione della maschera di Zuppiddu



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I Carnevali più caratteristici di Sicilia

Naturalmente la mia terra è “abbondante” in ogni aspetto e anche per questa festività offre moltissime possibilità. Tante cittadine, anche troppe, hanno le proprie tradizioni carnascialesche per cui quelle che vengono di seguito rappresentate, sono solamente una minima selezione che senza togliere nulla a tutte le altre rappresentazioni, non vuole assolutamente essere completa o definitiva.

il Carnevale di Acireale

Questa bellissima cittadina barocca a pochi chilometri da Catania, ospita quello che viene detto “Il più bel Carnevale di Sicilia”. La tradizione iniziò nel XVI secolo, quando l’elemento principale di questa festa era il lancio di uova marce e arance per le strade. Fortunatamente questo “gioco” è stato vietato dall’inizio del 1700. Comparve quindi una maschera con caratteristiche ben definite: l’Abbatazzu, chiamato anche Pueta Minutizzu, che mimava nobili o ecclesiastici. Portava con sè un grosso libro dal quale fingeva di leggere mentre sentenziava battute gravi e satiriche. Agli inizi del 1800 nasce la cassariata, cioè la sfilata delle carrozze dei nobili che lanciavano alla gente dei confetti multicolori. Nel 1880 si costruiscono i primi grandi carri di cartapesta che sfilavano per la cittadina. Ancora oggi le stupende vie e piazze del centro storico fanno da cornice ad uno spettacolo eccezionale.

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Il Carnevale di Sciacca

Sciacca in provincia di Agrigento offre un Carnevale che sembra essere collegato ai Saturnalia di cui abbiamo già parlato. Di certo si sa che nel 1616 il viceré Ossuna stabilì che per l’ultimo giorno di festa tutti avrebbero indossato una maschera. Ai nostri tempi fabbri, artigiani della cartapesta, illustratori e coreografi lavorano mesi per organizzare le sfilate e creare i carri allegorici. Tutto inizia giovedì grasso quando Peppe ‘Nappa, cioè il re del Carnevale, prende la chiave della città. Intanto carri grotteschi colorano il centro storico e poeti imparruccati declamano poesie satiriche siciliane. Pochi giorni dopo il martedì grasso il carro con la figura del re viene bruciato! Così il Carnevale termina e inizia la Quaresima.

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Il Carnevale di Misterbianco

Anche questo comune vicinissimo a Catania, ha una storia particolare che riguarda i natali del Carnevale. Si dice che fosse abitudine delle “comari” darsi appuntamento il giovedì anteriore a quello cosiddetto grasso per spettegolare. Al tramonto le signorine indossavano un mantello di raso nero ed una maschera e si dirigevano in piazza. Lì danzavano il tipico ballo del Carnevale e davano la caccia ai giovani scapoli innamorati. Oggi la festa è una summa di spettacolarità per i maestosi carri scenici e i costumi variopinti. Abiti così originali e sontuosi da ottenere il titolo di “Carnevale dei costumi più belli di Sicilia”.

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Il Carnevale di Termini Imerese

Termini Imerese prossima a Palermo ospita un Carnevale tra i più ricchi di tradizione. Alcune famiglie provenienti da Napoli, “i Napuliti”, all’inizio dell’800 introdussero la festa e le prime maschere di “u Nannu ca’ Nanna”. Il nonno grassoccio e basso rappresenta il Carnevale che “muore” il martedì grasso e sua moglie, la nonna, è una donna magra che rappresenta la Quaresima. I momenti tradizionali della festa rimangono la “bruciatura del Nannu” e la “lettura del testamento” in realtà un modo per prendere in giro personaggi illustri e politici. Anche se oggi carri animati dalle mille luci, costumi sempre più stravaganti, musica ritmicamente allegra rendono unica questa festa i veri protagonisti restano comunque il nonno e la nonna!

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Il Carnevale di Francavilla

Francavilla in provincia di Messina ospita il più bel Carnevale della valle dell’Alcantara ormai da più di un secolo. Per una settimana le vie cittadine diventano vere e proprie piste da ballo animate da trasgressività e ironia. Si balla al ritmo della Fasuledda dandosi dalle cosiddette “mutticedde”, ossia delle leggere spinte che le persone poste in cerchio fanno con la schiena. Ogni anno diversa è la serata conclusiva con “a cianciuta di re Carnalivari – il pianto di re Carnevale”. Su di un carro seguito da “piagnoni” e vedove il re dà l’ultimo saluto con in mano della salsiccia ad indicare che dopo quella sera inizia la Quaresima. Una sfida agguerrita tra carri allegorici anima la sfilata dentro le vie cittadine in un’atmosfera di festa e di divertimento. Il tutto sino al martedì sera quando durante il veglione vengono assegnati i premi per i più belli.

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Il Carnevale di Palazzolo Acreide

In questa cittadina, in provincia di Siracusa, si ha una grande voglia di divertimento! Difatti nel piccolo centro il Carnevale si festeggia per sei giorni di seguito. Lunghe sfilate di carri allegorici e la presenza di alcune caratteristiche maschere siracusane come per esempio i “cuturri” animano la cittadina. Qui la festa ha origini molto antiche: donne in maschera coperte da un ampio manto e perciò dette “ntuppatedde” irrompevano con danze incalzanti nella processione per la festa della Madonna Odigitria. Nei primi del ‘900 invece gli artigiani allestivano i pupi portati quindi in giro per le vie del paese su dei carretti. Oggi ci si diverte anche con grandi abbuffate di “cavatieddi” un tipo di pasta condita con sugo e salsiccia. Tutto è all’insegna dell’allegria spontanea e della partecipazione sentita di tutti i cittadini: una festa unica nel suo genere in tutta la provincia siracusana. Il Carnevale di Palazzolo Acreide vanta di essere il più antico di Sicilia.

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Il Carnevale di Saponara

In questo piccolo comune dei Peloritani, si prepara una manifestazione carnevalesca con aspetti storici e un po’ fiabeschi; il protagonista è un animale e il co-protagonista è un principe. E' uno dei carnevali più belli della provincia di Messina: “La sfilata dell’Orso e della Corte principesca”. Il carnevale di Saponara ha radici storiche antichissime, tanto da essere stato riconosciuto come “Carnevale Storico di Sicilia”. La tradizione tramanda la storia della cattura dell’orso che ha dell’inverosimile poiché questo animale nel Settecento non faceva parte della fauna dei Peloritani. Nel secondo dopoguerra venne ritrovato un libro, purtroppo andato perduto, che attestava il memorabile evento.

il Principe Domenico Alliata



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Da quanto tramandato dalla tradizione orale, la sfilata dell’Orso e della Corte principesca venne voluta dallo stesso Domenico Alliata, principe delle terre di Saponara. I fatti dovrebbero essere andati pressapoco così: siamo intorno alla metà del Settecento, nelle campagne e nelle montagne circostanti si aggirava un orso che a lungo sconvolgeva la vita di numerosi carbonai, contadini e pastori. Il principe, venuto a conoscenza del pericoloso animale, andò con i suoi cacciatori nelle montagne dove presero l’orso e lo rinchiusero nelle carceri del Palazzo Ducale. Il principe volle festeggiare la cattura facendo sfilare l’animale per le vie del paese seguito dai cacciatori e dalla corte, dimostrando alla popolazione lo scampato pericolo. Inoltre il principe volle che ogni martedì di carnevale si facesse la sfilata, per festeggiare l’indimenticabile evento. La sfilata venne interrotta durante il secondo conflitto mondiale e in seguito a cambi amministrativo-politico, e ritornò in un clima di rinascita nel 1968 grazie alla determinazione di alcune persone decise a far rivivere la tradizionale sfilata. Le stesse persone che successivamente fonderanno il comitato organizzativo della manifestazione.

una vecchia rappresentazione della sfilata dell’Orso e della Corte principesca



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Grazie alla memoria fotografica che ha permesso di ricostruire l’evoluzione della sfilata dagli anni Quaranta sino ai giorni nostri, sono state fornite ricche informazioni sulle maschere tipiche della sfilata. L’Orso è il protagonista ed è la maschera principale dell’intera sfilata. Il primo costume dell’Orso era formato da pelli di capra, con ai fianchi dei campanacci, mentre la prima maschera aveva sembianze simili a quelli di una capra. Nel tempo la maschera di cartapesta venne perfezionata prendendo sempre più le sembianze di un orso, le pelli di capra vennero sostituite da una camoscina grigia; restano invece invariati i campanacci, che con i loro suoni accompagnano i movimenti del personaggio.

l'Orso di ieri e di oggi

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L’Orso esegue un rituale un po’ particolare che lo caratterizza, ed è la centralità più antica della sfilata dell’Orso. Durante il suo percorso, trattenuto dalla catena e dalle corde dei domatori fra questi, vi è quello che lo tiene calmo, ‘u lliscia con ‘u nerbu, un frustino. L’Orso sceglie le prede, ovviamente predilige quelle femminili e presa di mira, la preda verrà aggredita in maniera fulminea, eseguendo una corsa improvvisa, all’insaputa dei domatori, stringendosela a sé. Da qui attua tre gesti rappresentativi delle sue aggressioni. L’orso prima la “scutulìa” cioè la fa dondolare tra le sue braccia, poi ” ‘a strica“, la strofina a sé e l’ultimo gesto è ” ‘u zummi zummi” alzando una gamba e mimando un gesto sessuale. Una volta lasciata la malcapitata, l’Orso si arrampica sui balconi e sui pali dando spettacolo di sé e rubando molti applausi.
Attorno alla figura dell’Orso troviamo i Domatori, che hanno il compito di rendere inoffensivo l’animale, i Cacciatori, autori della cattura e i suonatori di brogna,(una conchiglia dove è stata recisa l’apice permettendo così la fuoriuscita del suo suono caratteristico) che, insieme ai suonatori di tamburi formano la “banda dell’Orso”, accompagnando per tutta la sfilata le aggressioni dell’Orso. Ad aprire questo antico centro rappresentativo della sfilata ci sono gli “Spazzini-Pacchiane” (anticamente erano gli uomini che si vestivano con questo antico costume femminile, oggi sono le stesse donne a rappresentare questa maschera) con il compito di spazzare la strada un attimo prima del passaggio dell’Orso. Una volta passato l’Orso, sopraggiunge l’elegante Corte principesca, con a capo il Principe , le Guardie reali e lo Scrivano di corte.

il ballo della corte principesca



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Da qualche anno insieme alla consueta sfilata si è aggiunta una nuova rappresentazione alla manifestazione: la Cattura dell’Orso, che avviene qualche giorno prima del martedì di carnevale. La scena fa rivivere il memorabile evento, terminando con la cattura dell’animale e i festeggiamenti del popolo. Per l’occasione vengono allestiti degli stand potendo così degustare i piatti tipici del carnevale. Arrivato il tanto atteso martedì di Carnevale, il paese è in festa. Le strade sono sotto una pioggia di coriandoli e si riempiono di maschere, di balli, di scherzi e di risate. L’Orso, insieme ai suoi cacciatori e domatori, segue il suo tradizionale itinerario sostando in punti precisi per potersi riprendere e nel frattempo vengono offerti alla gente salumi, dolci e del buon vino. La Corte elegantemente sfila per le vie del paese salutando insieme al principe la sua gente. Il tutto si conclude con l’arrivo in Piazza Matrice della corte e dell’Orso che ballerà insieme al principe segnando così il termine della sfilata.

il ballo dell'Orso e del Principe



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Il Carnevale di Mezzojuso

Nello splendido e pittoresco scenario di Piazza Umberto I a Mezzojuso si svolge, a Carnevale, da oltre due secoli, la festa popolare del Mastro di Campo, unica nel suo genere che in nessun altro luogo si può ammirare. Si tratta di una tragicommedia interamente mimata che coinvolge circa cento personaggi abbigliati con costumi d’epoca. Protagonista principale è il Mastro di Campo, ovvero uno strano personaggio col volto coperto da una bizzarra maschera rossa che cerca di conquistare la sua amata Regina. La sua origine non è un invenzione del tutto ideale del popolo di Mezzojuso ma è legata, come testimoniano il marchese di Villabianca e Giuseppe Pitrè, ad una rappresentazione popolare del ‘700 che si svolgeva a Palermo durante il periodo di Carnevale chiamata “L’Atto di Castello” che a sua volta, probabilmente, si ispirava ad un fatto storico realmente accaduto: l’assalto del Conte di Modica, Bernardo Cabrera, al Palazzo Steri di Palermo, avvenuto nel 1412, per costringere la regina Bianca di Navarra, vedova del Re Martino il Giovane, ad accettare la sua proposta di matrimonio. Nella rappresentazione del Mastro di Campo il fatto storico, che si conclude con la fuga della Regina verso il castello di Solanto e la cattura del Gran Giustiziere, è stato completamente travisato e il popolo l’ha voluto trasformare a suo modo: il Mastro di Campo non è sprezzato dalla Regina che non lo fugge ma al contrario lo ama, corrisponde il suo amore e sviene quando questi è ferito.

il Mastro di Campo del Carnevale di Mezzojuso



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La pantomima che viene rappresentata ai giorni nostri, ha inizio il pomeriggio dell’ultima domenica di carnevale con l’ingresso in piazza del Foforio, del Maestro delle Cerimonie che precede il corteo reale composto dal Re, dalla Regina, dal Segretario e dalla sua Dama, dai Dignitari e dalle rispettive Dame di compagnia, dall’Artificiere, dalle Guardie del Re e per finire dai Mori. Una volta in piazza, il corteo si dispone a schiera davanti al palco che funge da castello reale dove il Re e la Regina, assistono al ballo eseguito dai Dignitari e dalle Dame a cui prende parte anche il Maestro delle Cerimonie. Terminata l’esibizione la corte va a prender posto sul castello reale dove, in attesa che arrivi il Mastro di Campo, la festa prosegue a passi di danza.

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A questo punto arrivano in piazza le altre maschere: i Romiti, le Giardiniere, i Maghi e a seguire gli Ingegneri, collaboratori del Mastro di Campo, che con l’ausilio di alcuni strumenti di misurazione studiano il percorso e le strategie di guerra. Dopo qualche minuto si sente da lontano il caratteristico suono del tamburo e si vede spuntare in piazza il Mastro di Campo a cavallo con due Volanti alle briglie, seguito dall’Ambasciatore, dal Capitano dell’Artiglieria, da Garibaldi con i Garibaldini, il Barone e la Baronessa a cavallo agli asini, il Campiere, il Curatolo e il Vurdunaro e infine la Cavalleria formata da un drappello di otto o dieci cavalieri abbigliati elegantemente e senza armature.

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Il Mastro di Campo in sella al suo cavallo fa un giro attorno alla piazza, poi sceso da cavallo, si avvicina agli Ingegneri, li consultata e subito dopo di suo pugno scrive un messaggio di sfida al Re. Chiama a sè l’Ambasciatore e lo invita a consegnare la lettera a corte. Il Re accetta la sfida e risponde con un’altra missiva che verrà consegnata dallo stesso Ambasciatore nelle mani del Mastro di Campo. Questi indignato della risposta del Re, strappa il biglietto e inizia la battaglia, saltando e girando su sè stesso per tutta la piazza con la spada in pugno esegue un elegante danza, ritmata dal caratteristico suono del tamburo che accompagna tutta la rappresentazione.

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Attorno a lui si aggirano sempre due Giardiniere che saltellano muovendo due corone di alloro, il Pecoraio che rappresenta il diavolo che cerca di sbarrargli la strada verso la scalata al castello e gli Ingegneri che di tanto in tanto danno dei consigli al Mastro di Campo e gli porgono un cannocchiale per avvistare la Regina. Intanto a corte la festa continua si suona e si mangia, Dame e Cavalieri danzano, mentre il Re passeggia inquieto da una punta all’altra del Castello con una grossa spada poggiata sulle spalle e di tanto in tanto ordina al suo artificiere di rispondere ai colpi di cannone che arrivano dalla piazza.

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Il campo di battaglia diventa una bolgia, si alternano: la Cavalleria che lancia confetti tra la folla e ogni tanto improvvisa attacchi a colpi di confetti contro la corte; il Foforio, ossia briganti che irrompono in schiera catturando in ostaggio alcune persone tra il pubblico che vengono rilasciate solo dopo aver pagato un riscatto ossia da bere e qualche dolcetto; Garibaldi e i Garibaldini che aiutano il Mastro di Campo nella conquista della Regina combattendo contro i mori che sono posti a difesa del castello; Il Barone e la Baronessa che distribuiscono confetti alla folla mentre i Massarioti mangiano, bevono e distribuiscono al pubblico salsiccia, pane, formaggio e vino; i Maghi alla continua ricerca della Trovatura (consistente in un piatale o cantaru pieno di maccheroni) e infine i Romiti che lanciano manciate di crusca addosso agli spettatori.

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In tutta questa bagarre il Mastro di Campo tenta due volte invano di conquistare la Regina; attraverso una scala fausa più nascosta, tenta la salita al castello ma tutte e due le volte deve arrendersi agli scontri contro il Re. La lotta perciò va avanti e il Mastro di Campo, sempre a ritmo di tamburo, continua le sue gesta nervosissimo e inferocito. Al terzo tentativo il Mastro di Campo sale dalla scala centrale del castello e intraprende nuovamente il duello con il Re, il quale con un colpo di spada lo ferisce alla fronte. Il generale dolorante tentenna prima qualche istante, poi tutto tremante, allarga lentamente le braccia, inarca all’indietro il corpo irrigidito e si lascia cadere nel vuoto.

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Lo prendono i Fofori, già pronti e lo portano in un luogo sicuro per curarlo. Tutti lo credono morto, la Regina spaventatasi sviene e tutte le Dame cercano di confortarla, a questo punto si conclude la prima parte della rappresentazione. Tra la fine del primo tempo e l’inizio del secondo i Maghi fanno la Trovatura: vanno a scavare sotto il palco e scoprono nascosto un cantaru colmo di maccheroni conditi con sugo, polpette e salsiccia che poi mangiano con le mani e tentano di offrire al pubblico. Il Barone e la Baronessa fanno alcuni giri per la piazza con il lutto in mostra. Il Mastro di Campo guarito dalle sue ferite fa nuovamente ingresso in piazza con i suoi uomini e riprende così la battaglia. Mentre gli attacchi al castello proseguono egli riesce, attraverso una scala segreta, ad incontrare la Regina e a scambiarsi gesti d’amore sempre all’insaputa del Re.

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Ritornato in piazza riprende il suo combattimento sempre accompagnato dal suono del tamburo fino a quando riesce a corrompere le Guardie del Re. A questo punto il cannone del castello comincia a fallire qualche colpo il Re molto nervoso, accorgendosi che il suo Artificiere perde colpi, lo fa fuori con un colpo di spada. Approfitta di questo momento di confusione il Mastro di Campo che, accompagnato dai Garibaldini, riesce, attraverso la scala segreta, a penetrare all’interno del castello dove una volta arrivato, i Garibaldini circondano la Corte e incatenano il Re. Il Mastro di Campo finalmente può togliere la maschera e abbracciare la sua Regina. La pantomima termina con la sfilata delle maschere per le vie principali del centro abitato.



Il Carnevale di Pantelleria

Il Carnevale, molto sentito in tutta la comunità pantesca, accomuna i gusti dei giovani e degli anziani. A Pantelleria il periodo di carnevale è molto lungo, le serate danzanti iniziano dalla prima settimana di Gennaio e terminano il giorno del "martedì grasso" (40 giorni prima della Pasqua). Le serate si svolgono in un luogo peculiare: u cìrculo, il circolo costituito dai soci, le cui attività sono ricreative, come luogo d'incontro per giocare a carte, a biliardo, ma, soprattutto, luogo in cui divertirsi e ballare fino all'alba. Durante la serata danzante, venivano, e tuttora vengono fatte, le passate, cioè vengono offerti i dolci, che le signore socie del circolo preparano alternandosi.

una delle tante serate carnevalesche in uno dei circoli panteschi



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Si "passano" dolci tradizionali come i ravioli fritti, di crema e di ricotta, i spince, ma anche dolci non tradizionali come le chiàcchiere, il tutto accompagnato da un bicchiere di passito di Pantelleria. Il carnevale è una festa che funge da collante per l'isola: è il periodo dell'anno in cui l'isola è unita, compatta col fine di organizzare i carri per la sfilata che si svolgono in Piazza Cavour, nel centro urbano dell'isola ( rito recente, che risale agli anni ottanta del Novecento). I circoli sono complessivamente 16, dislocati per ogni contrada. Essi sono un'altra manifestazione di come Pantelleria sia a vocazione agricola, in quanto i primi circoli nascono nella seconda metà dell'Ottocento come circoli agricoli, ove poter discutere delle problematiche riguardanti l'agricoltura.

spettacolo d'intrattenimento nel Carnevale di Pantelleria



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E per concludere, alcune filastrocche in siciliano dedicate al Carnevale


Veni Carnalivari
stufatu s’avi a fari
sasizza e maccarruna,
cannati e buttighiuna;
e si nun cc’è dinari
li stissi mogghi
si vannu a ‘mpignari.

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Stasira un vi scurdati di ririri e manciari
picchi a menzannotti finiu carnalivari;
trippiati e un vi firmati puru si un putiti,
ca dumani e la Quaresima e ppò vi nni pintiti.

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Fimmini curriti ca è carnalivari,
lu nannu cu la nanna su pronti p’abballari;
cc’è lu tistamentu ci su li carruzzati
e cu è ca avi sordi inchissi li pignati.

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È Carnalivari, susiti a matinu
pigghia lu ciascu
e v’accatta lu vinu.

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Beddu cannolu di carnalivari megghiu muccuni o munnu nun cc’è,
su biniritti li spisi dinari ogni cannolu è scettrru di rre.
Vannu li fimmini a disirtari si a lu disiu iddu nun ccè;
cu nun ni mancia si issi ammazzari a cu nun ci piaci curnutu è!




(dal web)

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Et si omnes, ego non
A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio
La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli
Stupidi si nasce, ma ridicoli ci si diventa
Wenn meine Großmutter Räder hätte, wäre sie ein Fahrrad
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