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Chi ha fatto il cavallo della RAI?  Empty Chi ha fatto il cavallo della RAI?

Ven 16 Giu 2023 - 19:19
Chi ha fatto il cavallo della RAI?  U62owSQ


Il Cavallo che dal 1966 presidia l’ingresso della Direzione Generale della RAI in viale Mazzini a Roma è stato concepito, nelle intenzioni del suo autore, come un cavallo ferito nell’atto di ergersi da terra mentre "tenta di puntellarsi sulle gambe anteriori e lancia l'ultimo nitrito".
La gigantesca scultura in bronzo, alta di più quattro metri e lunga più di cinque, è uno dei monumenti più significativi del Novecento italiano. Ormai considerata il simbolo della RAI, è stata restaurata nel 2000 dall’Istituto Centrale per il Restauro.


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Figlio di migranti siciliani stabilitisi a Genova nei primi del Novecento (il padre faceva il muratore), Francesco Messina (Linguaglossa, Catania, 1900 – Milano 1995) comincia a lavorare fin da ragazzo come garzone marmista nella città ligure. La sua vita giunge ad una svolta quando finalmente si trasferisce a Milano dove ottiene la cattedra di scultura all’accademia di Brera e ne diventa, in soli due anni, il direttore.
Nel dopoguerra espone a Buenos Aires presso la Galleria Muller, dove riscuote un notevole successo. Dieci anni più tardi, stimolato dal forte ricordo dei cavalli che aveva visti liberi nella pampa argentina, modella in poco tempo dieci sculture equine che ottengono subito un grande successo sia di pubblico che di critica.
In questo clima di consensi, l’allora direttore generale della RAI Bernardi gli propone di modellare un grande cavallo da collocare nella sede di viale Mazzini, il nuovo centro direzionale progettato dall’architetto Berarducci secondo i criteri dell’International style.
Alla scultura di Messina viene riservata l'aiuola davanti all'ingresso del grande palazzo in vetro marrone scuro. La realizzazione del cavallo monumentale è di notevole impegno per lo scultore siciliano.


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Per un’opera di quelle dimensioni ci vuole un’armatura che possa sostenere diverse tonnellate di creta, inoltre la scultura risulta talmente grande da non poter essere modellata nel suo studio di Brera e viene quindi ospitata in un locale molto più ampio, presso la Fonderia Battaglia.
Per sei mesi Francesco Messina vi lavora alacremente, il lavoro è molto faticoso e, come egli stesso racconta nella sua autobiografia Poveri Giorni, alla fine il grido morente del cavallo sembra essere il suo.

«Era inverno. Le mie mani, attaccate da usura e dolenti, non mi davano la certezza di riuscire nell'opera. Ad applicare le masse di creta sull'armatura provvidero i miei aiutanti.
Poi mi misi ugualmente al lavoro nell'immenso ambiente, freddo e umido per le molte tonnellate di creta bagnata. Salivo e scendevo per i vari ponti di lavoro attorno alla grande massa e lavoravo dal primo mattino al tramonto.
Quando stavo modellando la pancia del cavallo, da sotto in su, in posizione supina, un operaio mi teneva per i piedi, pronto a sottrarmi nel caso di distacco di blocchi di creta, che mi avrebbero schiacciato».
(F. Messina, Poveri Giorni, 1974, Rusconi Editore).


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Una volta terminata l’opera bisogna risolvere altri intoppi dovuti, ancora una volta, alle sue dimensioni gigantesche per l’epoca.
Nessuno, infatti, vuole assumersi l'incarico del trasporto a Roma. La scultura è troppo grande per passare indenne sotto i ponti o attraverso le gallerie dell'Autostrada del Sole. Insomma, non resta altra soluzione che quella di tagliare la coda, far viaggiare il bronzo mutilo, per poi reinserirla in loco.
Ma i guai non sono finiti e, giunta finalmente a destinazione, l’opera viene considerata “fuori luogo” dalla dirigenza RAI, secondo cui non c’è accordo con lo stile razionalista della nuova sede. Qualcuno preferirebbe una scultura astratta, più consona al gusto dell’International Style.
Si tenta dunque di trovare un altro posto che possa ospitarla, lontano dall’ingresso, probabilmente sulla grande piazza lì davanti. Fortunatamente, a questo punto, è proprio Francesco Messina ad intervenire per salvare la sua opera, spiegando che il cavallo è stato concepito per stare nell'aiuola di fronte al palazzo e che “lì deve rimanere”.
Alla fine anche l'architetto Berarducci, inizialmente dubbioso circa l'opportunità di un'opera figurativa, si congratulerà con lo scultore, riconoscendo che il grande cavallo in bronzo smeraldino apporta un vitale contrasto alla concezione funzionale del suo edificio, come fosse un’estrosa fiammata.

“Il cavallo di Viale Mazzini, opera, più che mia, dell'angelo custode, è proprio questo: un estro monumentale.” (F. Messina, Poveri Giorni, 1974, Rusconi Editore).


Fonte: balarm.it

Fotografie: web

Filmato YouTube di Giuseppe Basile

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