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Il Colosso del Peloro, fra leggenda e realtà Empty Il Colosso del Peloro, fra leggenda e realtà

Lun 3 Lug 2023 - 15:18
Il Colosso del Peloro, fra leggenda e realtà ElKcoTg


Sullo Stretto di Messina, dal Capo Peloro, là dove la Sicilia da Oriente e dal continente comincia, s’ergeva, a sua guardia un possente colosso, che fungeva da faro e anche da dissuasore d’invasioni, divenuto mistero col passare dei millenni.
Di questa meraviglia si racconta in una leggenda dello Stretto.


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Il patriarca bizantino Fozio I, nella sua Biblioteca, tramanda un episodio tratto dall’opera perduta dello storico egizio Olimpiodoro di Tebe, il quale raccontava che quando Alarico I, Re dei Visigoti, reduce dal sacco di Roma intendeva passare in Sicilia, si fermò sulle rive dello Stretto intimorito da
una statua sacra che sorgeva dall’altro lato: “Questa statua si dice sia
stata consacrata dagli antichi come una protezione dai fuochi dell’Etna e
dal passaggio dei barbari attraverso il mare. In un piede conteneva un
fuoco che non veniva mai estinto, nell’altro una riserva d’acqua che non si
guastava mai”; più tardi un certo Asclepio, amministratore delle proprietà imperiali in Sicilia, distrusse il colosso per cieco zelo cristiano e d’allora “gli abitanti soffrirono grandemente dall’Etna e dai barbari.



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Il Colosso del Peloro è realtà, non mera leggenda, e tutt’oggi sussistono prove della sua esistenza in antico, quando potrebbe essere stato una delle Meraviglie sfuggite alle classifiche più note dell’antichità.
Alcune monete fatte coniare da Sesto Pompeo durante la terza Guerra Civile della Romana Repubblica, allorché – tra 42 e 36 a.C. – controllava Sicilia, Sardegna e Corsica, recano delle immagini particolari: sul verso la mostruosa Scilla che brandisce il timone di una galea distrutta, sul retto una sorta di torre con in cima una grande statua di dio nudo con tridente in una mano e un oggetto indefinito nell’altra, indossante un elmo beotico (aperto e con falda inclinata in basso) e che a sua volta poggia il piede sopra la prua d’una galea.
Se Scilla è una figura simbolica, la statua non può essere immaginaria, dev’essere qualcosa di realmente esistente, ma che cosa? Sappiamo che l’emissione avvenne in concomitanza della vittoria di Pompeo su Ottaviano proprio nelle acque dello Stretto di Messina nel 38 a.C., ha dunque a che fare con lo Stretto di Messina?


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Un dipinto murale nel Sacello Pagano di periodo tardo-ellenistico all’interno della Catacomba di Santa Lucia a Siracusa, ben analizzato di recente dall’archeologo Fabio Caruso, ci dà maggiore intendimento.
Troviamo la medesima figura delle monete, che stavolta appare d’un bel rossiccio che simula la carnagione maschile con la mano protesa apparentemente vuota, e si erge sopra un’ampia bastionatura.
«Il dipinto, pur di carattere chiaramente popolare, a giudizio dell’archeologo – spiega nel “tour” la voce narrante di Lorenzo Artemisia – è la più antica rappresentazione dello Stretto di Messina giunta fino a noi. Vi appare un complesso fortificato sulla riva del mare, dominato da una colossale statua maschile nuda, con un piede appoggiato sulla prua di una nave. Un’iscrizione posta sopra la statua ci informa sull’identità della divinità rappresentata, “Zeus Peloros”. Del resto, sia Strabone che Valerio Massimo testimoniano nelle loro opere della presenza di una statua e di un avvio di “monumentalizzazione” del Peloro, che potrebbe riferirsi a un monumento funebre (cenotafio) dedicato alla memoria del nocchiero di Annibale (Peloro), ingiustamente ucciso dallo stesso condottiero cartaginese, convinto che il suo pilota lo avesse tradito facendolo finire in un braccio di mare senza uscite. Resosi poi conto dell’errore, cercò di rimediare erigendo un monumento in sua memoria».
Più dettagliata è la descrizione di Valerio Massimo, che parla di una “statua che scruta il mare da un alto tumulo” e che probabilmente reggeva in mano un braciere o una fiaccola animata dal fuoco, la cui luce serviva a rendere riconoscibile ai naviganti il profilo della costa.
«A scrivere apertamente di una statua posta sulla punta di Capo Peloro – spiegano ancora gli alunni – fu lo storico Olimpiodoro di Tebe. In seguito al sacco di Roma del 410 a.C., il re dei Visigoti, Alarico, dopo aver preso in ostaggio e poi sposato la giovane principessa Galla Placidia, futura imperatrice, si diresse verso Sud allo scopo di passare in Sicilia e da qui raggiungere l’Africa. Olimpiodoro racconta che i Visigoti non passarono lo Stretto, spaventati dalla statua posta sulla sponda siciliana, dotata del doppio potere di proteggere la Sicilia dal fuoco dell’Etna e dalle invasioni barbariche d’oltremare».


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Possiamo supporre che l’antico faro si trovasse presso il medievale Forte
degli Inglesi, ove alcuni scavi hanno individuato i resti di un basamento
molto più antico, verosimilmente parte dell’antico complesso fortificato del Faro. La datazione del sacello ove si trova il dipinto siracusano, l’uso di un elmo tipico della cavalleria macedone e l’affinità dell’atteggiamento del dio con un modello scultoreo di Lisippo, fanno risalire il monumento almeno al periodo ellenistico. Per essere osservata e distinta attraverso lo Stretto, la struttura (incluso il simulacro di considerevole stazza) doveva essere molto più imponente dell’odierno faro ottocentesco e alta circa la metà del Pilone.


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La sua posa si presta a un’interpretazione: il dio, innalzato a guardia dello Stretto, schiaccia una nave sotto il piede in segno di minaccia a chi vuole invadere la Sicilia. Non a caso, alcuni autori parlano di una tempesta che affondò diverse navi gotiche durante il tentativo di traversata; fu lui a scatenare la tempesta che bloccò i Visigoti in Italia?

Ecco una descrizione riepilogativa sul Colosso del Peloro: fatto d’un bronzo rossiccio e forse dipinto in alcuni punti, eretto su torre o su fortificazione (forse quest’ultima), ai suoi piedi una fonte d’acqua pulita, un uomo nudo che poggia un piede sopra la prua d’una nave, con una mano stringe un tridente, nell’altra mano sostiene un fuoco che fa luce ai naviganti, sul capo forse un elmo beotico o un verde serto.
La postura del simulacro pelorio è analoga a quella del Nettuno Lateranense o Poseidone Istmico che realizzò Lisippo (IV sec. d.C.), e l’elmo indossato dal dio sembra beotico, modello che Senofonte (IV-III sec.) raccomandava per la cavalleria e che dunque doveva essersi già diffuso fuori dalla Beozia ove fu sviluppato.
L’arco di tempo in cui il monumento fu realizzato è compreso tra 323 a.C. circa (inizio dell’Ellenismo) e molto prima del 38 a.C. (battaglia dello Stretto). Chi costruì il complesso monumentale del Peloro?
Non abbiamo moltissime informazioni sulla Messina tra la caduta della dinastia dei Dionisii e l’alleanza con Roma, ma quasi sicuramente la committenza fu del governo della Città, che evidentemente non era così debole come i diversi mutamenti politici di quel tempo farebbero pensare, se quello fu il periodo in cui nacque il Colosso.
Il Colosso del Peloro non c’è più, è vero, e chissà in che cosa è stato rifuso il suo bronzo… ma magari un giorno lo erigeremo di nuovo, più bello e maestoso, a celebrazione di una rinnovata grandezza, o resurrezione di Zancle.

Fonti: balarm.it, letteraemme.it, tempostretto.it

Fotografie: web

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Vivere senza leggere è pericoloso, ci si deve accontentare della vita, e questo comporta notevoli rischi.
(Michel Houellebecq)
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