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 Nino Martoglio, un grande siciliano Empty Nino Martoglio, un grande siciliano

Sab 10 Dic 2022 - 17:53

Nino Martoglio

(un grande siciliano la cui prematura scomparsa lasciò un vuoto incolmabile nella nostra cultura)



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Nato a Belpasso (Catania) il 3 dicembre 1870, morto a Catania il 15 settembre 1921, Nino Martoglio esordì nel giornalismo a soli diciannove anni, pubblicando a Catania il settimanale politico-letterario-umoristico il D’Artagnan, interamente ideato e scritto da lui e dove cominciò a pubblicare i suoi versi, apprezzati anche da Carducci.

copia del settimanale "D'Artagnan"



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Nel 1901 iniziò a dedicarsi al teatro, nel tentativo di riproporre il teatro dialettale siciliano alle platee di tutta Italia. Fondò e diresse la Compagnia drammatica siciliana, compagnia teatrale con la quale nell’aprile del 1903 debuttò al Teatro Manzoni di Milano. San Giuvanni decullatu (1908) e L’aria del continente (1910), rappresentano alcune delle opere più famose della sua attività. La sua maggiore opera, Centona, raccoglie il meglio delle sue poesie. È interamente scritta in siciliano ed è dedicata alla sua Sicilia, che con le sue rime, a volte amare a volte dolcissime, egli seppe dipingere con scene di vita e di costume di incomparabile bellezza.
Tutta la sua opera è caratterizzata, oltre che dal verismo e dalla bellezza dei paesaggi, anche da una forte contrapposizione tra ricchezza e povertà: fu il cantore dei lussuosi palazzi aristocratici e dei tuguri, dei caffè di lusso di fine Ottocento e dei vicoli affollati. La sua fama si mantenne pressoché intatta fino alla fine degli anni trenta, con molte sue commedie trasposte anche sul grande schermo, nel frattempo diventato sonoro. Scomparve tragicamente, a 51 anni, precipitando nella tromba dell'ascensore dell'Ospedale Vittorio Emanuele di Catania, dove era andato a visitare il figlio malato. Le circostanze dell'accaduto rimasero poco chiare, in quanto l'area dell'ospedale in cui venne ritrovato il cadavere era ancora in costruzione.

una delle prime edizioni della racolta di sonetti "Centona"



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La prefazione all’edizione di Centona del 1924, curata da Luigi Pirandello, grande amico del Martoglio, col quale aveva anche collaborato attivamente, quasi un'esaltante orazione funebre, rappresenta la migliore descrizione di questo grande siciliano:

un altro siciliano illustre, Luigi Pirandello



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<<< Mentre egli vive qui, e vivrà ancora per tanto e tanto tempo, e canta e ride e piange e freme in tutta la sua opera arguta e schietta, così calde e sincere simpatie suscitando col suo canto in tutto il popolo della sua Sicilia, e tante risa e tanta commozione ogni sera, nei teatri d'Italia, negli innumerevoli spettatori delle sue commedie e dei suoi drammi, pensarlo morto (e d'una così inopinata orribile morte!), pensare che non potrò più rivederlo nella fraterna consuetudine che avevo con lui e nella quale di giorno in giorno mi si rivelavano tutti i moti della sua nobilissima anima e del suo cuore generoso, moti che, seppur talvolta violenti e inconsiderati, palesavano sempre in lui l'eterno fanciullo-poeta: tanto oscuro e freddo turbamento mi cagiona e tal dolore mi dà, che non m'è possibile mettermi a scrivere ora di lui, come vorrei.
Nino Martoglio è per la Sicilia quello ch'è il Di Giacomo e il Russo per Napoli; il Pascarella e Trilussa per Roma; il Fucini per la Toscana; il Selvatico e il Barbarani per il Veneto: voci native che dicono le cose della loro terra, come la loro terra vuole che siano dette per esser quelle e non altre, col sapore e il colore, l'aria, l'alito e l'odore con cui vivono veramente e si gustano e s'illuminano e respirano e palpitano lì soltanto e non altrove.

i poeti citati da Pirandello:



Salvatore di Giacomo e Luigi Russo



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Cesare Pascarella e Trilussa



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Renato Fucini, Pietro Selvatico e Berto Barbarani



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Nino Martoglio è tutta la sua Sicilia, che ama e che odia, che ride e giuoca e piange e si dispera, con gli accenti e coi modi che qui in Centona sono espressi per sempre, incomparabilmente.
Giornalista per tanti anni nella sua nativa Catania, figlio di giornalista, fondò e diresse il d'Artagnan, la cui memoria è ancora vivissima nell'Isola: miniera inesauribile di spirito. Per la coraggiosa e audace satira della vita cittadina, per certi tipi colti dal vero, e certi epigrammi ad hominem e certi dialoghi di finissima arguzia paesana, parecchie volte dovette battersi in duello, e più d'una col rischio di perderci la vita.
Don Procopio Ballaccheri fu, in quel giornale, quel che poi Oronzo E. Marginati fu nel "Travaso delle idee"; e il Lucatelli lo riconosceva e lo dichiarava; e il Martoglio ne era orgoglioso. Morti tutti e due, adesso, e prima del tempo!

la Divina Commedia di Don Procopio Ballaccheri e lo scrittore Oronzo E. Marginati



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Famosissima rimase, dell'attività giornalistica e poetica di quegli anni, la satira politica in versi: La triplice alleanza; tanto che non fu possibile al Martoglio eliminarla, come forse avrebbe voluto, dalla raccolta dei suoi versi. E si trova ancora, difatti, e si legge con piacere, in fondo a questa Centona, che lo fa, dopo il Meli, il poeta dialettale più espressivo del popolo siciliano.
Tutti in Sicilia conoscono Centona. Le edizioni di essa si esauriscono e si rinnovano continuamente; questo è il segno che il popolo riconosce nel suo poeta la sua voce. Il che basta a perpetuare la fama del Martoglio anche se di queste liriche appassionate o giocose, di questi tanti sonetti, in cui un intero dramma, un'intera commedia, son racchiusi con potente efficacia nel giro di quattordici versi e tante volte in una sola parola o in un gesto espressivo, segnato con un'esclamazione, la critica ufficiale del Continente non ha mai mostrato di accorgersi bene. Sonetti come La cira sono autentici capolavori. E sono parecchi.
Ma Nino Martoglio non fu poeta lirico soltanto: fu anche commediografo acclamato, in lingua e in dialetto.
Tutti immaginano facilmente le grandi soddisfazioni che l'esito trionfale d'alcune commedie gli procurò; ma nessuno forse immagina quanto gli costò d'amarezze, di cure, di fatiche e anche di denari il teatro siciliano che vive massimamente per lui e di lui e di cui egli fu il vero ed unico fondatore. Fondatore rivelatore, poiché fu lui a mettere per il primo in luce e in valore i suoi attori più grandi, ora giustamente famosi; il Musco e il Grasso; e poi gli Spadaro e il Lo Turco e l'altro Grasso, la Bragaglia, l'Aguglia, la Balistrieri, l'Anselmi, il Marcellini, il Pandolfini. Quante amarezze, povero Martoglio, per quel suo grande sogno, così ingiustamente e perfidamente avversato sino a farlo fallire, della Compagnia del Teatro Mediterraneo, con la quale, divenute già a mattatore quelle dapprima fondate col Grasso e col Musco, s'era proposto di mettere insieme, per spettacoli di pura arte, una numerosa Compagnia di "complesso", meravigliosamente affiatata; quella Compagnia che diede al pubblico di Roma, al Teatro Argentina, rappresentazioni d'insuperabile bellezza, come quelle del Ciclope di Euripide, del Rosario del De Roberto, del Dal tuo al mio e della Lupa del Verga.

gli attori citati da Pirandello:

i cugini omònimi Giovanni Grasso



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i fratelli Umberto e Peppino Spadaro



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Angelo Musco e Marinella Bragaglia



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Mimì Aguglia, Virginia Balistrieri e Rosina Anselmi



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Tommaso Marcellini e Turi Pandolfini



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Preparava il Martoglio un libro di Memorie su questo suo teatro siciliano, che non so se aveva già cominciato a scrivere. Non credo. Che un tal libro di memorie non si possa più avere è jattura grave per la storia del teatro ancora a noi contemporaneo, perché il libro sarebbe stato pieno, certo, di notizie interessantissime, d'episodi caratteristici d'un sapore straordinario, per la vivacità impulsiva, le stranezze, i prodigi del meraviglioso intuito, che dovevano esservi narrati e rappresentati, dei comici siciliani.
Nino Martoglio fu un vittorioso. Vinse tutti gli ostacoli, tutte le diffidenze, tutte le gelosie. Il teatro siciliano difatti, vive: ha ormai un larghissimo repertorio e una fin troppo numerosa schiera di attori. E finché vivrà, vivranno per la delizia dei pubblici d'Italia, Mastru Austinu Misciasciu del "S. Giovanni Decollato" e Don Cola Duscio del "L'aria del Continente" e 'U riffanti e i due ciechi di "Scuru" e il Capitan Turrisi di "Sua Eccellenza" e il povero Marchisi di Ruvolito e Taddarita e Nica e Capitan Seniu, tutte le creature del suo teatro, in cui quei magnifici attori si sentono vivi.

alcune delle opere teatrali citate da Pirandello:

il Marchisi di Ruvolito e Taddarita



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S. Giovanni decollato e L'aria del Continente



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U Riffanti e Scuru



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Sua Eccellenza, Nica e Capitan Seniu



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Lui solo, povero Nino, non potrà più soffrirne o goderne. E che abbia lasciato sul meglio e innanzi tempo il suo lavoro, sul meglio e innanzi tempo i suoi adorati piccoli figliuoli, l'adorata Compagna, i fratelli, gli amici, così, per uno sciagurato incidente, aprendo per isbaglio una porta che dava in un baratro, è cosa di tale e tanta crudeltà, che veramente fa disperare e inorridire.
Roma, 18 Settembre 1921
LUIGI PIRANDELLO >>>

Le parole di Pirandello oggi sembrano sfiorare il parossismo: in un tempo in cui l'astro del drammaturgo catanese s' è parecchio oscurato. A tal punto che la disgrazia che costò la morte a Martoglio, sembra caricarsi di un inquietante significato simbolico, meglio ancora profetico, diventando una perfetta metafora dello stato in cui lo scrittore e drammaturgo catanese versa oggi: aprendo per sbaglio una porta che dava in una tromba d' ascensore nell' Ospedale Vittorio Emanuele di Catania, l'autore di "L' aria del continente" precipitò rovinosamente in un baratro, scomparendo dalla scena come uno dei tanti personaggi delle sue commedie.

l'Ospedale Vittorio Emanuele di Catania



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Uno sciagurato incidente, così chiosato da Pirandello: «Cosa di tale e tanta crudeltà, che veramente fa disperare e inorridire». Ma fa inorridire, oggi, il silenzio che sembra circondare Martoglio. Cui si deve, tra l'altro, la creazione della Compagnia drammatica siciliana, prima, e poi quelle del Teatro Minimo e del Teatro Mediterraneo. Quest' ultima fondata con Pirandello e Rosso di San Secondo, i quali, in quanto drammaturghi, dovranno molto a Martoglio: dell'autore di "Così è se vi pare", infatti, senza le sollecitazioni del catanese, non sarebbero mai nate opere come "Lumìe di Sicilia", "Pensaci, Giacuminu!", "Liolà", "A birritta cu ' i ciancianeddi". Come pure avranno un debito di riconoscenza Federico De Roberto e Giovanni Verga, di cui la compagnia del Teatro Mediterraneo rappresenterà a Roma, al teatro Argentina, rispettivamente il "Rosario" e "Dal mio al tuo" e "La lupa". A Martoglio non difettava di certo il fiuto: quando abbandonò il teatro, fondò la Morgana film, dirigendo un film come "Sperduti nel buio", unanimemente considerato come un film neorealista antelitteram. Poeta stimato da Carducci, l'autore di "I Civitoti" in pretura fu anche un ottimo giornalista e un energico animatore culturale.

una delle tante locandine de I Civitoti in Pretura e la locandina del film Sperduti nel buio



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Messo da parte il brevetto di capitano di lungo corso, conseguito presso l'Istituto nautico di Catania nel 1889, in quello stesso anno fondò nella sua città il settimanale "D' Artagnan", da lui diretto sino al 1904. E il titolo della testata di certo non fu scelto a caso: dal momento che il nome del noto moschettiere a lui si attagliava benissimo, se è vero, come racconta lo stesso Pirandello, che più di una volta dovette battersi in duello, e più di una col rischio di perderci la vita. Aspetto, questo, che accomuna Martoglio a un altro letterato dalle numerose intemperanze, il palermitano Girolamo Ragusa Moleti.

Girolamo Ragusa Moleti



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E un po' D' Artagnan lo era, Martoglio, come ebbe a scrivere Guglielmo Lo Curzio, «nell' animo e nel piglio donchisciottesco, nel pizzo ardito e frizzante sotto il cappello arioso a larghe tese, e nell' andatura di chi senta la vita come una sfida».

Nino Martoglio in uno schizzo di Antonino Gandolfo



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E di sfide ne ebbe ad affrontare diverse, a causa delle coraggiose e audaci satire della vita cittadina catanese, per certi tipi colti dal vero, e certi pungenti epigrammi o dialoghi di fine arguzia paesana. Sulle colonne del suo giornale, Martoglio si occupò di arte, letteratura, polemica, teatri e anche politica, avvalendosi della collaborazione di scrittori come Trilussa, Di Giacomo, Fucini, Pascarella e Russo. Ma Martoglio fu soprattutto uno straordinario e instancabile talent scout, non solo di potenziali drammaturghi, ma soprattutto di grandi attori. Bastino questi nomi: Musco, Grasso, Spadaro, Lo Turco, la Bragaglia, l'Aguglia, la Balistrieri, l'Anselmi, il Pandolfini.
Il destino di Nino Martoglio, e del teatro dialettale siciliano in genere, è di essere ricordato e rappresentato per i suoi copioni scintillanti di arguzia e trovate che i grandi interpreti hanno saputo rinverdire e attualizzare. Nei suoi lavori troviamo rappresentata la Sicilia, soprattutto Catania, con le sue tradizioni, i suoi paesaggi, i vicoli, i personaggi caratteristici.

"L’Affaire Nino Martoglio" ovvero il "Cold Case" della sua morte



Le locandine del convegno e dello spettacolo sulla scomparsa di Martoglio



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Chiedono la riesumazione del cadavere di Nino Martoglio. Vogliono sapere se il grande commediografo (nato a Belpasso il 3 dicembre 1870, e deceduto, a soli 51 anni, in circostanze misteriose), quel 15 settembre 1921 morì davvero per una causa accidentale – come allora sostenne l’Autorità giudiziaria – cadendo in un pozzo luce (o in una tromba dell’ascensore: anche in questo caso gli atti giudiziari sono contraddittori) dell’ospedale Vittorio Emanuele di Catania, oppure se fu ucciso con un colpo alla testa e successivamente buttato in quella fossa di cemento alta tre metri e mezzo per simulare la casualità del decesso. Diciamo che il sospetto c’è sempre stato, ma adesso, con le carte in mano, molte ricostruzioni giudiziarie possono essere clamorosamente smentite e ribaltate, in quanto possono essere state viziate dal depistaggio. Non sono parole campate in aria. Basta leggere gli atti giudiziari per comprendere che tante cose, in questa vicenda, non quadrano: dall’incredibile scambio di identità del cadavere, all’orario del decesso, dal “segreto” della morte tenuto per ben due giorni nei confronti della moglie di Martoglio, Elvira Schiavazzi, all’atteggiamento omissivo della stampa catanese, che sembra lo stesso che caratterizzò la morte di un altro grande intellettuale catanese: Giuseppe Fava.

Elvira Schiavazzi, la vedova di Martoglio



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Troppo famoso Martoglio (oltre ad essere commediografo, era poeta, giornalista, scrittore, uomo politico, regista e produttore cinematografico), troppo celebre, allora, come Verga, come Capuana, come Pirandello, per fare una fine così banale. Troppo amato, ma anche troppo odiato. Sia per i successi, ma anche (e forse soprattutto) per “quelle idee sovversive” (Nino era un socialista defeliciano, in gioventù iscritto al circolo Carlo Marx) così mal tollerate agli albori del fascismo, specie in una città come Catania, dove lo squadrismo di destra, già allora, era molto più evoluto di quello che in Emilia Romagna darà origine al ventennio mussoliniano.
Dopo quasi cento anni, il Caso Martoglio viene riaperto attraverso una verità storica – per quella giudiziaria vedremo – che ci viene consegnata dal regista teatrale Elio Gimbo, che recentemente, assieme all’avvocato Gianni Nicotra (entrambi fanno parte del Centro teatrale Fabbricateatro di Catania), ha disseppellito dalla polvere centinaia di vecchie carte depositate all’Archivio di Stato, e con pazienza le ha riordinate, interpretate (gli atti dell’epoca venivano quasi tutti compilati a mano) e studiate, avvalendosi di consulenti d’eccezione come docenti di Medicina legale e di Lettere, magistrati, uomini di teatro e tanto altro.

il regista teatrale Elio Gimbo e l'Avvocato Gianni Nicotra



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l'incartamento originale, relativo all'indagine sulla morte di Nino Martoglio



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Tutti, all’unisono – compreso il professore di Medicina legale Cristoforo Pomara, colui che ha contribuito di recente a riaprire il caso Cucchi – chiedono il disseppellimento della salma per eseguire un’autopsia che all’epoca fu sconsigliata da un medico dell’ospedale Vittorio Emanuele (non un esperto di medicina legale, ma un semplice chirurgo) che eseguì un esame esterno sul cadavere, frettoloso e superficiale, contribuendo ad “insabbiare il caso”, come sostiene in questa inchiesta lo stesso Gimbo.

il professore di Medicina legale Cristoforo Pomara



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E se sui “buchi neri” dell’indagine diciamo che esistono parecchi punti convergenti, sul movente, sugli esecutori e sui mandanti di un eventuale delitto non possiamo andare oltre il “contesto” del tempo. Almeno per ora.
Il ritrovamento a Catania del fascicolo d’indagine aperto all’epoca dei fatti e quindi archiviato con un non luogo a procedere, nel gennaio del 1922, avvenuto per via di una più ampia ricerca documentale condotta del Centro teatrale Fabbricateatro, lo studio e l’interpretazione dei documenti compresi nel fascicolo, accendono certamente i riflettori sulla dinamica di una morte che all’epoca fu arbitrariamente rubricata ad incidente per responsabilità della vittima stessa e che oggi potrebbe essere descritta come omicidio volontario conseguente ad un agguato. Ricerca, ritrovamento del fascicolo e convegno di studi non allontanano quindi le ombre sulla morte dello scrittore e regista belpassese, ma ci si augura che si possa presto fare luce sulla sua morte per onorarne la memoria.

L’intervista fatta dal giornalista Luciano Mirone al regista catanese Elio Gimbo sul Caso Martoglio

Gimbo, come muore Nino Martoglio?

“Già da quattordici anni – dice il regista catanese – seguendo il vento del successo, il commediografo si era trasferito a Roma: le sue opere riscuotono successo in tutti i teatri d’Italia; i “suoi” attori (Giovanni Grasso e Angelo Musco in testa) si affermano in tutto il mondo. Col cinema è stato uno splendido precursore fondando persino una Casa di produzione. Insomma un grande. Basti pensare ad uno dei suoi capolavori, Sperduti nel buio, al quale, molti anni dopo, De Sica, Rossellini e Visconti si ispireranno per creare la nuova corrente del neorealismo. Nella capitale, Nino sposa la cagliaritana Elvira Schiavazzi, ed ha quattro figli. Quell’estate del 1921, all’apice del successo, assieme alla famiglia, trascorre le vacanze a Giardini Naxos, vicino Taormina. Verso agosto, Marco, il figlioletto di otto anni, si ammala di paratifo, a quel tempo non curabile a casa mediante antibiotici. È un grosso problema. A Catania non c’è un reparto pediatrico, Roma è troppo lontana per un ricovero. Qualcuno consiglia l’ospedale Vittorio Emanuele del capoluogo etneo, dove stanno ristrutturando un vecchio edificio che più tardi sarà adibito a reparto pediatrico. Martoglio, a Catania, aveva lasciato amici, estimatori, ma anche molti nemici”.

Avversari politici?

“Sì, tanti. Col D’Artagnan, il giornale satirico che ha fondato a soli diciotto anni, quando vive a Catania, prende in giro la classe conservatrice della città. Vive intensamente la vita del partito socialista e la vita dei Fasci siciliani che lottano in difesa dei lavoratori, frequenta i grandi socialisti dell’epoca come Giuseppe De Felice e Gigi Macchi, dal 1902 al 1904 è Consigliere comunale. Piazza Università è il regno dei conservatori, piazza Duomo dei socialisti defeliciani. Nel mezzo c’è lui, Nino Martoglio, che per ragioni politiche (soprattutto) o sentimentali (è un tombeur de femmes) fa i duelli in piazza Ogninella (oltre duecento in vita sua, quasi tutti vinti) e poi passa sotto il palazzo del marchese Di Sangiuliano, ministro del Regno d’Italia, pulendosi la spada. Un personaggio pazzesco”.

Quel 15 settembre 1921 cosa accade?

“Alle 8 Martoglio di mattina parte da Giardini e alle 9,30 arriva a Catania: deve recarsi al Vittorio Emanuele per parlare col direttore sanitario, il cavaliere Gaetano Salemi, al fine di preparare il ricovero di Marco. Due le persone che comandano in quell’ospedale: il direttore sanitario e, un gradino più sopra, il presidente Pasquale Libertini, aristocratico di Caltagirone, ex parlamentare conservatore per tre legislature, in quel momento anche presidente della Banca agricola commerciale di Catania. Un personaggio che fra il ’20 e il ’21 colleziona due indagini giudiziarie: una per bancarotta fraudolenta e falso in bilancio (come presidente della banca), un’altra per appropriazione indebita come presidente del Vittorio Emanuele. Sarà Mussolini, dopo che Libertini si riciclerà nel nuovo regime, a salvarlo con un’amnistia ad personam”.

Quindi che succede quella mattina?

“Salemi lo accoglie con tutti gli onori che si devono a una star. Gli fa visitare i reparti a pagamento (poiché Martoglio intende pagare), ma non c’è un posto adatto alla malattia del piccolo Marco (che per quel tipo di patologia trasmissibile per via oro-fecale ha bisogno di un bagno privato, con acqua corrente, e della presenza della madre giorno e notte). Dato che non c’è posto e si rende urgente il ricovero, si prende in considerazione di sistemare Marco nel reparto pediatrico ancora in fase di ristrutturazione (si chiama padiglione ‘Costanza Gravina’, è un ex sanatorio, adattato ad ospedale militare durante la I Guerra mondiale), inaugurato da Vittorio Emanuele un anno dopo. In quella struttura esiste un appartamentino senza porte, né finestre, né vetri, né mobili e con un impianto elettrico ancora approssimativo. Però c’è un bagno funzionante e con l’acqua corrente, che per un malato di paratifo è fondamentale. La soluzione col direttore sanitario viene trovata, soprattutto se si pensa che Martoglio si addossa le spese per l’acquisto dei mobili, delle finestre e per l’ultimazione dell’impianto elettrico. In cambio l’ospedale deve ricoverare urgentemente suo figlio e dare ospitalità alla moglie, con l’assistenza di una infermiera. Ma c’è un ‘ma’. Martoglio deve passare dal presidente Libertini, cui spetta l’ultima parola”.

E quindi?

“Fra Martoglio e Libertini, quella mattina, c’è uno scazzo dovuto a motivi che non sappiamo: unico testimone è il direttore sanitario, che in questa storia ha un ruolo fondamentale. Non sappiamo se minimizza o se omette dei particolari importanti. Fatto sta che, a quanto pare, volano parole grosse. Martoglio – al culmine della tensione per quel figlio che rischia la vita – a un certo punto manda a quel paese Libertini: ‘Con gente come te a Catania si può solamente morire’. Libertini ricambia. Alla fine l’appartamentino viene concesso”. La tragedia si consumerà nelle ore successive. E il depistaggio pure.



(dal web)
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