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Elio Vittorini, un grande siciliano Empty Elio Vittorini, un grande siciliano

Lun 12 Dic 2022 - 14:00

Elio Vittorini, un grande siciliano fra fuitine (con la sorella di Salvatore Quasimodo) ed inaspettati rifiuti (alla pubblicazione del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa)



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Elio Vittorini (1908 – 1966) è stato uno scrittore impegnato, inquieto e ribelle. Nelle sue opere, caratterizzate da una grande modernità, protagonista è l’Italia nuda e cruda, quell’Italia travagliata dai conflitti e dalle ideologie politiche, dove la società in costante mutamento inquieta essa stessa, un’Italia a volte ferita, ma con la voglia di rialzarsi e andare avanti. E’ tra le figure più importanti del Novecento letterario. Autore di opere come "Conversazione in Sicilia" e "Uomini e no", e direttore di riviste come "Il Politecnico" e "Il Menabò", è uno scrittore che vede nella letteratura uno strumento politico per capire la realtà.
Se è vero che un autore scrive per tutta la vita lo stesso libro, Elio Vittorini ha dedicato la sua intera attività letteraria a un unico scopo: indagare l’essenza originaria dell’uomo, per cercare di capire cosa in lui è umano e cosa, invece, umano non è.

Conosciamolo meglio con questo approfondimento dedicato ai suoi libri.

Cresciuto in una famiglia povera, Elio frequenta un istituto tecnico, ma è un ragazzo inquieto e abbandona la scuola prima di aver completato il ciclo di studi. Molti aneddoti sul periodo della giovinezza sono raccontati nell’articolo Della mia vita fino a oggi, presente nella raccolta Letteratura, arte e società (Einaudi). Da questo testo, ricco di riferimenti alla casa che abitava da bambino, emerge la tendenza di Vittorini a proiettare su un piano mitico l’infanzia, cifra che in seguito diventerà una costante del suo stile.
Elio Vittorini e Rosa Quasimodo (sorella di Salvatore) furono protagonisti nel 1927 di una “fuitina”: ventidue anni lei, diciannove lui, erano entrambi figli di capistazione e abitavano nella stessa palazzina alla stazione di Siracusa. Il futuro scrittore, irrequieto, fu spedito da una zia di Benevento per darsi una calmata e pensare agli studi, ma si rifiutò e dopo aver tentato invano l’arruolamento in aeronautica tornò a casa. Qui, per paura che la sua amata potesse andare in sposa ad altri, organizzò una fuitina che si concluse Il 10 settembre 1927, quando venne celebrato il matrimonio riparatore e un anno più tardi Rosa diede alla luce Giusto Curzio nome scelto per omaggiare Curzio Malaparte.

Elio Vittorini e Maria Rosa Quasimodo



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Intorno agli anni ’30, Elio si trasferisce a Firenze insieme alla moglie Maria Rosa Quasimodo, sorella del poeta. Qui stringe amicizia con Pratolini, Montale, Bilenchi, Gadda ma, soprattutto, con Curzio Malaparte, grazie al quale inizia a pubblicare i primi scritti su giornali e riviste. Come molti dei giovani a quel tempo, Elio aderisce al fascismo, che sembrava presentarsi come un nuovo movimento antiborghese, ma se ne distacca pochi anni dopo, durante la Guerra di Spagna, che rivela il vero spirito del fascismo e, in generale, dei regimi totalitari. Nulla infatti è più diverso da Vittorini che lo spirito fascista: Elio è aperto e curioso nei confronti di quello che succede fuori dal proprio paese, al contrario, il fascismo esalta l’autarchia culturale italiana.

Piccola borghesia



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Nel ’31 compare il suo primo libro, Piccola Borghesia, una raccolta di racconti pubblicata dalla casa editrice della rivista Solaria. Questi testi non sono particolarmente significativi, sono esperimenti di un giovane ancora alla ricerca del proprio stile, tanto che il critico letterario Sergio Solmi li definisce “fantasticherie tenere, immature e indefinite, dal tono genuino”. Tra tutti, però, spicca il racconto La mia guerra, in cui l’autore racconta lo scoppio della Prima Guerra Mondiale a Gorizia attraverso lo sguardo dei bambini. È proprio la capacità di immedesimarsi nell’animo infantile che distinguerà la sua prosa nelle opere successive.

Sardegna come un’infanzia



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L’anno seguente la rivista L’Italia letteraria organizza un concorso per il miglior diario di viaggio scritto in Sardegna. Vittorini, all’epoca ventiquattrenne, decide di partire e partecipare, principalmente per ragioni economiche. Il risultato è un’opera composta da piccoli brani descrittivi che, nonostante la vittoria ex aequo con lo scrittore Virgilio Lilli, non ha nulla a che fare con un diario di viaggio. “La Sardegna di Vittorini è diversa da quella di tutti i viaggiatori precedenti perché non è un luogo, ma un tempo, appunto l’infanzia”, scrive Michela Murgia nella prefazione dell’edizione Bompiani.
“Per chilometri non si scorge un uomo né un tetto. E l’impressione dell’altipiano si precisa nel senso di una maggiore prossimità alla sorgente solare. Nell’aria ce n’è l’odore: del sole. Di fuoco puro, privo d’ogni acredine di combustibile. E di pietra secca. Ma di brughiera anche. E di spoglie di serpi. Odore di Sardegna…”
La scrittura procede per brevi dichiarazioni sfumate, in un linguaggio che richiama i moduli della poesia ermetica. Sardegna come un’infanzia (titolo dell’edizione del ’52) non è un reportage realistico, ma un racconto intimo, immerso in una dimensione atemporale e onirica, in cui l’autore non presta attenzione alla descrizione dei luoghi, quanto allo stupore con cui vive il viaggio. Lo stupore è il sentimento per eccellenza dei bambini, una condizione di gioia in cui tutto appare meraviglioso e nuovo. La scoperta della Sardegna, territorio spartano e primitivo, si associa alla riscoperta dell’infanzia dello scrittore, ma più in generale dell’uomo, di una fase della vita antica e arcaica.

Il Garofano rosso



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Il ’33 è un anno di cambiamento per Vittorini, che si distacca definitivamente dall’ideologia fascista e si avvicina all’ambiente della rivista Solaria, sulle cui pagine esce a puntate il suo primo romanzo, Il Garofano Rosso. In realtà la storia editoriale del libro è più complessa perché, nell’agosto del ’34, il prefetto di Firenze ordina il sequestro della rivista a causa dei contenuti dell’opera, di cui viene quindi interrotta la pubblicazione. Il romanzo racconta la storia di Alessio, un ragazzo che frequenta il liceo di Siracusa e che, insieme al compagno Tarquinio, vive le prime esperienze politiche, come l’occupazione a scuola, e sessuali, come l’incontro con una prostituta in una casa chiusa. Sono proprio questi ultimi argomenti a essere definiti immorali e intollerabili, ma in realtà i motivi per cui l’opera viene censurata sono altri: Il Garofano rosso è una critica allo spirito violento del movimento fascista.

Erica e i suoi fratelli



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Dopo Il Garofano rosso si chiarisce l’interesse e l’impegno politico di Vittorini. Pur non abbandonando il suo stile lirico e simbolico, lo scrittore inizia a denunciare, attraverso i suoi libri, la situazione che vive. Il racconto Erica e i suoi fratelli, inizialmente pensato come un romanzo, si svolge durante il primo dopo guerra, in una città di mare di cui non viene specificato il nome. La situazione economica è critica: l’oggetto della narrazione non è solo la disoccupazione e la miseria di quegli anni, ma il modo in cui Erica, la bambina protagonista, percepisce ed elabora tutto questo.
“Specie sognava uva, un’uva di un dolce colore, giallo appannato dal freddo, e non uva da mangiare ma da abitare. Si trattava di boschi biondi con uccelli invisibili che cantavano, e con globi di polpa dove si entrava e si diventava felici. Lei era sola in un globo, ma sapeva che a tutti succedeva la stessa cosa, e sentiva una melodiosa certezza di compagnia. La felicità era anzi questa: la compagnia. Perché il brutto sulla terra, per lei, era quello che poteva non esistere. Se non esistessero i gatti! pensava. Se non esistessero i vestiti rossi! Se non esistesse la ferrovia! Pensava, pensava, e si sgomentava. E i suoi terrori non erano lupi, non erano orchi: erano di svegliarsi in un mondo che avesse qualcosa di meno”.
Erica è la prima di tre fratelli di una famiglia operaia: il padre perde il lavoro e si allontana dalla città per trovare una nuova occupazione ma, poco dopo, si ammala gravemente e la madre lo raggiunge per assisterlo. Rimasta sola con i fratellini, Erica è costretta a improvvisarsi mamma e, non sapendo come guadagnare, inizia a prostituirsi. La storia si conclude così, ma le intenzioni dell’autore erano diverse: “Erica avrebbe scoperto tutto della vita, anche il piacere, anche l’amore, l’amicizia…si sarebbe sviluppata nonostante il disastro circostante…”. Tuttavia lo scoppio della Guerra di Spagna travolge Vittorini che, sotto la pressione degli eventi esterni, è incapace di pensare ad altro rispetto a quello che sta accadendo attorno a lui: “Invidio gli scrittori che hanno la capacità di rimanere concentrati sul proprio lavoro mentre fuori infuriano peste e guerre… è una qualità che invidio molto agli scrittori, ma non la posseggo. Così lo scoppio della guerra di Spagna, mi rese del tutto indifferente allo sviluppo della storia cui avevo lavorato per tre mesi di fila…quando ricominciai a scrivere, nel ’37, non ripresi Erica, ma Conversazione”.

Conversazione in Sicilia



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Il protagonista di Conversazione in Sicilia è Silvestro, un tipografo siciliano (probabilmente l’alter ego dell’autore), che per evadere da una sorta di torpore esistenziale, parte da Milano verso la Sicilia, nel paese in cui ha trascorso l’infanzia e dove vive ancora sua madre.
“Io ero in quell’inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi sono messo a raccontare. Ma bisogna che dica che erano astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto. […] Pioveva e intanto passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l’acqua che mi entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete”.
Nel momento in cui si mette in viaggio, Silvestro abbandona la solitudine e l’apatia che lo caratterizzavano all’inizio e ritrova un senso di vitalità, che si traduce nel desiderio di conversare con gli altri. Il romanzo diventa un affresco dell’umanità con cui il protagonista si confronta: i dialoghi sono la caratteristica principale dell’opera che attirerà molto le attenzioni dei critici, i quali accuseranno l’autore di essere eccessivamente attaccato alla narrativa americana (nel frattempo, infatti, Vittorini è diventato traduttore per Bompiani). Di sicuro l’influenza degli autori americani, che ricorrono spesso al discorso diretto, ha condizionato la scrittura di Vittorini, ma non è solo per questo che il dialogo ha un ruolo così centrale: Conversazione in Sicilia è un libro che racconta la parabola di un uomo che cerca un senso alla sua vita e la parola, intesa come manifestazione umana per eccellenza, diventa l’unico strumento attraverso cui riscoprire la propria natura di essere umano.

Il Politecnico



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È il 1945: Vittorini si avvicina al Partito Comunista e prende parte attiva alla Resistenza (non armata, ma attraverso iniziative del settore stampa e propaganda). Per questo è ricercato e costretto a rifugiarsi a Varese dalla nuova compagna, dove scriverà il suo prossimo romanzo, Uomini e no. In quegli stessi anni, all’indomani della Liberazione, lo scrittore si dedica a un altro progetto letterario e politico insieme: Il Politecnico. Il periodico si impone all’attenzione per la sua vivacità culturale e anticonformista, che si coglie anche dal formato e dai caratteri di stampa utilizzati (il grafico è Albe Steiner, uno dei migliori professionisti del tempo). La rivista è animata principalmente da intellettuali legati al PC, anzi, è proprio il PC il primo che finanzia l’impresa. Vittorini, però, vuole che il dibattito sia il più ampio possibile, che coinvolga anche altre posizioni, per rendere il progetto una vera e propria tribuna di confronto, dove si pubblicano testi di poesia accanto ad articoli relativi ai problemi del Meridione. L’interesse di Vittorini è rivolto soprattutto alle voci di autori emergenti e, tra queste, c’è anche il giovane Italo Calvino che proprio sul Politecnico pubblica il suo primo racconto.

Uomini e no



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Alla fine del ’45 esce Uomini e no, che gode di una buona accoglienza da parte dei lettori. Nel romanzo si sviluppano due linee narrative: quella pubblica, ovvero la Resistenza a Milano, e quella privata, ovvero l’amore che il protagonista Enne 2 nutre per Berta, una donna sposata. Entrambe le storie hanno un unico fine: la liberazione, dal fascismo nel primo caso, dal marito di Berta nel secondo. Sul titolo molto si è discusso: alcuni sostengono che rappresenti una posizione politica e che si riferisca alla differenza tra gli uomini (i partigiani) e i non uomini (i fascisti); altri invece credono che si riferisca alla natura contraddittoria e ambigua dell’essere umano, nel quale convivono insieme una parte umana e una non umana.

Il Sempione strizza l’occhio al Frejus



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Subito dopo, Vittorini pubblica Il Sempione strizza l’occhio al Frejus, un libro in cui, fin da subito, viene messa in evidenza la durezza di quegli anni. Il romanzo racconta la storia di una famiglia molto povera e del protagonista, un uomo che in passato ha compiuto lavori grandiosi e che ormai è inabile al lavoro, ma che, grande e grosso com’è, ha bisogno di mangiare. È solo un peso per la famiglia così un altro personaggio, Muso di fumo, insegna al nonno a farsi da parte, come gli elefanti che, quando sentono che sta arrivando il momento di morire, si ritirano in disparte. Anche in questo romanzo, come in Conversazione, la centralità del racconto non è rappresentata dalla trama quanto dai dialoghi, che diventano l’unico mezzo per permettere all’uomo di elevarsi e di conoscere se stesso.

Le città del mondo e gli ultimi progetti



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Dagli anni ’50 inizia per Vittorini un periodo di lavoro intenso che, però, lentamente lo porta ad allontanarsi dalla scrittura. Diventa direttore della collana sperimentale I Gettoni di Einaudi, che si propone di scoprire nuove voci giovani ed attraverso la quale farà conoscere i narratori più importanti della nuova generazione come Fenoglio e Calvino; rifiuterà però di pubblicare Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa perchè la ritiene “un'opera del passato”. Nel frattempo, collabora anche con Mondadori. Intanto scrive il romanzo Le donne di Messina e La Garibaldina, un lungo racconto che successivamente sarà pubblicato in volume insieme a Erica. Tra il ’59 e il ’65 è direttore di un’altra rivista di Einaudi, Il Menabò, a cui collabora con Calvino. Il suo ultimo romanzo, rimasto incompiuto, è Le città del mondo, che viene pubblicato postumo e che racconta la storia di due pastori, padre e figlio, che viaggiano per la Sicilia alla ricerca di un posto dove stare. Dall’opera Vittorini trae anche una sceneggiatura, di cui nel ’75 esce un film sotto la regia di Nelo Risi.



(dal web)
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